di Enrico Rebuffat, Roars, 13.11.2024.
Cosa sono diventate le nuove procedure di reclutamento dei docenti della scuola pubblica? Nei concorsi per il ruolo docente, che sono regionali, la prova scritta non è disciplinare. Si tratta di un quiz a risposta multipla, nazionale e identico per tutte le classi di concorso: 25 quesiti di ambito psicopedagogico, 15 quesiti di ambito didattico metodologico, 10 quesiti per conoscenza lingua inglese e uso didattico delle nuove tecnologie. Un recente schema di decreto, giudicato positivamente dal Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, interviene sulle procedure di ammissione all’orale. Può darsi che nei concorsi passati (nel 1999, ad esempio, per la classe di concorso di materie letterarie latino e greco nel liceo classico c’erano tre prove scritte disciplinari e tre prove orali disciplinari) siano stati assunti docenti inesperti di pedagogia; ma certo si può escludere che con quella procedura sia stato assunto un docente ignorante della disciplina che andava a insegnare. Le buone prassi pedagogiche si possono e devono sperimentare e apprendere con l’esperienza didattica in classe, l’aggiornamento e il buon senso di chi crede nel lavoro che fa; i diversi ambiti disciplinari o li si conosce prima di diventare docenti o non li si imparerà più.
Il Consiglio superiore della pubblica istruzione (lo stesso CSPI di recente lodato da molti docenti come baluardo dei valori costituzionali per la questione delle linee guida di educazione civica) ha espresso il 21 ottobre scorso parere favorevole sullo schema di decreto che riforma il reclutamento degli insegnanti e dunque le procedure concorsuali.
“Il CSPI, alla luce delle considerazioni esposte, esprime parere favorevole sullo schema di Decreto in oggetto”:
così si legge nel documento ufficiale; ma in realtà considerazioni non ce ne sono, c’è soltanto la nuda asserzione del parere favorevole. Si vede che la positività delle nuove disposizioni è parsa ovvia al Consiglio.
La principale delle modifiche alle procedure concorsuali è questa:
«Alla prova orale è ammesso, sulla base dell’esito della prova scritta, un numero di candidati pari a tre volte quello dei posti messi a concorso nella regione per la singola classe di concorso o tipologia di posto, a condizione che il candidato consegua il punteggio minimo di 70 punti su 100. Sono altresì ammessi alla prova orale coloro che, all’esito della prova scritta, abbiano conseguito il medesimo punteggio dell’ultimo degli ammessi».
Ora, la modifica non solo non è positiva, ma è sciocca e odiosa.
Sciocca dal punto di vista dell’amministrazione stessa, ai fini di un reclutamento per merito (non servono a questo i concorsi? non è per questo che l’Europa ci dice di fare i concorsi e ci finanzia i concorsi?), perché è aleatorio che i migliori candidati, o per meglio dire i candidati che alla fine del concorso sarebbero i primi nella graduatoria finale di merito, si trovino compresi “nel triplo dei posti messi a concorso” nella graduatoria parziale della prima prova: a un punteggio della prima prova minore di un punto, o di pochi punti, ma a volte anche di parecchi rispetto ad altri concorrenti, può seguire e sovente segue nella seconda un punteggio ottimo o comunque superiore a quello altrui nella misura sufficiente a rientrare nella graduatoria finale di merito. Come se in una competizione sportiva venissero eliminati a metà gara tutti i concorrenti a partire dal decimo, qualunque sia il distacco dal nono, con l’argomentazione che tanto alla fine le medaglie da assegnare sono tre: un’ipotesi normativa del genere susciterebbe la protesta universale degli interessati e di chi tutela i loro diritti.
Ed è odiosa dal punto di vista dei candidati: questi sono chiamati dal bando di concorso pubblico a prepararsi (per mesi, con sacrificio e sovente con spese ingenti) per il superamento di due prove, la prima delle quali già prevede una soglia minima di 70/100; e invece superata la prima possono trovarsi – virtualmente con qualsiasi punteggio eccetto 100/100 – esclusi dalla seconda, non avere neppure la possibilità di sostenerla, per la mera e a loro assolutamente estranea circostanza che un numero di concorrenti pari ad almeno “il triplo dei posti messi a concorso” ha avuto un punteggio più alto. Sciocchezza e odiosità che divengono ancora maggiori qualora si mettano nel conto le attuali modalità di svolgimento dei concorsi. Negli odierni concorsi per il ruolo docente, che sono regionali, la prova scritta non è disciplinare. Si tratta di un quiz a risposta multipla, nazionale e identico per tutte le classi di concorso e così strutturato:
10 quesiti di ambito pedagogico;
15 quesiti di ambito psicopedagogico, ivi compresi gli aspetti relativi all’inclusione;
15 quesiti di ambito metodologico-didattico, ivi compresi gli aspetti relativi alla valutazione;
5 quesiti sulla conoscenza della lingua inglese al livello B2;
5 quesiti sulle competenze digitali inerenti all’uso didattico delle tecnologie e dei dispositivi elettronici multimediali.
Con le nuove regole, da un lato è probabile (per non dire sicuro) che un cospicuo numero di esclusi dalla seconda prova lo sarà in virtù di un’unica o di due risposte sbagliate rispetto all’ultimo degli ammessi: un concorso pubblico divenuto inutile ancora prima di finirlo, un percorso professionale e di vita frustrato per il solo fatto di aver sbagliato, in una prova superata e anche largamente, una sola domanda su cinquanta su di un software (magari obsoleto) o sul nome di un pedagogista (magari sorpassato) o sul numero di una normativa sull’inclusione (magari già riscritta).
Dall’altro lato la tagliola, la selezione prematura e aleatoria che le nuove disposizioni prevedono non avrà nulla a che fare con la preparazione disciplinare dei concorrenti: il quiz non la verifica. I concorrenti che dopo la prima prova rientreranno nel “triplo dei posti messi a concorso” potranno in teoria persino ignorare la disciplina o discipline della classe di concorso per la quale concorrono; mentre gli esclusi potranno in teoria esserne i massimi esperti e i più dotati insegnanti.
E non è finita.
Nell’ultimo concorso, appena concluso, i numeri dei posti per numerose classi sono stati esigui fino all’insignificanza in molte regioni. Vediamo per esempio la classe di concorso A013, materie letterarie latino e greco nel liceo classico, dal massimo al minimo numero di posti: 5 Lazio; 3 Calabria, Campania, Piemonte, Veneto; 2 Abruzzo, Basilicata, Lombardia, Sardegna, Sicilia, Toscana; 1 Liguria, Molise, Puglia. Con numeri come questi si può calcolare facilmente quale sarà nei prossimi concorsi “il triplo dei posti messi a concorso” e dunque quello degli ammessi all’orale. In Toscana per esempio, una regione con dieci province, sarebbero ammessi alla prova orale solo sei candidati: già dal settimo in poi, quindi da un punteggio certamente ancora molto alto, tutti esclusi a norma della procedura concorsuale. Non bastava al ministero che gli 83 candidati A013 della regione Toscana avessero concorso per due posti, cioè più di quaranta candidati per un posto. Ora bisogna anche dir loro che dal prossimo concorso solo sei sarebbero ammessi a sostenere la seconda prova, l’unica disciplinare; che solo sei di loro avranno – in un concorso pubblico per il ruolo docente – la possibilità di aprir bocca per essere valutati da esseri umani, non solo di digitare al computer in un quiz a risposta multipla dove anche tirando a caso si può indovinare.
Mi chiedo, e vorrei chiedere ai membri del Consiglio superiore della pubblica istruzione e a molti altri decisori, come oggi si dice, della scuola pubblica, se il fine, primario e vitale per la scuola, di reclutare i docenti migliori sia minimamente favorito, o sia al contrario gravemente danneggiato da norme come questa; se calpestare i diritti e la dignità dei candidati docenti, nel momento stesso in cui li si seleziona, sia il miglior modo di formare i futuri educatori civici del popolo italiano e di difendere i valori della Costituzione; e se il risparmio di spesa e di tempo che questa inaudita tagliola permetterà all’amministrazione sia così enorme e salvifico da giustificare (si Romae omnia venalia sunt, naturalmente: se proprio vogliamo accettare che a Roma tutto sia in vendita) lo scempio professionale e morale che essa produce.
Altre, e del tutto diverse, sono le modifiche che le procedure concorsuali richiedono, se il fine è garantire all’amministrazione la selezione dei migliori nel rispetto dei diritti e della dignità dei candidati. Chi scrive ottenne la cattedra nella classe A013 col concorso bandito nel 1999: tre prove scritte disciplinari (tema di italiano; traduzione dal latino all’italiano; traduzione dal greco al latino) e tre prove orali disciplinari (italiano; latino; greco).
Nella prova orale di greco, l’ultima, ai candidati della Toscana fu richiesto – tra l’altro – di aprire a caso l’Iliade, leggere in metrica e tradurre all’impronta: temibile quanto si vuole, ma questo deve saper fare un docente della materia, di qualsiasi materia, è questo il livello necessario se vogliamo che istruisca e appassioni gli studenti con la cultura e la passione che lui ha conquistato e vissuto prima di loro. Nell’ultimo concorso 2024 la prova scritta è stata il quiz a risposta multipla di cui si è detto, non disciplinare; la prova orale è consistita nella presentazione al computer di un progetto di lezione elaborato a casa (elaborato da chi?) su un tema assegnato dalla commissione 24 ore prima, e in una singola domanda disciplinare estratta da uno scatolone colmo di domande già predisposte “nella misura del triplo dei candidati da esaminare”.
Pertanto, in tutto il concorso, una singola domanda estremamente specifica (solo così le commissioni potevano soddisfare la prescrizione di preparare domande “nella misura del triplo dei candidati da esaminare”: tagliuzzando gli enciclopedici programmi d’esame in centinaia di striscioline) ha misurato le conoscenze disciplinari dei candidati e di fatto ha determinato i pochi vincitori. Può darsi che nel concorso del 1999 sia stato assunto un docente inesperto di pedagogia; ma certo si può escludere che con quella procedura sia stato assunto un docente ignorante della disciplina che andava a insegnare. Le buone prassi pedagogiche si possono e devono sperimentare e apprendere con l’esperienza didattica in classe, la buona volontà e il buon senso di chi crede nel lavoro che fa; l’italiano il latino e il greco (la matematica, la storia, la fisica, quello che volete) o li si conosce prima di diventare docenti o non li si imparerà più.
Questo, la conoscenza approfondita delle discipline e delle loro implicazioni e relazioni culturali, devono primariamente ed essenzialmente valutare i concorsi pubblici per il ruolo docente. Non inscenare una finzione in cui giovani laureati che non hanno mai insegnato (stanno partecipando a un concorso o no?) debbano simulare di essere docenti navigati ed esperti di didattica, pedagogia, normativa scolastica e accessori à la page, per sovrappiù trovandosi ostaggio di procedure arbitrarie che si arrogano il diritto di escluderli a piacimento dal concorso per un vantaggio economico dell’amministrazione.