Internet non è la tv, ma i genitori non l’hanno ancora capito

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Il tempo fa il suo dovere. E solo a volte, canta Gazzè, peggiora le cose. Per fortuna, non è una di quelle. Ormai, come comportarsi online è argomento di discussione tra genitori e figli in una delle fasi più delicate della crescita, l’adolescenza.

Una ricerca del Pew Research Center intitolata “Genitori, teenager e controllo digitale” inquadra il tema del dialogo tra generazioni sull’uso di tecnologie e sull’atteggiamento da tenere online. Dialogo che troppo spesso si traduce in controllo, più che in confronto, anche se la buona strada sembra essere quanto meno tracciata.

Questo l’ambiente entro il quale ci si muove: tra i genitori di ragazzi tra i 13 e i 17 anni, il 94% possiede un computer (fisso o mobile che sia), il 76% uno smartphone, il 72% usa Facebook e l’84% naviga, quanto meno occasionalmente, da dispositivi mobili.

Il 61% degli intervistati dichiara di controllare la lista di siti visitati dai propri figli tra i 13 e 17 anni.

Il 60% fa la stessa cosa con i loro profili social, mentre il 48% spulcia l’elenco chiamate e messaggi sugli smartphone.

Piccola la fetta di quelli che fanno uso di strumenti “parental control” sulle attività online dei figli (39%), e tanto meno su quelle da cellulare (16%). Stessa percentuale per coloro che usano controlli legati alla localizzazione.

Nel totale quindi, l’84% ha preso almeno uno di questi provvedimenti, mentre il 16% nessuno.

Alcune differenze da notare nel corso di tutto lo studio, che ha coinvolto oltre mille partecipanti, riguarda l’età: non solo degli adolescenti, ma anche dei genitori.

Nel caso del “controllo”, il 68% dei genitori con figli tra i 13 e i 14 anni controlla la lista dei siti consultati dai ragazzi, contro il 56% dei genitori con figli tra i 15 e i 17. Stessa cosa vale per l’uso di meccanismi “parental control” (46% contro 34%).

Il discorso cambia per i social media: in questo caso, saranno i genitori dei ragazzi più grandi (63%) a farlo più di quelli con prole più giovane (56%). Questo, probabilmente, è da addurre anche alla frequenza d’uso dei ragazzi stessi.

Privare i propri figli dell’accesso alle tecnologie resta una delle punizioni più applicate: il 65% dei genitori nega l’accesso a cellulare o internet ai propri figli come forma di punizione (di cui il 67% tra i 13 e i 14 anni, e il 63% dai 15 ai 17).

Questa dimensione sanzionatoria è un elemento interessante della ricerca – spiega Giovanni Boccia Artieri, docente di Sociologia dei media digitali e Internet Studies all’Università di Urbino Carlo Bo –se si comprende che è da lì che passa l’elemento sociale. La sottrazione di un telefono, o di internet, viene vissuta come una vera e propria amputazione, perché rappresenta l’esclusione dallo stare con gli altri. Sequestrare computer o cellulare significa negare l’accesso alla chat”.

E quindi, alla conversazione. Non significa negare un intrattenimento, ma annullare uno spazio sociale, come una partita a calcio, un incontro ai giardini, al bar, per strada. Con un’aggravante: “La frustrazione che si genera per la mancata partecipazione, che va poi spiegata ai propri pari. Diciamo che trovare una scusa per non essere stati a una festa è più semplice del giustificare l’assenza a una conversazione, che peraltro resta lì, e sarà letta da chi non c’era”. Basta pensare a un gruppo WhatsApp, al quale si accede dopo un periodo di pausa.

Osservando i risultati della ricerca, emerge che ancora molto c’è da fare sul modo in cui si affronta la discussione legata all’adeguatezza dei comportamenti online. Di “comportamento a scuola, casa e vita sociale” solo il 56% dei genitori parla con i propri figli “frequentemente” (cosa s’intenda, non è dato sapere), il 33% occasionalmente, il 9% raramente, il 2% mai.

Di “condivisione online”: 40% frequentemente, 42% occasionalmente, 13% raramente, 6% mai. “Comportamenti online nei confronti degli altri”: 36% frequentemente, 42% occasionalmente, 15% raramente, 7% mai. “Contenuti da fruire via Tv, musica, libri, magazine, media vari”: 36% frequentemente, 43% occasionalmente, 16% raramente, 4%.

Trattandosi di temi verso i quali si è sviluppata una certa attenzione a livello di società, si sta imparando ad affrontarli anche nelle interazioni genitori-figli – continua Boccia Artieri –Ma leggendo i dati, notando frequenza e genere degli argomenti trattati, emerge chiaramente che si parli ancora troppo poco dei contenuti e della creatività”.

E infatti, per fare questo passaggio bisognerebbe pensare a un cambio di prospettiva non banale. “Per anni abbiamo trattato i social media come segmento digitale dei mezzi di comunicazione tutti: dovremmo cominciare a pensarli, anche in ottica educativa, come spazi di azione sociale” osservaDavide Bennato, docente di “Sociologia dei Media Digitali” all’Università di Catania.

Altrimenti, si rischia di replicare il modello educativo della tv. Se vedo la televisione, e così computer e cellulare, come scatole che forniscono intrattenimento, automaticamente opererò una strategia di controllo. Se invece comincio a considerare i social media nella loro parte social, quindi come punti d’accesso, ti dovrò educare, da genitore, a una complessità diversa, dandoti indicazioni su come muoverti in quel territorio“. E quindi, su YouTube non ci sono solo i cartoni, ma anche i tutorial di unboxing per i giocattoli. Tanto per dirne una.

Il modo in cui si parla dei social media è importante – conferma Boccia Artieri  – ed è fondamentale parlare della vita attiva dei ragazzi. Altrimenti è come se dicessi non guardare la tv, e poi non ti chiedessi mai cosa guardi, in tv. Si parla poco del web in termini di opportunità“. E così facendo, si rischia di perdere per strada innumerevoli passaggi. Nella ricerca per esempio si menzionano, tra i profili social, sia Facebook che Twitter. Solo una piccola parte è riservata agli “altri social media” (non è specificato quali), che invece, nella fascia d’età considerata (13-17 anni), sono probabilmente i più sfruttati. Non si parla di messaggistica istantanea, né di Snapchat.

Il campione analizzato ha individuato il social di Zuckerberg come il più utilizzato sia dai genitori (72%) che dai ragazzi (71%): il 44% del campione ha detto di essere “amico” su Facebook dei propri figli. Ma è davvero lì che intercorrono i loro rapporti più significativi? Quasi la metà dei genitori (48%) ha dichiarato di essere in possesso della password della casella email dei propri figli, il 43% di quella del cellulare e il 35% di almeno uno dei loro account social. In generale, più sono giovani i ragazzi, più si tende ad affrontare argomenti di comportamento, e in le madri tendono a farlo più frequentemente dei papà.

Il Pew Research Center affronta altri due tipi di differenziazioni. Ha riscontrato una maggiore predisposizione da parte degli ispanici (si parla di un’indagine nazionale negli Stati Uniti) al dialogo sui comportamenti più appropriati da tenere online e negli altri ambienti sociali.

Altro aspetto emerso, è stata una maggiore incapacità, da parte di classi più abbienti, ad affrontare le tematiche di cui sopra. Su questo capitolo però non sono state fornite letture che non fossero le percentuali legate agli introiti familiari annui, quindi si tratta probabilmente di correlazioni che i ricercatori hanno fatto in un secondo momento, legate ai dati di default acquisiti nelle fasi iniziali del sondaggio (dati anagrafici e di contesto).

Internet non è la tv, ma i genitori non l’hanno ancora capito ultima modifica: 2016-02-07T05:27:04+01:00 da
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