di Claudio Tucci, Il Sole 24 Ore, 17.12.2020.
Per ora la data cerchiata in rosso è il 7 gennaio, quando, in base alle ultime direttive del Governo, dovrebbe scattare un ritorno degli studenti in presenza, alle superiori al 75%. I numeri in campo sono importanti: in base alle regole attuali rientrerebbero infatti sui banchi circa 2 milioni di alunni di licei, tecnici e professionali, oltre ai 5 milioni di ragazzi del primo ciclo già a scuola al 100% da settembre, seppur a singhiozzo, in base alla cartina a colori dell’Italia.
Al momento, però, il condizionale resta d’obbligo, in parte per i timori, dai tecnici del Cts a una fetta della stessa maggioranza, legati ai numeri del contagio, ancora purtroppo elevati, che sconsiglierebbero la riapertura. In parte, però, a pesare ci sono anche i nodi e le criticità irrisolte della scuola italiana, accentuate ora con la pandemia.
Insomma, per famiglie e studenti aumentano le incertezze. E non sta aiutando l’assenza di indicazioni ufficiali da parte del governo: «A tre settimane dal fatidico 7 gennaio – incalza Gianni Brugnoli, vice presidente di Confindustria per il Capitale umano – non si sa, ad esempio, come avverranno gli scaglionamenti in ingresso e uscita dagli istituti: tre turni, ore 8, 9, 10, a seconda della classe e della disponibilità del trasporto pubblico che resta al 50% di capienza, nonostante i fondi in più stanziati dall’esecutivo? Non sappiamo neppure se i nostri studenti saranno accolti da tutti gli insegnanti in cattedra: in molte scuole mancano ancora docenti, un ritardo record quello di quest’anno» (dovuto anche all’avvio, forse precipitoso, questa estate, delle nuove procedure informatiche per le nomine – una buona idea certo, ma probabilmente non da far partire in una fase di piena emergenza).
Parlando con diversi dirigenti scolastici, da Palermo a Verona, emergono anche altre criticità anch’esse lungi dall’esser risolte: il tempo pieno alla primaria o prolungato alle medie non è riconosciuto ovunque, proprio per mancanza di professori e servizi di supporto, a cominciare dalle mense. Tantissimi istituti, poi, per rispettare le regole sanitarie, hanno riadattato i laboratori ad aule per far entrare, distanziati, i ragazzi: un danno gravissimo, per i licei, ma soprattutto per gli istituti tecnici e professionali, dove oltre il 40% della didattica è “laboratoriale”. Lo stesso, ennesimo, criterio del rientro alle superiori al 75% è nei fatti complicato da attuare, visto che comporta un nuovo cambio di orario di servizio per i docenti (il quarto da settembre), con acrobazie nel caso di insegnanti pendolari o con spezzoni orari in più scuole. E infatti i sindacati e gli stessi professori frenano. «Noi ci proveremo a rispettare le norme – afferma Flavia De Vincenzi, preside di lungo corso, oggi dirigente dell’istituto tecnico Leopoldo Pirelli di Roma -. Avrei preferito che si lasciasse all’autonomia di ciascuna scuola l’organizzazione. Alunni e famiglie sono disorientati, me ne accorgo, noi faremo di tutto per garantire il diritto all’istruzione».
Ecco, un altro aspetto che preoccupa, ovvero la qualità delle lezioni e le competenze. In un quadro in cui l’Italia, da tempo, non brilla: nelle indagini Ocse-Pisa i risultati dei nostri ragazzi risultano significativamente inferiori rispetto agli altri paesi, non solo nel livello di conoscenze scientifiche-tecnologiche, ma anche nei livelli di cultura generale. Lo scorso anno, lo si ricorderà, suscitò scalpore il dato come soltanto il 77% dei nostri studenti abbia raggiunto un livello di competenze in lettura tale da affrontare (e risolvere) problemi pratici, e appena il 5% sia rientrato nel “top performer”, a fronte di una media Ocse del 9 per cento. Per non parlare degli storici divari Nord-Sud, rilevati dall’Invalsi. «Non sono solo preoccupato di perdere un altro anno di scuola – ha aggiunto Brugnoli – ma, piuttosto, di perdere la scuola. Il ritorno alla normalità non deve essere la nostra stella polare. Dobbiamo guardare avanti. Tutto cambia anche la scuola lo può fare. La didattica può cambiare, anzi deve cambiare e la tecnologia può aiutarci in questo passaggio necessario. In un mondo dominato dalle scienze e dalla tecnica, davvero non c’è spazio per la didattica a distanza? Impostiamo le lezioni a gennaio già in questa prospettiva, lanciamo un piano di formazione adeguata, anche digitale, degli insegnanti. Investiamo sulla scuola e sulla sue dotazioni di rete. Se non ci mettiamo, davvero, tutti intorno a un tavolo rischiamo di fare un danno enorme agli studenti, e in prospettiva a tutto il paese». La ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, ha stanziato risorse sulla scuola: oltre 3 miliardi per la riapertura a settembre, 7 miliardi dal suo insediamento a Viale Trastevere. Poi, in legge di bilancio e nelle prime bozze del piano nazionale per il Recovery Fund ci sono in tutto altri 20 e più miliardi, ma le idee sono poche. Fatto sta che accanto a scelte rischiose (ad esempio, non bloccare quest’anno la mobilità per garantire maggiore continuità didattica, evitando il valzer di cattedre, che poi c’è stato), molti dei problemi di oggi sono frutto di errori e strategie miopi del passato.
Un altro esperto di education, come Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, ne elenca tre: «Edilizia scolastica, che va ammodernata nell’ottica della sicurezza e della sostenibilità, ma con progetti che insieme favoriscano una didattica innovativa, non più solo frontale. Formazione e reclutamento dei professori, da innovare radicalmente per portare in cattedra giovani ben preparati anche sul piano didattico, con i giusti incentivi di carriera. E poi rivalutare e rinnovare l’intera filiera dell’istruzione tecnico-professionale, dagli istituti secondari, agli Its alle nuove lauree professionalizzanti, uscite ora dalla fase sperimentale. Con il modello tedesco come riferimento».
In sintesi, per gli esperti, guardando anche a tutti gli altri paesi avanzati, la ricetta è sempre la stessa: «L’education torni al centro dell’agenda politica. E il tema interessi, e sia affrontato, da più ministeri e ne sentano la responsabilità governo e politica. Non basta aprire o chiudere le scuole, serve alzare lo sguardo, con un programma ambizioso che abbandoni definitivamente i paraocchi di chi agisce nella sola “logica” dell’emergenza».
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Ingressi scaglionati, digitale, cattedre vuote: tutti i ritardi ultima modifica: 2020-12-17T06:52:15+01:00 da