di Giorgio Ragazzini, Il Gruppo di Firenze, 7.6.2021.
Si può battagliare contro le interrogazioni facendone la caricatura? È un gioco sbagliato e dannoso.
Negli ultimi anni si è fatta più frequente e più aspra la critica a diversi aspetti della scuola che si considerano superati; e tra questi l’interrogazione. Di per sé non è certo un male che la tradizione, in tutti i campi, venga sottoposta a verifiche e revisioni. È anzi un tratto fondamentale della cultura europea quello di sapersi via via rinnovare mantenendo vive le sue conquiste. Purché non lo si faccia basandosi sulla caricatura di ciò che vogliamo mettere in discussione e proponendo alternative credibili. Non sempre è così. Qualche esempio:
All’umoralità, alla vaghezza o alla pretenziosità di molte di queste critiche si può rispondere prima di tutto che non c’è un solo modo di interrogare; e che da decine di secoli lo studio individuale è fondamentalmente basato sulla lettura, la comprensione e la memorizzazione di testi scritti. E che sottolineare, annotare, prendere appunti, aiutarsi con schemi o sintesi, farsi delle domande, provare a ridire quello che si è letto, sono i metodi che più o meno tutti hanno usato per impossessarsi di un argomento (e niente di tutto questo si può definire “ingurgitare”). Inoltre, esporre il pensiero di un filosofo, la dimostrazione di un teorema, le cause, le origini o le conseguenze di un evento storico non significa di per sé “ripetere a pappagallo” quello che si memorizza. L’espressione è appropriata solo quando si capisce che lo si sta facendo senza comprendere quello che si dice. E di norma è anche un esercizio di grande utilità per padroneggiare e arricchire l’espressione orale.
Insomma, capire ed esporre con parole proprie, arricchirsi di conoscenze e punti di vista da mettere in relazione è la base su cui si può – gradualmente – costruire la capacità di “muoversi nelle nozioni, elaborarle, argomentare” e solo dopo esprimere fondatamente, se è il caso, un proprio parere.
Ma non si deve incoraggiare un superficiale opinionismo, già patologicamente diffuso in rete, dove viene spessissimo ignorata, anche senza arrivare al terrapiattismo, la distinzione tra fatti e opinioni. Proprio in merito a quella che chiamava “cultura della supponenza”, anni fa Claudio Magris raccontò sul “Corriere della Sera” un episodio della sua esperienza di liceale che considerava una lezione di umiltà, certo agli antipodi delle tendenze di cui sopra. Interrogato sul pensiero di un filosofo, il futuro germanista iniziò con un “Penso…”, ma fu immediatamente bloccato dal professore che esclamò: “Come osi pensare, Magris? Lìmitati a esporre!”
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I nemici dell’interrogazione ultima modifica: 2021-06-10T12:32:37+02:00 da
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