di Martin Venator, dal profilo FB La nostra scuola, 15.5.2025.
Non si è arreso tutto in una volta. Ha resistito, all’inizio. Ha provato a capire, a proporre, a credere che si potesse ancora discutere, cambiare, salvare qualcosa. Ma poi ha iniziato a cedere. Un modulo dopo l’altro. Una griglia dopo l’altra. Una piattaforma, una rendicontazione, un progetto in più.
Ha capito che era più facile lasciar correre. Ha smesso di lottare.
Il docente adattivo non è un servo del sistema. È un sopravvissuto. Non è entusiasta della deriva aziendalista, ma si è convinto che opporvisi sia solo fatica sprecata. Firma tutto, partecipa a tutto, accetta ogni sigla: PCTO, PTOF, RAV, PNRR. Recita il copione con mestiere, senza convinzione.
Insegna sempre meno e documenta sempre di più. Compila, verbalizza, monitora. A volte si sorprende a pensare che la sua professione sia diventata un lavoro d’ufficio mal pagato. Ma ormai ha fatto l’abitudine. L’importante è che “non gli complichino la vita”.
Quando arrivano nuove riforme, nuove piattaforme, nuove urgenze ministeriali, non reagisce più. Sorride stancamente e dice: “Ce lo chiede l’Europa”. Sa benissimo che dietro quella burocrazia non c’è alcun progetto culturale. Ma la sua soglia di tolleranza è alta, altissima. Ha imparato a vivere a compartimenti stagni, ad abbassare le aspettative. Non sogna più la scuola che voleva. Sogna solo che nessuno lo disturbi.
È solo. Non parla più con i colleghi se non per scambi tecnici. Evita ogni discussione potenzialmente “ideologica”. Quando qualcuno si ribella, prova una fitta di ammirazione e fastidio. Dice: “Hai ragione, ma non serve a niente”.
La sua è una pedagogia muta: trasmette rassegnazione, senza volerlo.
Eppure, non è un docente mediocre. È stato, forse, uno dei migliori. Ma qualcosa si è spento. Ha visto troppi dirigenti trasformarsi in manager, troppe sottomissioni premiate con incarichi, troppi studenti abbandonati a progetti che li distraggono invece di educarli.
Ha smesso di sperare che si possa ancora insegnare davvero.
Che si possa costruire conoscenza, non solo simulare competenze. Che la lezione abbia ancora un senso. Che la scuola possa essere altro rispetto a questa catena di eventi, documenti, urgenze, certificazioni.
A volte, però, qualcosa lo scuote. Uno studente che ascolta. Un collega che si espone. Una voce che rompe il silenzio.
Ma dura poco. Il sistema riprende il suo corso.
E lui riprende il suo ruolo: quello del funzionario obbediente di un’istituzione che ha smesso di credere in se stessa.
Così, giorno dopo giorno, la scuola muore anche attraverso di lui. Non per colpa sua, ma per la sua assenza. Non in un grande crollo, ma in una lenta, metodica, civile rassegnazione.
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Il docente adattivo. Ritratto mesto di una resa quotidiana ultima modifica: 2025-05-17T04:14:28+02:00 da