di Gianna Fregonara e Orsola Riva, Il Corriere della sera, 11.9.2018
– Il rapporto Ocse disegna un Paese dove i giovani laureati sono svantaggiati, le donne fanno meno carriera degli uomini e chi viene da una famiglia poco istruita non arriva all’Università
Un Paese arretrato, con un tasso di istruzione decisamente più basso della media Ocse, dove i laureati scarseggiano ma, nonostante la penuria di «dottori», il vantaggio relativo della laurea sul mercato del lavoro è inferiore che altrove. Non solo. La laurea, anziché funzionare da ascensore sociale, da noi si eredita come un titolo nobiliare: la percentuale di laureati «figli di» sfiora il 90 per cento, mentre fra chi ha genitori con la sola terza media solo uno su dieci riesce a raggiungere la meta. E ancora: in un Paese dove i pochi laureati sono per lo più donne, il 17 per cento di esse dopo l’agognato traguardo non fa più nulla: non lavora (né cerca lavoro) e non studia. E quand’anche lavorano guadagnano molto meno dei colleghi maschi. I cosiddetti Neet in Italia sono il doppio della media Ocse (30 per cento fra i 20-24enni contro il 16%) e la forbice fra Nord e Sud è massima (15 per cento nel Nordovest, 32 per cento nelle Isole). E’ questo il quadro, desolante anche se poco sorprendente, che esce dall’ultimo rapporto Ocse sullo Stato dell’educazione in Italia e nel mondo intitolato Education at a glance. Vediamolo nel dettaglio. Intanto: lo svantaggio dei poveri sui ricchi parte fin dall’asilo nido. Questione di costi (oltre che di resistenze culturali): non tutti possono permettersi i nidi che, va ricordato, sono a pagamento, anche quelli comunali.
Non sorprende quindi che i figli di madri laureate abbiano molte più possibilità di accedere al nido dei figli di madri non laureate.
Se le diseguaglianze incominciano all’asilo, non c’è da sorprendersi che ora dell’università il destino sia ormai segnato. Siamo uno dei Paesi in cui la famiglia di origine, e in particolare l’avere almeno un genitore laureato, conta di più nell’accesso all’Università.Proprio perché la laurea da noi tende a essere ereditaria, per quanto il numero di giovani dottori sia aumentato negli ultimi dieci anni (passando dal 19 per cento del 2007 al 27% del 2017), il passo è stato troppo lento e ormai siamo maglia nera in Europa.
Ed eccola qui la fotografia dell’ascensore sociale bloccato: fra chi ha i genitori con la sola terza media appena uno su dieci riesce a ottenere la laurea contro una media Ocse che è doppia (21%). Mentre i figli di genitori laureati hanno praticamente la laurea in tasca (87% contro una media Ocse del 68%).
Altro triste record italiano: i giovani «Not in education employment or training», i cosiddetti Neet: fra i 20-24enni l’Italia è messa peggio anche della Grecia.
Se poi si va a guardare nella fascia d’età appena un po’ più «vecchia» (i 25-29enni) qui il gap maschi-femmine diventa drammatico con un 40 per cento di donne (quasi una su due!) che non lavora (ma non è disoccupata né studia). Non parliamo di disoccupate ma giovani donne che nemmeno lo cercano un lavoro.
Lo svantaggio femminile diminuirà pure con il livello di studio, ma il 17 per cento di laureate inattive è un dato impressionante: uno spreco di capitale umano che vale alcuni punti di Pil.
Del resto anche le donne laureate che lavorano devono però subire l’ingiustizia di retribuzioni (e carriere) decisamente inferiori a quelle dei colleghi maschi. Peggio di noi in Europa fanno giusto i Paesi del gruppo di Visegrad (l’Ungheria di Orbán, la Repubblica Ceca e la Slovacchia; in Polonia lo svantaggio delle donne è appena un po’ meglio che da noi) .
Lo svantaggio delle ragazze è tanto più nocivo per tutti dal momento che, nella penuria generale di dottori, la parte del leone la fanno proprio le ragazze, che rappresentano il 55 per cento del totale dei laureati.
E’ alto in Italia il divario tra gli adulti nati nel nostro Paese e qui istruiti e quello degli adulti immigrati che difficilmente hanno un livello di istruzione conveniente e non ci sono programmi di educazione per adulti sufficienti.
La percentuale di giovani «persi», cioè di Neet varia tantissimo da regione a regione, passando dal 40 per cento in alcune zone del Sud fino al 10-12 per cento nel Nord. Va detto che il dato risente della presenza di lavoro nero o sommerso che non riesce ad essere calcolato in queste stime.
Prospettive fosche, che confermano i dati già pubblicati dall’Istat: per i giovani laureati la possibilità di trovare lavoro e di fare carriera continuano a diminuire: in parte dipende anche dal fatto che non sempre le facoltà scelte dai ragazzi forniscono le competenze richieste dal mercato.
Sarà l’effetto Erasmus, sarà che la libera circolazione delle persone funziona, sarà anche che cresce la paura per il futuro nel nostro Paese: è impressionante il numero di studenti che vanno a fare l’Università fuori dall’Italia: + 36 per cento in soli tre anni.
Stenta l’internazionalizzazione del nostro sistema universitario: per sopperire alla fuga di cervelli che vanno a studiare all’estero, l’Italia dovrebbe attrarre studenti dagli altri Paesi: ma così non è, o meglio il numero di arrivi di studenti stranieri nei nostri atenei è ancora troppo basso.
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