di Eva Perasso, Il Corriere della Sera 27.6.2015.
Uno studio americano sottolinea il peso del pregiudizio positivo nei confronti
del primogenito e di quello negativo nei confronti dei secondi e delle femmine
Quante volte un genitore dice o semplicemente pensa che il figlio sia «bravo in matematica, ma in italiano non è portato per la scrittura», o ancora che «prenderà un 4 alla verifica di disegno tecnico perché non ha fatto nulla» oppure, ancor più spesso, quante volte capita di pensare che la figlia o il figlio maggiore siano più portati per la scuola mentre «il secondo no, lui ama solo giocare a calcio»? Le aspettative genitoriali sulle abilità e sui risultati dei figli – a scuola, nello sport, nelle attività intellettuali o sociali e in futuro nel mondo del lavoro – hanno un grande peso sul rendimento oggettivo del figlio o della figlia e finiscono per stimolarne l’andamento scolastico.
Grandi speranze, grandi risultati
Nello specifico, lo studente arriva per omologazione a raggiungere esattamente i risultati attesi dai propri genitori, o riesce ad andarci molto vicino, assecondando un desiderio e spesso un’etichetta che è tutta opera di mamma e papà, frutto di un processo psicologico nutrito nel corso degli anni e divenuto, quando il ragazzo o la ragazza frequentano le scuole superiori, una sorta di verità familiare. Dunque la responsabilità dell’indirizzo di padre e madre è molto forte, soprattutto quando in campo vi sono delle differenze, tra fratello e sorella per esempio: a sostenere questa teoria è uno studio psicologico congiunto di due atenei americani, la Brugah Young nello Utah, e la Penn State in Pennsylvania.
Tra fratello e sorella
Lo studio ha preso in esame 388 coppie di fratelli in altrettante famiglie con entrambe i genitori presenti. Nel campione si alternavano coppie con un fratello e una sorella, due fratelli, due sorelle, con la sorella maggiore del fratello e anche con la situazione contraria. Il tentativo era quello di rappresentare tutta la casistica di combinazioni di sesso ed età possibili tra i figli in età scolare. I genitori coinvolti dovevano rispondere a una serie di questionari, raccontando come si comportavano i figli a scuola, chi era il migliore tra i due, in cosa si differenziavano.
Primogenito e «cadetto»
I risultati di questo test hanno ancora una volta dimostrato come i genitori, nella media, tendano a pensare che il primogenito sia più intelligente e performante del secondogenito. Allo stesso modo, se la coppia di fratelli era composta da un maschio e da una femmina, madre e padre dichiaravano che la femmina era più brava a scuola del maschio nella maggioranza dei casi, anche se la figlia era la secondogenita. Queste credenze non vengono mai scardinate tra i genitori nemmeno alla prova dei fatti ma soprattutto sono proprio questi pensieri – inconsci o esternati di fronte ai figli – a guidarne i risultati scolastici.
Un fattore da tenere in considerazione
La ricerca psicologica ha dimostrato, registri e pagelle alla mano, come quel ragazzo i cui genitori pensano che sia poco portato per lo studio, che faccia fatica in determinate materie e che non abbia voglia di stare sui libri al pomeriggio, finisca per collezionare una serie di voti medi e bassi. Quello studente che per contro viene giudicato il genio di casa, abituato allo studio e destinato a collezionare ottimi risultati scolastici, anche se non diventerà un professore universitario, otterrà ugualmente voti alti e giudizi molto positivi. Nel bene e nel male dunque, le speranze che i genitori ripongono nei figli dimostrano di essere uno dei fattori chiave nel loro successo nello studio, elemento che viene sempre tenuto poco in considerazione nel giudizio complessivo di un ragazzo o di una ragazza nel corso dei suoi studi.