Il rifiuto di parlare alla maturità: fu vera protesta?

di Alvaro Belardinelli, La Tecnica della scuola, 2.10.2025.

 Qualche riflessione a freddo.
Le differenze con le proteste giovanili di mezzo secolo fa: l’impegno di gran parte di quei giovani.

Gilda Venezia

I maturandi che si sono rifiutati di aprire bocca all’orale degli esami di maturità: passati alcuni mesi, dopo i fiumi d’inchiostro versati sull’argomento, possiamo ragionarci sopra a mente più fredda.

Riassumiamo i fatti: alcuni studenti, nell’estate 2025, si sono rifiutati di parlare al momento del colloquio orale. È accaduto nel liceo scientifico “Fermi” di Padova, poi al liceo scientifico di Belluno, poi ancora al liceo classico “Canova” di Treviso. Altri hanno seguito le loro orme nei giorni successivi.

Tutti rivendicavano la propria scelta come atto di protesta contro i meccanismi di valutazione del sistema scolastico e contro la scarsa “empatia” dei docenti, che li avrebbe indotti ad uno stato di continua ansia da prestazione. Tutti, comunque, hanno poi conseguito il diploma per somma di crediti, accontentandosi di un voto più basso (che in ogni caso non pregiudicherà troppo il loro futuro). Tutti hanno sostenuto che la Scuola è troppo competitiva, perché imperniata sui voti e non sull’apprendimento.

Successivamente, il ministro Valditara ha annunciato un futuro decreto per rendere passibile di bocciatura chi rifiutasse in futuro di sostenere l’orale. E la legge è arrivata: il Decreto-Legge 9 settembre 2025, n. 127, rende obbligatorio sostenere l’esame orale, con quattro materie, pena bocciatura.

Quali le differenze con le proteste giovanili di mezzo secolo fa?

La protesta potrebbe richiamare alla memoria le proteste dei giovani degli anni ‘60 e ‘70, che portarono successivamente alla delirante richiesta del “6 politico”. Tuttavia, una prima differenza con i ragazzi di quegli anni è l’impegno politico di gran parte di quei giovani, sostanziato da letture approfondite che li vedevano protagonisti di una critica articolata al mondo in cui vivevano, al consumismo, al capitalismo militarista, alla guerra, all’infelicità diffusa e alle tragedie che tutto ciò comportava per il mondo intero.

Chi protesta sono i più bravi?

Al contrario, la generazione attuale sembra avere al proprio interno solo pochi giovani dotati di analoga consapevolezza e profondità; oppure ne ha tanti, i quali però, non emergendo, non fanno lievitare la media.

Non sappiamo se i protagonisti di questa protesta recente siano ragazzi studiosi, profondi, impegnati politicamente e socialmente, o meno. Qualche dubbio potrebbe sorgere in proposito (benché qualcuno di loro lo sia sicuramente). Certo è che molti giovani di 50 anni fa leggevano Masters, Kerouac, Hemingway, Fromm, Marcuse, Russell, Tolstoj.

Una generazione che legge molto?

Oggi la situazione appare un pochino diversa: come gli insegnanti purtroppo ben sanno, la “lettura” più diffusa — tolte poche, consolanti e lodevoli eccezioni — sembrerebbe quella costituita dallo scrollo di filmati su TikTok o su altre app reperibili sul touchscreen del loro ipertecnologici device.

I docenti lo constatano parlando coi propri alunni, che a 15 anni (e spesso anche a 19 ed oltre) ignorano parole come avo, deglutire, sollevamento, apprendere, designazione, revocare, repressivo, supporre; oppure commettono con convinzione errori ortografici, grammaticali e sintattici semplicemente inconcepibili; o ancora, che non sanno coniugare il passato remoto di moltissimi verbi, persino regolari, né capiscono la differenza tra tempi composti e semplici, tra soggetto e oggetto, tra congiuntivo e condizionale.

Ansia da prestazione? O coscienza della propria impreparazione?

Sono forse costoro i più angustiati dai meccanismi di valutazione del nostro sistema scolastico, “competitivo” e “imperniato sui voti”, che genera “ansia”? Oppure, visti i risultati, si può supporre che, al contrario, il sistema scolastico sia imperniato (da almeno 30 anni) non sui voti, ma sulle sufficienze facili, elargite a piene mani da docenti consapevoli che là fuori c’è tutta una moltitudine, tutto un Paese, tutto uno Stato, che vogliono dai docenti solo ed esclusivamente questo?

Ogni popolo ha la politica che si merita e i governanti che si merita: soprattutto se quel popolo vive in un sistema democratico, perché i governanti può sceglierli. Ma il punto è proprio questo: per saper scegliere bisogna esser dotati di un bagaglio di conoscenze, tale da permettere a chi lo possieda di scegliere a ragion veduta; ossia sulla base della propria esperienza e alla luce delle proprie conoscenze. La storia, la geografia, le scienze, la letteratura, la filosofia: questo è il fondamento della coscienza civica e politica di un cittadino moderno. Non le app, né i social media. E nemmeno l’ultimo modello di smartphone, né i tatuaggi, né i piercing o i pantaloni sgarrati al ginocchio. Né le soft skills.

“Successo formativo” impedito dai prof? O da genitori iperprotettivi?

I genitori d’oggi, in larghissima parte, non appoggiano gli sforzi dei docenti per convincere gli studenti a studiare: l’espressione è eufemistica, come dimostrano le tante aggressioni, verbali e fisiche, contro i docenti e il personale scolastico. Pronti a difendere i propri pargoli ben al di là di ogni ragionevole dubbio, sono spesso i genitori  stessi — tranne molte gradevoli eccezioni — a convincere i figli che non essi, ma i profsono i veri colpevoli dei loro insuccessi.

Sarebbero perciò i prof ad impedire che il genio incompreso dei loro fanciulli sbocci e dia frutto? Se è così, non a caso, forse, una studentessa ha rifiutato di parlare agli esami dicendo che i suoi professori non hanno mai “visto” lei come è veramente. Quasi non fosse proprio la Scuola una palestra dove dimostrare appunto chi si è veramente. In altre parole, dove crescere, imparando a credere in se stessi tramite il lavoro e l’impegno.

Il valore legale del titolo di studio va difeso, perché tutela sul mercato del lavoro

Manca, negli studenti, la consapevolezza che il titolo di studio ha un valore legale; che il valore legale del titolo di studio li tutelerà sullo spietato mercato del lavoro; che senza questa tutela essi, poco preparati e inconsapevoli come sono, saranno carne da macello, nella nostra società oggi iperliberista (e perciò sempre meno normata da regole a tutela dei diritti minimi della persona).

C’è da chiedersi, anzi (purtroppo), se questi giovani sappiano realmente che cos’è un diritto, e se lo sappiano ancora molti dei loro genitori.

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Il rifiuto di parlare alla maturità: fu vera protesta? ultima modifica: 2025-10-03T05:27:38+02:00 da
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