Riforma

Indicazioni Nazionali. La questione dell’identità

Con la nomina di una commissione di esperti “di comprovata qualificazione scientifica e professionale” coordinata da Loredana Perla, ordinario di Didattica e Pedagogia speciale all’Università di Bari, il ministro Valditara ha dato il via a un’operazione che secondo l’ampio mandato assegnato potrebbe portare alla “revisione delle indicazioni nazionali e delle linee guida relative al primo e al secondo ciclo di istruzione”, cioè in pratica alla riprogettazione dei curricoli di tutto il sistema scolastico italiano prima dell’Università. Come scrivevamo la scorsa settimana, un intervento al cuore aperto della scuola.

Un’impresa delicata e a dir poco ciclopica, considerata la complessità, i tempi non brevi e i rischi politici connessi a operazioni di questo genere, come insegnano precedenti come la riforma dei cicli di Berlinguer, la legge 53/2003 di Letizia Moratti e la Buona Scuola di Renzi, leggi in tutto o in parte smontate negli anni seguenti il loro varo. Solo la riforma Gentile (ma anch’essa con una serie di aggiustamenti) ha resistito nel tempo, ma ha potuto andare in porto solo grazie al carattere autoritario del nascente regime fascista (1923-24).

Nutriamo qualche dubbio, tuttavia, che la vera intenzione del ministro sia quella di procedere a una riforma generale dei curricoli sia per la limitata dimensione– almeno al momento, perché ha annunciato integrazioni – della commissione di esperti (nove, niente di comparabile alle centinaia di esperti di altre commissioni del passato) sia perché, come segnalato dall’UCIIM in un commento ripreso da Tuttoscuola, l’attività scientifica della prof. Perla si è concentrata negli ultimi anni sulla questione della costruzione di una più forte identità nazionale soprattutto nella scuola primaria e secondaria di primo grado e per un limitato numero di discipline: argomento sul quale ha pubblicato l’anno scorso, insieme allo storico Ernesto Galli della Loggia, il volume “Insegnare l’Italia, una proposta per la scuola dell’obbligo” (ed. Scholé, 2023), nel quale vengono presentate modifiche riguardanti soprattutto l’insegnamento di Storia, Geografia e Italiano nella scuola di base, che attualmente si svolge secondo quanto previsto dalle Indicazioni Nazionali varate nel 2012 e confermate con aggiornamenti nel 2018.

Italo Fiorin, coordinatore della commissione per le Indicazioni nazionali del primo ciclo, in un’intervista a Il Fatto quotidiano si è detto “preoccupato non tanto perché le considero sacre; sono un testo di lavoro, un documento partecipato”, ma se i valori che le ispirano “venissero toccati allora potrebbe diventare un problema. Quest’idea della commissione spuntata come un fungo sottintende una strana idea di dialogo”. Sul rischio di un’operazione di ri-centralizzazione dei piani di studio che rimetta in discussione lo spirito coinvolgente e partecipativo delle Indicazioni Nazionali ha subito richiamato l’attenzione la segretaria della Cisl scuola Ivana Barbacci: è giusto provvedere all’aggiornamento delle Indicazioni, tenuto conto anche dei più recenti sviluppi delle tecnologie digitali, ma sarebbe sbagliato farlo senza la consultazione e il coinvolgimento attivo del mondo della scuola.

 

A scuola si insegna “troppa roba”. E’ il parere del ministro Giuseppe Valditara, intervistato a Futuro Direzione Nord.

E soprattutto troppi dettagli di un passato lontano, spiegando il suo punto di vista sui programmi: “In terza elementare si va a narrare e a spiegare tutte le specie di dinosauri. Addirittura, c’era un animale vissuto 40 milioni di anni fa e questi bambini devono studiare e imparare questo animale vissuto in Messico ed estinto da milioni di anni. Tutto questo, ma a che serve?”.

Eppure Antonio Brusa, presidente della Società italiana di didattica della storia, ricorda in un’interessante intervista a Reginaldo Palermo su Tecnica della scuola che nelle Indicazioni del 2012 si scrive che “… il curricolo sarà articolato intorno ad alcuni snodi periodizzanti della vicenda umana quali: il processo di ominazione, la rivoluzione neolitica, la rivoluzione industriale e i processi di globalizzazione e di mondializzazione”.
In altre parole” – dice Brusa – “le Indicazioni del 2012 segnalano un nucleo solido, fatto di pochi argomenti, intorno al quale il docente può articolare il suo curricolo. E questa storia inizia col processo d’ominazione, ben sessanta milioni di anni dopo la scomparsa dell’ultimo dinosauro. Dunque, i contenuti fondamentali del quinquennio che va dalla quarta primaria alla fine della secondaria di primo grado sono quattro/cinque. Mi sembra che l’essenziale quei programmi lo indichino con precisione”.

Sì ma poi c’è la pratica didattica quotidiana e soprattutto ci sono i libri di testo…, lo incalza Palermo: “Infatti, a questo nucleo obbligatorio segue un invito ad “aggiornare” gli altri argomenti soliti di una programmazione (e quindi a rivedere i manuali, cosa ahimè che non accade di frequente)”. Ma perché allora intervenire sulle Indicazioni nazionali?

Ma Valditara va avanti: “È tutto inutile se poi non conosciamo le esperienze più importanti del nostro passato, che ci hanno dato i grandi valori dell’Occidente”. “Bisogna pensare a programmi nuovi in linea con la società moderna.Semplificare un poco, non nel nome del semplicismo, ma per far prevalere la qualità sulla quantità”. Affermazioni che, data l’importanza e la delicatezza della questione, sarà opportuno chiarire e declinare meglio.

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Indicazioni Nazionali. La questione dell’identità ultima modifica: 2024-05-13T06:55:11+02:00 da
Gilda Venezia

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