In coda Napoli e Bari per giorni di scuola persi durante la pandemia

Il Sole 24 Ore, 3.3.2021.

Gilda Venezia

Dall’inizio dell’anno scolastico sono forti le differenze nella frequenza delle scuole in varie città d’Italia. È quanto emerge dall’analisi di Save the Children, a un anno dal primo lockdown. Senza voler essere esaustiva, l’analisi ha preso in considerazione 8 capoluoghi di provincia. Con l’obiettivo, spiega l’associazione in una nota, non di fare una classifica di merito, ma di fotografare la situazione a oggi, anche in vista di nuovi possibili provvedimenti di chiusura delle scuole, a fronte dell’aggravarsi della situazione sanitaria. Dall’analisi condotta emerge come gli studenti si siano trovati a frequentare anche per molto meno della metà dei giorni teoricamente previsti. In coda troviamo Bari e Napoli.

L’analisi di Save the Children

Nel corrente anno scolastico, da settembre 2020 a fine febbraio 2021, i bambini delle scuole dell’infanzia a Bari, per esempio, hanno potuto frequentare di persona 48 giorni sui 107 previsti, contro i loro coetanei di Milano che sono stati in aula tutti i 112 giorni in calendario. Gli studenti delle scuole medie a Napoli sono andati a scuola 42 giorni su 97 mentre quelli di Roma sono stati in presenza per tutti i 108 giorni previsti. Per quanto riguarda le scuole superiori, i ragazzi e le ragazze di Reggio Calabria hanno potuto partecipare di persona alle lezioni in aula per 35,5 giorni contro i 97 del calendario, i loro coetanei di Firenze sono andati a scuola 75,1 giorni su 106. I dati evidenziano forti differenze fra le città, legate all’andamento del rischio di contagio così come alle differenti scelte amministrative. I numeri rilevati si riferiscono alle giornate scolastiche vissute in presenza, evidenziando quei territori dove gli studenti hanno fruito di periodi più lunghi di didattica a distanza, con le difficoltà che questo ha comportato in termini di accessibilità e per la perdita di opportunità relazionali dirette tra pari e con i docenti.

La lettura dei dati

«Sappiamo bene quanto le diseguaglianze territoriali abbiano condizionato in Italia, già prima della pandemia, la povertà educativa dei bambini, delle bambine e dei ragazzi – ha sottolineato Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children – a causa di gravi divari nella offerta di servizi per la prima infanzia, tempo pieno, mense, servizi educativi extrascolastici. Ora anche il numero di giorni in cui le scuole, dall’infanzia alle superiori, hanno garantito l’apertura nel corso della seconda ondata Covid mostra una fotografia dell’Italia fortemente diseguale, e rivela come proprio alcune tra le regioni particolarmente colpite dalla dispersione scolastica già prima della pandemia siano quelle in cui si è assicurato il minor tempo scuola in presenza per i bambini e i ragazzi. Il rischio è dunque quello di un ulteriore ampliamento delle diseguaglianze educative».

La lezione da trarre

«Questi dati non possono lasciare indifferenti. Anche alla luce dei nuovi sviluppi della pandemia – ha proseguito Milano – occorre mettere la scuola concretamente al primo posto, facendo ogni possibile sforzo per assicurare la prevenzione e la tutela della salute per gli studenti ed il personale scolastico e mantenere le scuole aperte in sicurezza, ricorrendo alla didattica a distanza solo nei casi di acclarata impossibilità di proseguire le lezioni in aula. Allo stesso tempo, è necessario predisporre programmi e risorse che sin da subito e nel medio e lungo periodo, compreso il periodo estivo, consentano ai bambini e ai ragazzi dei contesti più deprivati che hanno subìto più a lungo periodo la lontananza dalla scuola e le maggiori difficoltà nella didattica a distanza di poter superare questo gap di apprendimento e di socialità». «La scuola non può essere lasciata da sola di fronte a questa sfida, ed è essenziale il coinvolgimento di tutte le risorse civiche e associative dei territori, con lo sviluppo dei patti educativi di comunità. Nel momento in cui tutte le categorie del Paese denunciano, comprensibilmente, la perdita di fatturato economico del proprio settore – ha concluso – occorre prestare attenzione ad una perdita meno visibile nell’immediato, ma estremamente grave per il futuro di intere generazioni».

 

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