Linkiesta, 20.3.2020
– La scuola online non regge il virus –
Il corona ha spinto l’istruzione italiana verso la digitalizzazione totale. Ma in Italia il 25% delle famiglie non dispone di accesso alla banda larga da casa e solo l’8.6% dei docenti utilizza la rete per l’apprendimento. Basteranno i fondi del decreto Cura Italia?
Il coronavirus ha messo la scuola italiana davanti a un esame complesso: la digitalizzazione. Nelle regioni del Nord, a causa dell’emergenza sanitaria, gli istituti sono chiusi da fine di febbraio, mentre dal 5 marzo la sospensione delle attività didattiche è stata estesa a tutto il territorio nazionale. Il ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina, ha smentito le previsioni di un possibile ritorno in aula il prossimo 3 aprile, e ha assicurato che è «impossibile al momento avere una data per la riapertura delle scuole». Il sistema scolastico ha trasferito così la didattica online, attivando modalità di apprendimento a distanza e allestendo un ambiente di lavoro in progress con webinar di formazione, contenuti multimediali per lo studio e link a piattaforme certificate. Ma docenti, alunni e le famiglie stesse non sembrano pronti al grande salto nel digitale.
Secondo i dati Istat 2018, una famiglia italiana su quattro non dispone di accesso alla banda larga da casa. Il gap tra il Trentino (la regione in testa alla classifica) e il Molise (in ultima posizione) è di ben 15 punti in termini di copertura. «L’Italia ha oggettivamente una situazione molto differenziata. Molte famiglie se non tutte hanno a disposizione dei devices, ma in poche sanno usarli nel modo corretto. C’è un problema nella competenza e nella comprensione del mondo digitale», spiega a Linkiesta Chiara Burberi, fondatrice di Redooc, piattaforma di educazione online. «Questo è dovuto anche dall’età dei docenti e di molti genitori. Sono ospiti in questo secolo così digitalizzato, e rimanendo così indietro risulta difficile compiere una trasformazione radicale dopo lo shock che stiamo vivendo».
Il nostro paese è inoltre al ventiquattresimo posto fra i 28 Stati membri dell’Ue nell’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società (Desi 2019) della Commissione europea. È invece in buona posizione, sebbene ancora al di sotto della media Ue, quando si parla di connettività e offerta. Al contrario, se si guarda più da la situazione dei servizi pubblici digitali: tre persone su dieci non navigano abitualmente in Rete e più della metà della popolazione non possiede competenze digitali di base.
Il ritardo italiano in confronto agli altri paesi europei è dovuto anche dall’affanno dei docenti: solo il 47 per cento degli insegnati, secondo il report Educare digitale di Agcom del 2019 tracciato su dati Miur, afferma di utilizzare quotidianamente nelle proprie attività formative le tecnologie. La scuola italiana è composta da circa 850.000 docenti, che lavorano su circa 36.000 sedi, in più di 350.000 classi composte da 8 milioni di studenti dai 6 ai 9 anni, con 4,5 milioni di famiglie coinvolte.
I numeri evidenziano la difficoltà di fornire una corretta formazione digitale, e si incrociano con i dati che riguardano la disponibilità di una banda decente nelle strutture. Solo il 9 per cento delle suole primarie, l’11,2 per cento delle secondarie di primo grado e il 23 per cento delle scuole superiori ha disponibilità di banda internet di qualità. E ancora: solo l’8.6 per cento dei docenti, secondo Agcom, utilizza la Rete per gestire piattaforme di apprendimento interattivo. «Il digital stesso divide anche all’interno del corpo insegnanti. Se un direttore scolastico è contrario alla formazione da remoto cosa succede agli studenti della sua scuola?», continua Burberi. «Anche per questo che abbiamo lanciato #ScuolaACasa: un’iniziativa creata, grazie al supporto di Global Thinking Foundation, subito dopo la chiusura delle scuole in Lombardia, per regalare gratuitamente licenze e classi virtuali Redooc.com a scuole e famiglie, in modo da garantire continuità al processo di apprendimento delle principali materie. A oggi sono 12mila gli studenti iscritti».
A peggiorare il quadro sono anche le differenze socio-economiche che emergono nel paese: solo il 16 per cento delle famiglie senza titolo di studio, sulla base dei dati Istat, ha un accesso a banda larga fissa o mobile, contro il 95 per cento delle famiglie di laureati. Un lato positivo vede però, dove ci sono minori, la possibilità di connessione mobile a percentuali molto alte, circa il 95 per cento.
La scuola, per tutti questi motivi, è stata una delle istituzioni più coinvolte nel decreto “Cura Italia”. Il ministero dell’Istruzione, si legge, nell’ambito del Fondo per l’innovazione digitale e la didattica laboratoriale, dedica 10 milioni di euro per consentire alle istituzioni scolastiche statali di dotarsi immediatamente di piattaforme e di strumenti digitali utili per l’apprendimento a distanza, o di potenziare quelli già in dotazione; 70 milioni di euro per mettere a disposizione degli studenti meno abbienti, in comodato d’uso, dispositivi digitali individuali così da fruire le piattaforme e per l’accesso alla rete; 5 milioni di euro per formare il personale scolastico sulle metodologie e le tecniche per la didattica a distanza. Sarà sufficiente?
«La vera sfida è capire come verranno spesi. Una scuola potrebbe usare questi soldi per compare una piattaforma come la mia o si tratta solo di tablet, pc e smartphone. Si parla sempre di una dozzina di euro a studente. L’altra cosa è capire quando tutto questo verrà fatto: i ragazzi sono a casa adesso e (mi auguro) non tra sei mesi. È impossibile capire tutti questi aspetti, in quanto neanche noi addetti ai lavori troviamo un punto di riferimento cui rivolgersi: il Miur soffre sistematicamente di una mancanza di strategia, che adesso potrebbe rivelarsi fatale» conclude la fondatrice di Redooc.
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