I padroni e la scuola

inviata da Sergio Torcinovich, 9.2.2018

– Sulla preparazione professionale degli studenti.

– Con cadenza regolare ritorna il dibattito sulla scuola che deve formare lavoratori adatti alle esigenze della produzione. Dirigenti confindustriali, ai quali evidentemente non basta più comandare in fabbrica, pontificano esigendo che si istruiscano i ragazzi alle nuove “professionalità” di cui necessitano: solo così si uscirà dalla crisi. Affermazioni che lasciano il tempo che trovano, ma che sono intrise di ideologia: non è il modello produttivo a causare disoccupazione e, quindi, crisi di sottoconsumo, ma l’inefficienza di strutture di contorno e ausilio, quale è evidentemente considerata la scuola. Da qui il passo è breve per ritenere i disoccupati la causa della disoccupazione, in quanto inadatti e non formati secondo le “esigenze del mercato”. L’incoerenza e la confusione sono  tali che il giorno successiva opinionisti qualificati elevano peana e alti lai all’automazione che sostituisce il lavoro vivo ed esige sempre nuove e diverse professionalità. Si va così discettando nel mentre le generazioni anziane rimangono forzatamente nei loro posti di lavoro per cui risulta interrotto il naturale ricambio.

Le non meglio precisate “esigenze dalla produzione” dovrebbero portare l’istituzione scolastica a rivedere programmi e approcci disciplinari in modo da preparare adeguatamente i discenti alle “sfide” del mondo del lavoro. Non solo giovinezza, maturità e, dopo la Fornero, gran parte della vecchiaia, ma anche l’adolescenza se non addirittura l’ultima infanzia dovrebbero essere dedicate al lavoro (o alla sua spasmodica ricerca). Di conseguenza, la crescita di individui in grado di ragionare e, perciò stesso, capaci di adattarsi magari creativamente e autonomamente a nuove esigenze e necessità, nella consapevolezza che il lavoro è un diritto / dovere della cittadinanza, non deve più essere la “mission” della scuola; no, questa deve formare (o condizionare?), eterodiretta dalle “realtà del territorio”, le nuove leve del lavoro, posto che le imprese hanno deciso di non spendere più per la formazione anche perché l’ideale perseguito è il lavoratore a chiamata, altrimenti detto usa e getta. La formazione, specie se continua, deve essere un costo sociale e la scuola, segnatamente quella tecnica e professione, lo deve coprire. La realtà poi dimostra che gran parte delle imprese introducono tecnologie che abbisognano di manodopera per nulla qualificata, con mansioni elementari e ripetitive e perciò stesso facilmente sostituibile anche con lavoratori stranieri, ma tant’è …

In questo rilevo tanta voglia di una sorta di “totalitarismo del lavoro” sicuramente incoerente se si analizza la continua, incessante e spasmodica evoluzione del sistema produttivo non permette la cristallizzazione in figure professionali precostituite di intere generazioni di lavoratori, pena la loro precoce obsolescenza. La robotizzazione e/o la standardizzazione di gran parte del ciclo produttivo che risparmia lavoro ed elimina professionalità, poi, pone un altri ordini di problemi, tra cui quello relativo alla distribuzione del prodotto che non può più essere legata al lavoro svolto, pena l’ampliarsi degli strati di working poor. Ma qui il discorso si amplia, coinvolgendo natura e struttura delle classi sociali.

Per adesso, ci limitiamo a osservare che viene richiesto personale già formato o in “formazione continua” e che all’istituzione scolastica viene indicato di assecondare questa esigenza, tradendo la sua funzione formativa di individualità consapevoli e capaci di scegliere; ma può farlo solo goffamente, rincorrendo mode e progetti astrusi e inventandosi oggi alternanze scuola – lavoro, domani chissà. L’importante che passi il messaggio: si vive per lavorare e non sempre il lavoro deve essere pagato. E se sei disoccupato, se non è colpa tua, è colpa della scuola.

Febbraio 2018

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I padroni e la scuola ultima modifica: 2018-02-09T07:13:31+01:00 da
Gilda Venezia

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