di Federico Marconi, l’Espresso, 8.9.2019
– Potrebbe essere uno dei modelli più all’avanguardia d’Europa. Potrebbe, ma non lo è per carenze di organico, inaccessibilità degli istituti, strumenti inappropriati. Ma anche perché la legge che nel 1977 ha istituito la “scuola integrata”, quella che permette ai bambini diversamente abili di frequentare le stesse classi e gli stessi corsi di tutti gli altri, non è mai stata applicata fino in fondo.
Per i 272mila studenti che ne avrebbero diritto ci sono solamente 156mila insegnanti di sostegno, secondo le ultime stime del Ministero dell’istruzione. Una situazione ancora più grave se si considera che circa 40mila insegnanti sono “in deroga”, ovvero senza studi di specializzazione. «Manca un piano programmatico. Viviamo una criticità a cui si sopperisce solamente con l’impegno e la buona volontà dei docenti», dichiara Manuela Calza del comparto scuola della Cgil. «Sono sempre più i genitori costretti a fare ricorso ai giudici per garantire ai figli il diritto al sostegno», continua. Le carenze di organico e la mancanza di specializzazione incidono soprattutto sulla continuità: il 41 per cento di studenti cambia insegnante rispetto all’anno precedente, il 12 addirittura durante lo stesso anno, scrive l’Istat nel report 2019 sull’inclusione scolastica.
Il rapporto evidenzia anche un altro grande problema: quello delle strutture. Solo il 32 per cento degli istituti è accessibile dal punto di vista delle barriere fisiche, mentre appena il 18 per cento lo è per la presenza di ostacoli senso-percettivi. «Nonostante sia un diritto, io ho dovuto lottare per permettere a Davide di accedere alla sua nuova scuola», afferma Carmela. «Non avrei permesso che entrasse da un’entrata differente da quella degli altri». E così per quasi un anno ha dovuto combattere tra e-mail, riunioni e tavoli tecnici con chi doveva sistemare l’edificio nella periferia nord ovest di Roma. «Solo così siamo riusciti a ottenere una rampa che non è solo per Davide, ma per tutti. Un genitore deve poter scegliere la scuola che vuole per il figlio, a prescindere dalle barriere architettoniche, che devono essere abbattute».
L’esperienza quotidiana di migliaia di ragazzi e delle loro famiglie rivela come la retorica della “istruzione inclusiva”, un modello per l’Europa dove ancora esistono le classi separate, non sia supportata dai fatti. «L’integrazione degli alunni con disabilità è un vanto per la scuola italiana, ma non si possono ignorare limiti», spiega Dario Ianes, professore di didattica e pedagogia speciale dell’Università di Bolzano. «L’integrazione e l’inclusione sono una responsabilità per tutti i docenti, mentre con la presenza dell’insegnante di sostegno si ha spesso un meccanismo di delega molto evidente. Avere il sostegno spesso legittima una sorta di esclusione dello studente, quando invece dovrebbe diventare cotitolare della didattica ed essere d’aiuto a tutti». E per questo, afferma Ianes, ci dovrebbe essere la piena applicazione della legge del 1977 «che prevede l’istituzione di un supporto socio-psico-pedagogico nelle scuole, ancora non presente». Una legge di 40 anni, ma ancora fondamentale per lo sviluppo di tutti gli studenti: «Il confronto è il motore dell’apprendimento, la diversità è una risorsa. Non solo per gli studenti disabili, che si confrontano con un modello competente, ma anche per i compagni che li aiutano. Un gruppo eterogeneo, se ben gestito, può essere d’aiuto a tutti».
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