Insegnanti

Intelligenza artificiale a scuola.  Lo smartphone di ieri e quello di domani

TuttoscuolaNews, n. 1065 del 23.1.2023.

Il ChatGPT fa i compiti. E allora?

Il ministro Giuseppe Valditara, dopo un iniziale fuoco di sbarramento verso l’utilizzo dello smartphone nelle aule delle scuole italiane, ha approfondito il suo pensiero inviando a Repubblica una lettera nella quale, dopo aver riconosciuto che l’intelligenza artificiale “ha il potenziale per rivoluzionare la società e di conseguenza la scuola“, ammette anche che “se introdotta con ragionevole cautela” essa “può essere impiegata per aiutare gli insegnanti a personalizzare l’apprendimento, ad adattare i contenuti in base alle attitudini individuali degli studenti, a monitorare i loro progressi e a fornire informazioni su come migliorare il loro rendimento“.

Evidentemente il ministro deve aver riflettuto sull’impossibilità di applicare il divieto contenuto nella direttiva inviata alle scuole dal suo predecessore Fioroni nel 2007 alla realtà delle scuole di oggi, per il 90% connesse a internet e quasi al 100% informatizzate e dotate di registro elettronico. A distanza di 16 anni da quel divieto la scuola (ordinamenti, organizzazione, spazi) è cambiata poco, mentre la tecnologia è cambiata molto: l’età di accesso all’uso degli smartphone si è abbassata fino ai primi anni di vita dei giovani delle ultime generazioni, la memoria e le potenzialità di impiego dei devices si sono enormemente accresciute, il web 2.0 è ormai universale, e si va verso il web 3.0, che sviluppa ancora di più l’interazione tra gli individui e l’integrazione tra le diverse aree di conoscenza, e il web 4.0 caratterizzato dall’interazione tra uomo e macchine.

Un mondo nel quale i giovanissimi sono a loro agio, ma la generalità degli insegnanti no. Forse per questo Valditara parla di “ragionevole cautela” nell’ingresso dell’intelligenza artificiale nelle scuole, e sostiene che “bisogna evitare di sovrastimare le capacità dell’intelligenza artificiale e di immaginare che possa sostituire l’interazione umana“, ribadendo il ruolo “decisivo” dell’insegnante “come guida“.

Il senso della presenza del tecnologico a scuola non sta nello strumento che aiuta l’insegnante a monitorare e a fornire feedback. Non si tratta di inserire a scuola nuovi tools tecnologici (le istruzioni operative emanate dall’Unità di Missione per il PNRR Istruzione per l’azione Scuola 4.0 vanno invece proprio in quella direzione, nel momento in cui fissano il vincolo di spendere almeno il 60% dei fondi in dotazioni digitali, a prescindere da quelle già nelle disponibilità di ciascuna scuola e dal modello e dal progetto che essa ha in mente di realizzare), ma di lavorare alla costruzione di un diverso assetto metodologico, coerente  rispetto al contesto e soprattutto al mindset dei discenti.

Il fatto è, ci sembra, che il ministro pensa ancora a un tipo di relazione educativa nella quale l’insegnante resta il protagonista, il soggetto primo dell’azione didattica, colui che usa “cautamente” lo smartphone e gli strumenti dell’intelligenza artificiale a supporto del proprio insegnamento, mentre la scuola che si preannuncia – quella più consona all’infosfera di cui parla Luciano Floridi – vede come primo attore l’alunno, il soggetto che apprende e che costruisce il proprio percorso formativo anche con l’indispensabile ausilio delle tecnologie, tra le quali avanzano i nuovi modelli di GPT-3, dei quali si parla nella notizia successiva. In questa prospettiva di personalizzazione del cammino formativo il ruolo del docente assume il profilo di un accompagnatore, di un tutor – che in latino è colui che protegge, che dà sicurezza – e non più solo quello del magister, che nel suo stesso etimo (“magis”) implica la superiorità del docente rispetto al discente, ma in realtà si esprime nell’autorevolezza garbata di chi sa far crescere. Occorre allora formare figure nuove che sappiano essere flessibili: tutor quando serve, facilitatori all’occorrenza, accompagnatori quando è il caso. E lo sapranno fare se sono davvero “maestri”, capaci cioè di accogliere il bisogno formativo e farsene carico. Da docenti a educatori.

 

ChatGPT è un nuovo modello di intelligenza artificiale, recentemente realizzato dalla società americana OpenAI, che fa parte dei modelli classificati come GPT-3(Generative Pre-trained Transformer), che sono basati su un tipo di machine learning (software di apprendimento automatico) che utilizza una rete neurale artificiale per analizzare e comprendere il significato di un testo.

Più precisamente ChatGPT rientra nella categoria degli InstructGPT,che sono modelli di IA basati sul deep learning (apprendimento automatico profondo) ma ottimizzati tramite il rinforzo umano, una tecnica denominata RLHF – Reinforcement Learning From Human Feedback.

ChatGPT è stato realizzato e reso pubblico solo due mesi fa, a fine novembre del 2022, ma grazie alla sua gratuità (basta cliccare su https://openai.com), velocità e semplicità d’uso, ha avuto una diffusione enorme e fulminea in tutto il mondo, soprattutto tra gli studenti, che lo utilizzano per comporre testi, fare riassunti, risolvere problemi di matematica e così via. Fra l’altro risponde alle domande nella lingua nella quale esse sono poste. Abbiamo provato a dialogare con questo chatbot di ultima generazione ponendo questa domanda: “Puoi risolvere problemi di matematica?“. La risposta è stata questa: “Sì, posso risolvere problemi di matematica. Posso risolvere una vasta gamma di problemi matematici, tra cui equazioni, disequazioni, sistemi di equazioni, derivate, integrali, e molto altro ancora. Posso anche fornirti spiegazioni dettagliate su come risolvere i problemi e fornirti esempi di come risolverli. Tuttavia, è importante notare che la mia comprensione e risposta dipendono dalla qualità e completezza delle informazioni fornite“.

Alla domanda “Come puoi essere utilizzato a scuola?” questa è stata la risposta, quasi tutta in buon italiano (anche se con l’uso della maiuscola dopo i due punti):

Ci sono molte maniere in cui ChatGPT può essere utilizzato a scuola per aiutare gli studenti e gli insegnanti. Ecco alcuni esempi:

  1. Risposta alle domande: Gli studenti possono utilizzare ChatGPT per ottenere risposte alle loro domande su una vasta gamma di argomenti.

  2. Generazione di testi: Gli studenti possono utilizzare ChatGPT per generare testi, come essais, relazioni, riassunti di letture, e così via.

  3. Supporto alla lingua straniera: Gli studenti possono utilizzare ChatGPT per esercitarsi con una lingua straniera, come ad esempio la traduzione, la generazione di frasi, e la comprensione del testo.

  4. Feedback sui compiti: Gli insegnanti possono utilizzare ChatGPT per fornire feedback sui compiti degli studenti, come correggere gli errori ortografici e grammaticali, e fornire commenti sull’argomentazione e la struttura del testo.

  5. Creazione di tutorial interattivi: Gli insegnanti possono utilizzare ChatGPT per creare tutorial interattivi, come simulazioni, per aiutare gli studenti a capire meglio i concetti e le nozioni.

  6. Supporto alla ricerca: Gli studenti e gli insegnanti possono utilizzare ChatGPT per assistere con la ricerca, come la generazione di idee, la ricerca di fonti, e la scrittura di relazioni di ricerca.
Si può capire perché gli studenti siano entusiasti, e anche perché in alcune scuole americane l’uso di ChatGPT sia stato proibito. Ma molti sostengono – ci sembra con ragione – che si dovrebbe invece imparare a utilizzarlo bene: la società in cui vivranno gli studenti di oggi e di domani sarà pervasa da queste tecnologie, tanto vale prenderne atto e pensare a come la scuola può preparare ad affrontarla nel modo migliore. Vale per gli studenti e per gli insegnanti. Abbiamo interpellato a riguardo la vicepreside dell’ Istituto Comprensivo Ungaretti di Melzo Emilia Cremonesi, secondo la quale “siamo di fronte ad un ennesimo prodigio tecnologico che sicuramente sarà uno strumento ricercato da molti studenti; non credo però che la scuola debba considerarlo una minaccia: il chatbot presenta sicuramente un enorme potenziale di utilizzo laddove la richiesta dell’educatore implica prestazioni focalizzate sulla riproduzione dei saperi; credo che possa veramente poco invece, laddove la richiesta comprende, come ha scritto il Prof. Roberto Franchini su Tuttoscuola ‘compiti e itinerari che richiedono forme autonome e creative di elaborazione di oggetti culturali’”.
Se “l’abilità cruciale chiesta all’educatore è quella – scrive Franchini – di saper costruire mandati di lavoro che impedendo le forme ripetitive del ‘copia e incolla’, richiedano agli studenti forme creative di produzione culturale, stimolando il pensiero divergente e la libertà di espressione”, abbiamo tranquillamente collocato il prodigio tecnologico al proprio posto. E abbiamo ancora una volta ribadito la differenza tra un docente (che chiede risposte corrette) ed un educatore (che insegna dove cercare e come costruire le proprie risposte).
Restiamo in attesa dell’opinione dei nostri lettori.
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Intelligenza artificiale a scuola.  Lo smartphone di ieri e quello di domani ultima modifica: 2023-01-23T06:58:47+01:00 da
Gilda Venezia

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