I RI-animatori “digitali” tra MALA Scuola e Curricolarità Curricolare

segnalata da Massimo Greco, in Direzione OSTINATA e CONTRARIA,  Marzo-Aprile 2017 

– Ad oltre un anno dalla diffusione del PNSD ed a seguito di riscontri e confronti avvenuti, in varie sedi, tra Animatori Digitali, ma non solo, è possibile fare un bilancio che tenga conto delle criticità più comuni emerse sul piano pratico nei vari ordini di scuola.
Al di là di facili entusiasmi che possono aver accompagnato l’impegno ed il lavoro di questi mesi non possiamo non rilevare che nelle scuole italiane persistono problematicità endemiche, concrete, legate alla diffusione delle ‘nuove’ tecnologie che il nostro “sistema scuola” si tira dietro sin dagli anni ’90 del secolo scorso.

Queste criticità non da poco investono, ancora oggi, sia la sfera infrastrutturale che teorico educativa.
Sebbene mai come negli ultimi due anni l’attenzione governativa sembrava aver preso la direzione di uno sforzo di “indirizzo” e di investimenti senza precedenti (i progetti P.O.N, accompagnati da altri annunci di investimenti, impegni di spesa, ecc.) la macchina organizzativa appare totalmente inadeguata a vari livelli e perfino là dove dovrebbe trovare ultima quanto concreta applicazione, nella didattica, nella programmazione stessa della didattica e dei processi formativi, assistiamo ad un pantano, anche motivazionale, che produce resistenze che di fatto finiscono col rendere difficile, se non col bloccare del tutto, processi che dovrebbero essere innovativi anche sul piano della metodologia e dei contenuti della didattica.

In questo contesto, per quanto possa apparire anche ‘paradossale’, è il governo stesso che promuove un indirizzo volto al cambiamento, alla creatività, alla trasversalità ed all’interdisciplinarità culturale (che tra l’altro non è neppure cosa nuova). Un input che ci arriva “dall’alto” poiché di fatto, il “dal basso”…, non ci fa brillare granché.

L’introduzione stessa di figure come l’Animatore Digitale, che avrebbe dovuto e potuto rappresentare una nuova professionalità funzionale, ci dice che il mondo della scuola necessita di ‘animazione’. Ma cosa dico… “animazione”…. qua si tratta di “Rianimazione” bella e buona. A dir poco di respirazione bocca a bocca!
Di defibrillazione a mezzo defibrillatore! Ovvero di una mobilitazione concreta nella promozione delle ‘nuove’ tecnologie, di una cultura didattica diversa, fatta di priorità diverse a fronte di una realtà sociale ed economica che la scuola ha sempre dovuto rincorrere con affanno. Quindi il messaggio ci arriva perfino in termini di esortazione, quasi morale, “diffusione di buone pratiche”, “dotatevi di buone pratiche”.

Tutto ciò dovrebbe risultare evidente anche dai linguaggi e dagli indirizzi che ci vengono proposti. Lo si dovrebbe recepire dal fatto che le istituzioni stesse ci invitano a seguire gli input formativi che ci arrivano da un Bogliolo o la metodologia stessa che trasuda da piattaforme come code.org e ProgrammailFuturo. Input che ci invitano, chiaramente, quantomeno a mettere da parte la curricolarità del passato, a metterci al passo coi tempi.

E, invece, come già avvenuto un ventennio fa, la scuola, nei fatti, continua a trincerarsi nei pantani della vecchia programmazione ‘tradizionale’, nei vecchi schemi intrisi di didattichese tronfio, burocraticume e medicalizzazione* isterica della didattica. Ciò avviene nella pratica quotidiana e perfino in termini di ‘progettazione’ dove al massimo, nei PTOF, la diffusione delle “buone pratiche” o del PNSD resta solo sulla carta a fare da specchietto per le allodole a qualche misero finanziamento da spartire con gli Avvoltoi e i Vampiri+IVA appostati in Consip.

Se da un lato la macchina istituzionale può dare l’impressione di osare passi più lunghi della propria gamba, di non creare le condizioni o i presupposti tecnici ed amministrativi per l’attuazione concreta di determinati auspici, dall’altro, il ‘corpo docenti’ (scusate il burocratese becero ma realistico) non può continuare a trincerarsi nella stagnazione di pratiche e modelli di riferimento che lasciano le cose come stanno.

Non si può continuare a contrapporre il cartaceo al digitale, non si può continuare a perpetuare quella settorialità che porta troppi insegnanti a sostenere affermazioni del tipo “non faccio ‘tecnologia’ e quindi non sono io che li devo portare in laboratorio” o a continuare, da oltre vent’anni, a non vedere gli “appigli” o gli “agganci” alla ‘programmazione curricolare’..

Non solo.

La mistificazione delle “competenze”.

Da quando ha preso piede la perversione dell’Azienda come modello di riferimento, abbiamo assistito alla svolta ideologica (sul serio) che di pari passo ha accompagnato ogni riforma delle ultime legislature: la questione delle “competenze”.
Progressivamente abbiamo assistito ad una fase, giunta ai giorni nostri, dove tutti si riempiono la bocca di “competenze” e di “certificazione delle competenze”, di “programmazione per competenze”…  ecc.
Sono stati organizzati perfino indottrinamenti “formativi” dove abili arzigogolisti, collaborazionisti, hanno tentato di propinare il ‘modello’ in qualsiasi ordine di scuola. Senza convincere nessuno… tant’è vero che quasi vent’anni dopo… molti interrogativi restano, molti stracciandosi le vesti sostengono che il processo non è stato ancora attuato… altri, scrollando le spalle, magari a livello di corridoio… ti dicono che infondo “è tutta una minchiata”! Peccato non siano mai disposti a farlo nelle sedi dove si prendono le decisioni.
In questa ultima osservazione va anche detto che vi è una sottovalutazione grave del problema. Non nel senso auspicato dai collaborazionisti, ma di fronte ad un processo degenerativo dove la cosiddetta “competenza” – che in tutti i tentativi di riforma sostituisce la conoscenza come punto di arrivo del processo di insegnamento/apprendimento – è, per così dire, la categoria che sul piano teorico giustifica la pervasiva mobilità del sistema e ne assicura l’attuazione su quello pratico fino all’affermazione della soluzione finale: l’imposizione del modello aziendalistico.

La superficialità endemica porta a vedere nel concetto di “competenza” non solo uno slogan, ma un qualcosa di “giusto” e “corretto”, lo parifica alla ‘conoscenza‘, al ‘saper fare‘. Populisticamente lo si trasporta all’incompetenza dei politici… alla ricerca di modelli di ‘efficienza’ e quindi figuriamoci… come si fa ad esser contro la “competenza”? Ed ecco che pian piano gli accaniti sostenitori riescono anche a spingersi oltre… o meglio… diciamo a manifestare il vero volto che emerge dietro la superficialità… infatti di lì a poco il passo è breve nel dichiarare che la “conoscenza” è ‘nozionismo’ e quasi inutile da un punto pragmatico e concretistico…

NON è un caso che la spinta più energica verso certi modelli è avvenuta proprio tramite governi con ministri divenuti noti anche per aver affermato che “la cultura non si mangia“!

Ecco perché la questione delle “competenze” va associata alla “spinta” ideologica del modello aziendalista, che taluni definiscono impropriamente come “americano”.
La “scuola dei quiz” che insegna che 2+2=4 , ossia devi solo memorizzare dei dati ed applicarli, come in fabbrica, come in qualsiasi realtà produttiva dove tra postulati e assiomi, gli enunciati, pur non essendo stati dimostrati, devono essere considerati veri…

Quindi, alla luce di tutta questa inoppugnabile realtà di dati di fatto, non deve assolutamente sorprendere quando la Fondazione Agnelli e le Associazioni industriali spingono, da anni, affinché la scuola italiana si adegui alle “esigenze del sistema produttivo”, basato sul basso costo del lavoro, sfruttamento sempre più feroce, precarietà, mobilità e flessibilità delle mansioni; poiché ad essi interessano solo e soltanto un adattamento alle condizioni schizoidi volute dal mercato ed un addomesticamento funzionale a carico dello stato.

Ecco il perché di tutta questa Piazza Venezia delle “competenze”: si vuole un modello che garantisca il saper fare NON il saper pensare. Tutto ciò fa comodo non solo alla grande industria, ma al modello aziendalista in sé, perpetuato nella sua pervasività ovunque, anche a livello di piccola e piccolissima impresa, a cui servono persone che sappiano fare ma non ragionare.
Ecco perché la non l’attuazione’ o la non ancora “piena attuazione” di certi modelli va vista solo e soltanto come un fatto positivo. Seppur purtroppo ancora per poco. Punto.

Tra mortificazione salariale (…) e Disincentivazione Feroce.

Contrariamente a ciò che costituisce credenza comune... la realtà realistica in cronaca ed in virtù ostentata dei Dati di Fatto, anche tutta la vicenda legata all’introduzione di certe “figure” dimostra di essere parte integrante di politiche truffaldine e farabutte. Sin dall’inizio gli osservatori più attenti hanno evidenziato subito gli aspetti monchi sul piano delle risorse e della sostenibilità e quindi tutto l’aspetto ‘retributivo’ di funzionalità come quella dell’ “Animatore Digitale” . Tutte le sproloquiate di Predicatori e Uffizianti collaborazionisti sono sempre venute meno di fronte a questa cruda realtà. Tanto da divenire argomento tabù.

NON è mai stata infatti affrontata, men che mai contemplata, la retribuzione di questa Figura. Come in tutte le vicende truffaldine, con “tocco” di “$inistra”…, NON esiste traccia alcuna sull’aspetto salariale, o comunque remunerativo, di una funzione chiamata addirittura a sostituirsi alle storiche inefficienze e, soprattutto, inettitudini dei servizi amministrativi delle singole istituzioni scolastiche e di funzioni che implicano una mole di lavoro a dir poco esosa.

Tutto ciò che lineaguidisticamente si delira è il demandare all’autonomia scolastica “senza oneri” per l’amministrazione. Ovvero: lavoro gratis puro e semplice. Nient’altro.

A questa cruda realtà i collaborazionisti, in funzione della permanente difesa dell’indifendibile, al massimo, hanno opposto arzigogolerie giustificazioniste, per altro mal poste dialetticamente e viziate da pigrizia mentale ragionativa o da interessi personali.
Io stesso sono stato bannato dal più numeroso e rappresentativo, nei numeri, gruppo di facebook sugli AD… per aver osato porre energicamente il problema.
Il che la dice lunga e tutta, sulla macchina di Sistema messa in atto. Con annesse e connesse metodologie che definirle fasciste è pure poco.

Dal panorama ‘professionale’ legato all’equivoca figura dell’Animatore Digitale emerge quindi una triste realtà così materialisticamente sintetizzabile:

1: La stragrande maggioranza degli “inquadrati” NON ha ricevuto alcuna remunerazione.

2: Una parte, minoritaria, ha ricevuto compensi, per lo più miserevoli, camorrati sotto altre voci espresse in qualche forma di ore aggiuntive o di uso distorto del “Bonus Premiale di Produttività” in quanto sostitutivo strumentalmente della retribuzione oraria o di funzioni non riconoscibili sotto altre voci. Cosa da non confondere con il bonus di 500 euro della cartadocente che rappresenta un’altra differente problematica a parte, per giunta triste.

3. Una assoluta minoranza, insignificante nei numeri, come me, vista l’assenza conigliesca in materia della trimurti confederale, ha rischiato e si è esposta conducendo una battaglia per un riconoscimento almeno pari a quello di una “Funzione Strumentale”.

A Tal proposito devo condividere e socializzare… che:
Io Personalmente mi sono dimesso fino a che non mi è stata riconosciuta una retribuzione aggiuntiva di 1200 euro netti. Altrimenti non avrei più mosso un dito. La cosa potrà essere anche insignificante nei numeri… ma non lo è dal punto di vista della dignità e della coscienza professionale al cospetto dei più. L’intento era anche quello di creare dei precedenti. Praticamente una quattoricesima essenziale. Scusate se è poco.

In questo contesto di NON riconoscimenti va anche aggiunta la pagliacciata criminale degli attestati per la formazione degli Animatori, costretti a frequentare corsi che hanno rilasciato attestazioni insipienti e volte a marcare la “Professionalità ZERO” senza spendibilità alcuna.


Gli “Eventi formativi” (…)

Gli eventi formativi, in sé, dovrebbero essere una occasione di invito alla svolta. Una sorta di “invito” che DEVE essere supportato dall’istituzione scolastica e dai dirigenti stessi.

Che ciò avvenga in occasione delle giornate di promozione del coding o sulla diffusione di “buone pratiche” a poco può servire se non ci si dota della presunzione di concorrere al cambiamento. Che poi, come abbiamo poc’anzi visto…, dipende da quale tipo di ‘cambiamento’.

Ed in parte già lo sono. Solo in parte e negli auspici, però. Poiché per tutto il resto, i “formatori” stessi, per mere ragioni di Bottega, si guardano bene dall’abbandonare la logica del piede in due scarpe. Del resto è nella natura della loro funzionalità ad un sistema da BUTTARE.

Il messaggio che dovrebbero ricevere i docenti deve essere quasi traumatico. Smart, spettacolare. Ma deve soprattutto dare un indirizzo.
Deve dire: “si deve andare in questa direzione e non in quella che avete sostenuto fino ad oggi“. Non si può più tornare indietro.

Ma purtroppo, spesso…, anzi qua si DEVE ‘generalizzare’ perché NON si può negare la realtà in cronaca dei Dati di fatto, certi eventi si riducono ad una SQUALLIDA passerella di Lecchinaggi verso figure istituzionali che rappresentano solo e soltanto la Cancrena della Scuola. Di qua non si scappa.
E questo come Doverosa Premessa, per quanto riguarda i “contesti”. TUTTI i ‘contesti’ risentono di campanilismi e squallidi localitarismi vergognosi già di per sé e che, al peggio, ripropongono cieca spasmodica adesione ad ogni riforma, tra il tutto ed il contrario di tutto, ed alle istericità delle rispettive “linee guida”.

Si ‘auspica’ sul piano motivazionale, ad esempio, l’attenzione alla “creatività”…, alla “trasversalità”…, alla sperimentazione, si propongono percorsi formativi e piattaforme che raccomandano, a dir poco, di tenersi ben lontani dal piattume della “curricolarità”… per poi finire con l’istituire o pretendere di istituire la curricolarizzazione di certi percorsi, buon ultimo quello del “coding”… magari finendo con lo scopiazzare tabulazioni da uda del 2001. Qui i maniaci e le maniache della tabulazione… si scateneranno tra “indicatori” e la vuotezza insulsa degli obiettivi per “competenze”….

La “LIM”, se proprio la si vuole adottare, NON può essere ridotta a surrogato che vada ad emulare la lavagna tradizionale. L’interattività è ben altra cosa. Non serve a nulla emulare il gessetto per scrivere in corsivo o per fare cerchietti con una penna a batterie…. Ci serve per introdurre il cinema in classe, youtube, wikipedia, viaggiare in 3d con Google Earth, andare in videoconferenza con Samantha Cristoforetti, o chi per lei, dalla stazione spaziale internazionale, implementarla con i sempre più diffusi accessori per la “Gesture Recognition”… altro che penna a batteria che emula il mouse… o il TOSSICO gessetto ‘tradizionale’ o la cancrena del cartaceo squartaforeste che rispunta in tutte le salse come “valore” tradizionale ed “identitario”…. magari a supporto di un appalto che porterà la LIM in classe con vere e proprie rette, a costi d’usura, e sulle spalle delle famiglie… della scuola “Pubblica”…!

Io posso anche proiettare ed illustrare esperienze di altre scuole d’Italia, considerate all’avanguardia oltre vent’anni fa, recensite pure dalla RAI, vissute come “aliene” allora ma che per le premesse prima evidenziate, paradossalmente, risulterebbero ‘aliene’ ancora oggi. Fermo restando che sul piano dell’utenza, chi vi ha preso parte, chi vi ha avuto accesso, le ha sempre vissute in modo piacevole, in modo entusiasmante, coinvolgente ed in termini di arricchimento formativo. Esperienze per le quali mi sono messo anche in gioco in sede d’esame ai concorsi pubblici. Esperienze che certi esami me li hanno fatti superare brillantemente e che per le opportunità conseguite, in termini di professione, mi permettono anche di non dover dire grazie a nessuno. Tutte cose, però, oggi come allora, ieri come oggi, che continuano a risultare “ALIENE” al cospetto di una scuola che allo stesso tempo continua a sostenere ed incentivare una curricularità geneticamente … cartacea.

Una Grande Bottega degli Orrori fatta di “linee guida”.

La scuola ha dapprima demonizzato la televisione, in modo assurdo, perdendo l’occasione formativa di una cultura della gestibilità di quello strumento.
Successivamente si è passati a demonizzare i “videogiochi”, anzi le piattaforme hardware che li permettevano, perdendo l’occasione di gestire un processo educativo e conoscitivo per il padroneggiamento dello strumento. In questa fase si è persa, quindi, anche l’occasione di gestire appropriatamente l’informatizzazione della scuola stessa.

Poi è arrivata Internet e la si è ostacolata in tutti i modi, anche sul piano burocratico, a volte anche sul piano del terrorismo, non cogliendo, fin dall’inizio, la necessità impellente di quello che solo oggi, balbettando, si promuove come “uso consapevole della rete”.
Poi abbiamo assistito alla demonizzazione di cellulari e smartphone, inventando divieti privi di ogni senso e significato (mentre nei corsi di formazione in materia di tecnologie divenivano strumenti da cui non si può prescindere).
Solo nel corso dell’estate 2016 il governo ha revocato (in punta di piedi ed in modo equivoco) divieti cocciuti e bacchettoni, ammettendo che il mondo stava andando in direzione ostinata e contraria a quello che si è sempre sostenuto.
È in questo quadro ed alla luce di queste enormi criticità da evidenziare che va impostato un NUOVO percorso che sia anche formativo, di indirizzo e di svolta.
Va fatto in modo che gli insegnanti, come gli studenti, non trovino la cosa noiosa, ripetitiva di eventi passarella dove la ricaduta è sempre rimasta pari allo zero. Va fatto in modo che l’evento sia ricordato come una svolta, un punto di partenza che dovrebbe essere ricordato come l’inizio di un qualcosa. Possibilmente…, NON aspettando Godot.


Maurizio Cattelan – Installazioni al Museo di Arte Contemporanea di Rivoli (TO), replicata a New York ed in occasione di ogni rassegna di rilevanza mondiale.

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I RI-animatori “digitali” tra MALA Scuola e Curricolarità Curricolare ultima modifica: 2017-04-14T04:19:20+02:00 da
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