I giovani? Ormai sono solo consumatori docili, ingordi e acefali

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di Fulvio Abbate,  Linkiesta,   16.8.2017

– Prima del ’68 essere giovani era solo un fatto anagrafico. E poi? Poi i giovani sono diventati una categoria di consumatori, i più ingordi e acefali che ci siano.

L’ “invenzione” dei “giovani” segna una tra le più grandi conquiste della banalità di massa, se non la più evidente. L’inizio del fenomeno risale, così temo, al ’68, l’anno di svolta in cui ogni cosa venne, doverosamente, rimessa in questione, dalla famiglia alla scuola, e, giù giù, fino al concetto di classe finalmente mista e ai pantaloncini corti aboliti. I giovani, di fatto, non esistevano in proprio, almeno fino a quel momento, c’erano cioè unicamente come dato anagrafico, nell’implicito incoraggiamento a tacere aspettando la maggiore età, se non quella del matrimonio: nei hai di tempo prima di morire, ma anche per davvero esistere e decidere cosa fare della tua vita… Un graffito sull’argomento? Ricordo certe domeniche in trattoria, eravamo ancora sul finire degli anni ’60 e, improvvisamente, ecco che, in modo assai plateale, davanti a tutti, il “giovane”, in quanto figlio, si ritrovava preso a schiaffi, mortificato in pubblico per un nonnulla: «Zitto tu, chi ti ha detto di parlare?», così sembrava dirgli il padre soffiando un istante dopo platealmente sul palmo della mano ancora caldo per il ceffone assestato, anzi, la “sberla”, parole e gesti ormai desueti, anzi, a rischio denuncia. Allora, al giovane non era neppure riservato un abbigliamento particolare, che insomma lo connotasse come tale.

I jeans, mi dirai.

Attendi e ti dico. Pochi giorni fa, passando dal commissariato “Celio” di Roma per rinnovare il passaporto, ho scorto alle pareti una stampa d’epoca fornita come complemento d’arredo dal ministero dell’Interno (forniture anni Cinquanta, forse) che mostrava, appunto, il “giovane” trattenuto al cospetto di un funzionario di polizia donna. In quel ritratto, il giovane era raffigurato in “blue-jeans” (sic), cioè con il risvolto a mano, c’era poi il dito ammonitore della agente, quasi a dire implicitamente: «Mo’ chiamo i tuoi, e saranno cazzi amari per te…», la mano sinistra già sulla cornetta del telefono.

A quel tempo, i jeans (ancora “blue”) erano ritenuti addirittura abbigliamento “sconveniente”, inappropriati per essere indossati a scuola. Inutile dire che in quella stampa, tra il ciuffo e lo sguardo sbilenco, il nostro farabutto eroe incarna il “Teddy boy”, il “blouson noir”, il cugino nostrano di James Dean e di Sal Mineo. Altre ere.

Come fare per accorgersi dell’esistenza dei giovani adesso che il mondo gli appartiene totalmente e in tutta evidenza? Facile, li scopri andando in viaggio o semplicemente in giro: sembra infatti che ogni genere di consumo gli sia destinato, dall’enoteca al baretto, l’intero corpo degli addetti alla progettazione del consumo lavora per tutti loro. Nel senso che, come hanno spiegato molto bene i Situazionisti già nel 1966 con un testo intitolato “Della miseria nel mondo studentesco”, non c’è consumatore più ingordo e acefalo del giovane. Se così non fosse, riflettendo, metti, per esempio, sulle droghe – naturali e sintetiche, fa lo stesso – il giovane si porrebbe il problema di cosa si sta “calando”. O no? E invece, avete mai visto un ragazzo che si sia domandato perché mai le “sostanze” in commercio sono prive di un “bugiardino” d’accompagnamento? I pusher, infatti, non vanno oltre un “Very nice!” al momento di passarti furtivamente la “roba”. Ti sembrerà un paradosso, non lo è.

Non c’è consumatore più ingordo e acefalo del giovane. Se così non fosse, riflettendo, metti, per esempio, sulle droghe – naturali e sintetiche, fa lo stesso – il giovane si porrebbe il problema di cosa si sta “calando”. O no? E invece, avete mai visto un ragazzo che si sia domandato perché mai le “sostanze” in commercio sono prive di un “bugiardino” d’accompagnamento?

Mi dirai ancora che è anche comprensibile, i ragazzi hanno bisogno di discontinuità, far tardi la notte, sesso pasticche e rock ‘n’ roll, se non techno, house, indie, ecc. Mi dicono, per esempio, che una città come Berlino, occupazionalmente parlando, si regge sui disc-jockey, mestiere che ha come bacino di riferimento proprio chi sappiamo. D‘altronde, al giovane l’ormone vibra, se così non fosse non starebbero sempre in giro con quella cazzo di bottiglia in pugno, o no? Birra e consolle, un binomio che sembra renderli, se non proprio felici, comunque riconoscibili come masse di un esodo da un locale all’altro, quanto alla conversazione sembra un‘attitudine ormai tramontata, cose del tempo di Proust, e tu ce lo vedresti mai Marcello nostro, metti, alla “LoveParade” di Berlino o al “Cocoricò” di Riccione in attesa dello shottino, del chupito?

Volendo rintracciare in modo ancora più esatto il momento in cui l’invenzione dei giovani è diventata un dato storicamente effettivo (dei “giovani”, badate bene, non della “giovinezza”, che è invece un concetto fascista, nel senso delle energie per andare a fare presto la guerra in senso diportistico e futurista, c’è perfino la canzone a sancirlo, come “…primavera di bellezza”), mi torna in mente una vicenda accaduta al filosofo Theodor W. Adorno, marxista, una delle menti della cosiddetta Scuola di Francoforte, parafrasato con i suoi Minima Moralia perfino dal cantante, un tempo per giovani, Battiato, sembra che le studentesse durante una lezione, nel 1969, lo accolsero in modo “provocatorio”. Nonostante Adorno esercitasse sui giovani un grande fascino, l’uomo, il prof, l’adulto era per nulla disposto verso l’estremismo che, inevitabilmente, porta verso il rifiuto del dubbio, egli amava anche la musica pop, o comunque, da musicologo, ne assecondava la predilezione presso i suoi studenti, ma il 31 gennaio del 1969 quando questi, i “giovani”, invasero il suo istituto impedendo le lezioni, Adorno chiamò la polizia. Un gesto che segna la fine del suo mito agli occhi dei ragazzi. Non finisce qui. Il 22 aprile infatti mentre spiega il “pensiero dialettico”, vede giungere proprio sulla cattedra tre studentesse dai lunghi mantelli, le ragazze sono lì per spargere petali di rose e tulipani, e infine mostrare il seno nudo. Adorno, si narra, a quel punto precipitosamente abbandona l’aula. In un’intervista, definirà l’episodio “rivoltante” e poco dopo confesserà all’amico e collega Herbert Marcuse – lui, sì, mito giovanile rimasto intatto – di trovarsi “in una grave depressione”.

Facciamo macchina indietro per un istante, un ultimo graffito che racconti il mondo prima dell’invenzione della categoria umana e antropologica ormai dominante. Mi torna in mente una fotografia di mia madre insegnante scattata in classe un decennio prima del “caso Adorno”, lì i ragazzi sembrano vecchi, in abito grigio e cravattina, tutti identici a se stessi. Uno di loro, mentre stanno accalcati davanti alla cattedra in attesa del clic, ritenendo l’insegnante “comunista”, solleva alla sua spalle una foto di Mussolini, a futura memoria fotografica, a perenne difesa del comunque ottuso mondo che fu, forse.

Roland Barthes, commentando una sua foto da ragazzo, sembra confermare: “A quel tempo i liceali erano tutti signorini”. E poi? Poi sono diventati giovani in una società di massa, tutti al banco in attesa di una consumazione. Ho semplificato, lo so, ma nella polisemia di una parola quale “consumazione” c’è ogni riflessione ulteriore possibile.

Roland Barthes, commentando una sua foto da ragazzo, sembra confermare: “A quel tempo i liceali erano tutti signorini”. E poi? Poi sono diventati giovani in una società di massa, tutti al banco in attesa di una consumazione.

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I giovani? Ormai sono solo consumatori docili, ingordi e acefali ultima modifica: 2017-08-19T18:18:06+02:00 da
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