Tra le molte cose che un genitore lavoratore deve riuscire a gestire – gli orari, i ritardi, le ferie, le malattie, la baby sitter, l’asilo nido, le visite dal pediatra, i turni – la più complicata di tutte è quel malessere sottile chiamato senso di colpa.
Quando il bambino piange vedendoci andare via dall’asilo, quando dobbiamo svegliarlo nel pieno del sonno perché dobbiamo andare a lavorare, quando dobbiamo correggere i compiti dopo cena, quando difendiamo con le unghie e con i denti il tempo libero del week end, in cui goderci, insieme al nostro bambino, la reciproca presenza, e il tempo delle coccole: in tutti questi momenti la nostra sicurezza vacilla, e veniamo assaliti dai dubbi.
Se poi siamo donne, e mamme, le nostre paure raddoppiano, o triplicano: per quanto possiamo essere felici, soddisfatte del nostro lavoro, della nostra carriera e del nostro ruolo, combattiamo sempre con quella parte di noi che ci sibila che stiamo sbagliando, che il nostro bambino avrebbe bisogno di noi di più, anzi sempre, e che nulla può sostituire la presenza di una mamma.
Per fortuna – oltre a decine di ricerche di psicologi e pedagogisti – a soffocare almeno un pochino il nostro senso di colpa, sono arrivati anche i risultati dei Test Invalsi dell’anno scorso: dal confronto tra i risultati ottenuti è stato messo in evidenza come i figli di genitori lavoratori abbiano ottenuto mediamente punteggi più alti sia nelle prove di italiano che in quelle di matematica, con differenze che arrivano a picchi anche di 15 punti di scarto.
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