di Antonio Re, Scuola Oggi, 1.9.2018
Su pochi argomenti si riscontra un contrasto di analoga portata ed evidenza.
Quando si chiacchiera, siamo tutti d’accordo sull’obsolescenza dell’insegnamento trasmissivo, sul fatto che gli alunni debbano soprattutto essere stimolati, avviati al ragionamento e allo sviluppo del pensiero critico; tutti mettiamo le competenze in primo piano rispetto alle conoscenze.
La mia netta impressione è che però in aula siano ancora dominanti le trasmissioni di nozioni, che gli alunni ripetano nelle interrogazioni quanto hanno sentito dai loro docenti o letto sui libri di testo, che la maggior parte degli esercizi proposti nelle verifiche e agli esami siano sostanzialmente ripetizioni di serie di esercizi già svolti in classe, per risolvere i quali basti seguire le istruzioni per l’uso.
Le prove invalsi, che mirano a scoprire l’autonomia nell’utilizzo di abilità e conoscenze, sono da molti ritenute difficili e una contromisura largamente diffusa nei confronti degli insuccessi nelle prove nazionali consiste nel propinare agli alunni delle serie di esercizi invalsi degli anni precedenti o di esercizi “analoghi”, nella speranza che quell’anno “capitino” così esercizi già visti.
Ovviamente sto banalizzando, la realtà è più complessa e variegata, ma le recenti tendenze mostrano che il problema sta diventando cruciale.
Le lezioni cattedratiche accentuano la sensazione di una trasmissione dogmatica del sapere e quindi l’insofferenza nei confronti delle fonti “ufficiali”. Certo non è nuovo il problema dell’attendibilità e affidabilità delle fonti: la debolezza del pensiero critico non permette adeguato discernimento quando si acquisiscono informazioni in rete, questo può portare a mettere sullo stesso piano fonti serie e affidabili, fonti con basi meno solide e fonti assolutamente inaffidabili. Negli ultimi anni si sta diffondendo un atteggiamento ancora più preoccupante: acquistano sempre più “credibilità” e quindi più peso le opinioni in aperto contrasto non solo con le convinzioni comuni, ma persino con la scienza e altri metodi di indagine affidabili.
Questa deriva rischia di minare le basi stesse della democrazia: il potenziarsi delle tecniche di persuasione ha sempre reso necessarie capacità critiche e di discernimento più solide e diffuse, ma ora la crescente sfiducia nei confronti dei mezzi d’indagine più affidabili richiede un intervento radicale sul modo di educare e istruire.
In definitiva: la lezione puramente frontale e i metodi trasmissivi della conoscenza non sono solo poco redditizi per l’apprendimento, ma sono ormai del tutto inadeguati, se non controproducenti, in un mondo in cui la possibilità di documentarsi è fortemente aleatoria e sopravvalutata. La capacità di valutare l’attendibilità e l’affidabilità delle fonti su cui basiamo le nostre opinioni è la competenza di base che acquista sempre maggiore peso e importanza, per questo motivo è urgente ed essenziale imprimere un’accelerazione risoluta verso metodi didattici che stimolino il desiderio di imparare e di capire, di comprendere autonomamente un testo e di confrontare diverse tesi.
La formazione dei futuri cittadini è il compito ultimo dell’istituzione scolastica: le costruzioni abusive non riguardano i quadrati costruiti sull’ipotenusa e sui cateti; i corpi che ricevono spintarelle verso l’alto che sono molto maggiori del peso del fluido spostato, non confutano il Principio di Archimede.
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