di , Linkiesta, 1.4.2018
– Le classifiche, impietose, ci dipingono come uno dei Paesi più ignoranti d’Europa. E noi stessi ci siamo abituati a definirci come tali. Ma l’Italia è davvero il Paese degli ignoranti. Il saggio di Antonio Sgobba prova a fare un po’ di chiarezza (o a complicarci le idee)
Questo è il primo articolo di una collaborazione tra Linkiesta e il Saggiatore, storica casa editrice milanese, di cui ogni settimana pubblicheremo l’estratto di un libro, non necessariamente una novità editoriale, che in qualche modo si lega all’attualità dei sette giorni appena trascorsi. Per il primo episodio di questa collaborazione abbiamo scelto il saggio di Antonio Sgobba dal titolo “? Il paradosso dell’ignoranza da Socrate a Google” (Il Saggiatore, 2017), un’indagine sull’infinita possibilità di sfumature che colorano il concetto di «ignoranza», tra cavalieri che lottano contro gli ignoranti e ignoranti che diventano i signori del mondo. Buona lettura!
Ogni anno l’Ipsos Mori diffonde il suo Index of Ignorance, rilevazione statistica in grado di indicarci il paese più ignorante del mondo: al fine di individuare questa terra di selvaggi, un campione di circa undicimila intervistati di ogni nazionalità viene sottoposto a una serie di domande. Per esempio: qual è la percentuale di occupati del tuo paese? Qual è l’aspettativa di vita? Qual è la percentuale di ragazze tra i 17 e i 19 anni che partoriscono ogni anno? Quanti sono gli immigrati? Quest’anno il tasso di omicidi è salito o sceso?
Sapete qual è stata nel 2014 la popolazione con il maggior numero di risposte sbagliate? Tranquilli, non è una domanda del test. Risposta: l’Italia. Gli italiani credevano che nel loro paese i disoccupati fossero il 49 per cento. Erano il 12. Che gli over 65 fossero il 48 per cento. Erano il 21. Che gli immigrati fossero il 30 per cento. Erano il 7. Che le ragazze madri fossero il 17 per cento. Erano lo 0,5. Nella classifica mondiale battevamo tutti. Precedendo, nell’ordine, Stati Uniti, Corea del Sud, Polonia, Ungheria, Francia, Canada; quelli messi meglio erano invece gli svedesi.
All’uscita della notizia, il 2 novembre 2014, suonavano le campane a morto per la conoscenza in Italia. Sulla prima pagina del principale quotidiano nazionale si poteva leggere il seguente commento: «Sappiamo proprio poco dell’Italia». Nelle pagine interne il titolo ribadiva: «Quell’indice dell’ignoranza primato senza gloria». Scriveva l’editorialista: «La politica – che pure dovrebbe conoscere la situazione – non si premura di ripetere i dati corretti. Usa la nostra ignoranza, invece». Che cosa hanno fatto politici e cittadini italiani dopo la diffusione di questo dato? Probabilmente la stessa reazione seguita all’appello del maestro Tedesco: una collettiva alzata di spalle. Eppure, l’ignoranza in Italia dovrebbe essere un problema sentito, come conferma anche una rapida ricerca bibliografica:
Senza sapere. Il costo dell’ignoranza in Italia
Ignoranti. L’Italia che non sa, l’Italia che non va
L’età dell’ignoranza
Il costo dell’ignoranza
Alfabeti d’Italia. La lotta contro l’ignoranza nell’Italia unita
L’Italia dell’ignoranza. Crisi della scuola e declino del paese
Sono solo alcuni degli ultimi titoli sull’argomento, apparsi in libreria tra il 2011 e il fatidico 2014. Sembrerebbe proprio che l’Italia in questi anni abbia avuto a che fare con «una vera e propria emergenza», come dicono i giornali quando non c’è nulla né di vero né di proprio.
Non sono stati suffcienti centocinquant’anni per risolvere questa emergenza. Poco dopo l’Unità d’Italia, lo storico meridionalista Pasquale Villari ammoniva: “bisogna che l’Italia cominci col persuadersi che v’è nel seno della Nazione stessa un nemico più potente dell’Austria, ed è la nostra colossale ignoranza”
Apriamo per esempio uno di questi saggi, Ignoranti. Sin dalle prime pagine, l’autore non lascia spazio a dubbi: «Vecchi e nuovi analfabeti affollano dunque l’Italia. Sono da considerare analfabeti non per l’incapaci‐ tà totale di leggere e scrivere, ma per la mediocre capacità di esprimersi e il ridotto bagaglio di conoscenze». Ci sono i dati a confermarlo: «L’Italia è un paese sistematicamente in coda nelle classi che europee o mondiali sul livello di istruzione. Che, dati alla mano, studia poco. Che disprezza con inflessibile continuità la scuola, l’università, la ricerca. Che stenta ad arricchire il proprio sapere». Non ci sono molte speranze in un paese così; leggiamo nell’ultima pagina: «L’Italia ignorante non è l’Italia che può prendere slancio. Non contrasta le diseguaglianze, non favorisce l’avanzamento sociale». Gli ignoranti italiani ostacolano il progresso e la redistribuzione.
Nell’Età dell’ignoranza si citano indagini internazionali sulle competenze che la vita contemporanea impone ai cittadini (la capacità di leggere e comprendere un testo, per esempio): «L’Italia è ultima tra i paesi partecipanti, con un punteggio di 229 su 500, contro i 290 punti della Norvegia». Non è una tendenza che riguarda solo un paese: «Il mondo diventa sempre più confuso, incomprensibile, violento, in una parola ignorante».
Troviamo analisi di tenore simile in Senza sapere, il cui autore scrive: «I dati ci descrivono un’Italia priva di conoscenze e di competenze, un paese “senza sapere”. Siamo talmente ignoranti da non comprendere per no quanto sia grave e pericoloso il nostro livello di ignoranza, e da non correre ai ripari. Ciò che inquieta di più è che anche i nostri governanti […] non sembrano occuparsi o pre‐occuparsi [sic] del problema, non rendendosi conto del prezzo che quotidianamente l’intera società italiana è costretta a paga‐ re per i guasti provocati dall’ignoranza». E non dimentichiamo che, secondo tutti questi studi, «ignorante» è sinonimo di «confuso, incomprensibile, violento» e che l’ignoranza è il «nemico più grande».
L’Italia ignorante non è l’Italia che può prendere slancio. Non contrasta le diseguaglianze, non favorisce l’avanzamento sociale
Non sono stati sufficienti centocinquant’anni per risolvere questa emergenza. Ma se un fenomeno dura almeno un secolo e mezzo, lo possiamo definire davvero un’emergenza? No: «Sarebbe però sbagliato ritenere che l’ignoranza che oggi ci circonda sia un segno del degrado in cui la società italiana è precipitata: forse è vero anche questo, ma non bisogna dimenticare che le origini del fenomeno sono profonde e vengono da lontano». Poco dopo l’Unità d’Italia, lo storico meridionalista Pasquale Villari ammoniva:
Bisogna che l’Italia cominci col persuadersi che v’è nel seno della Nazione stessa un nemico più potente dell’Austria, ed è la nostra colossale ignoranza.
Era il 1866, e queste parole potrebbero persino aver ispirato Tedesco. Allo stesso modo, gli autori degli ultimi saggi sul tema avrebbero tutti potuto iscriversi alla Lega fondata dal maestro.
Potremmo quasi farne un motto: italiani, ignoranti colossali dal 1861. Al primo censimento della sua storia la popolazione vantava un tasso di analfabetismo al 74 per cento. Oggi l’analfabetismo assoluto è praticamente scomparso, però «lo sviluppo della società italiana è ancora frenato da un basso livello di istruzione e da un pesante tasso di analfabetismo funzionale». Tutte le analisi di questo tenore riportano pagine e pagine di dati sull’istruzione: «Molte indagini confermano questo “allarme ignoranza”, sia per quanto riguarda i giovani e gli studenti che per quanto riguarda la popolazione adulta».
Ma davvero gli italiani non se ne sono accorti? Non continuano a sentirselo ripetere da più di centocinquant’anni? Se ancora non avessero compreso, qui non saremmo di fronte semplicemente a un popolo di ignoranti, ma a generazioni e generazioni di scolari particolarmente duri di comprendonio. È possibile? Come si spiega una tale concentrazione di ultimi della classe nella stessa area geografica per un tempo così prolungato?
Ogni anno l’Ipsos Mori diffonde il suo Index of Ignorance, rilevazione statistica in grado di indicarci il paese più ignorante del mondo. Sapete qual è stata nel 2014 la popolazione con il maggior numero di risposte sbagliate? Tranquilli, non è una domanda del test. Risposta: l’Italia. Gli italiani credevano che nel loro paese i disoccupati fossero il 49 per cento. Erano il 12. Che gli over 65 fossero il 48 per cento. Erano il 21. Che gli immigrati fossero il 30 per cento. Erano il 7. Che le ragazze madri fossero il 17 per cento. Erano lo 0,5
Chi ignora è digiuno di tutto, viene dalla Mecca o dalla Luna, è all’oscuro, non sa, non ha la più vaga, la benché minima, la più pallida, la più lontana idea. Cade dal pero o dalle nuvole. Fa l’indiano o l’inglese o l’albanese; fa il tonto, l’ingenuo, il dormi. Insomma fa finta di niente, orecchie da mercante, non prende in considerazione, non considera nemmeno, non ascolta, se ne frega, alza le spalle, se ne infischia. Evita, aggira, svicola domande e argomenti. Al massimo risponde o va a spanne, a lume di naso. Non vuol vedere, fa lo struzzo, mente a se stesso, si mette le fette di prosciutto sugli occhi, ha o procede con il paraocchi, vive fuori dal mondo, sta col capo nel sacco, ha le (quadruple) fette di salame sugli occhi, se proprio non ha gli occhi e le orecchie foderate di prosciutto. E non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Modi di dire: Beata ignoranza. La nebbia, la notte, le tenebre, il velo dell’ignoranza.
Ecco, quando parliamo di ignoranza, ne parliamo così. Ma se volessimo capirci qualcosa in più? La descrizione delle costellazioni linguistiche che si raccolgono attorno alla parola non basta per farci un’idea della natura dell’ignoranza, forse abbiamo bisogno di qualche spiegazione aggiuntiva. Abbiamo bisogno di una de nizione. Vediamo che cosa dice il Grande dizionario italiano dell’uso di Tullio De Mauro alla voce «Ignoranza». Vengono indicati tre significati:
- Il non conoscere o il conoscere molto poco, in modo insufficiente una materia, un argomento o ciò che riguarda la propria professione, la proprietà e simili: i. dei regolamenti, la legge non ammette i.; in questo campo confesso la mia i.; beata, santa i.!, inconsapevolezza di chi, all’oscuro di fatti o situazioni, vive sereno senza apprensioni o dubbi.
- Mancanza di istruzione, di cultura: i. di usa, combattere l’i.
- Scortesia, villania.
Contrari:
- Conoscenza, consapevolezza, esperienza.
- Cultura, educazione, istruzione, sapienza.
- Educazione.
In sintesi l’ignoranza può essere tre cose:
- Non conoscere.
- Mancanza di istruzione.
- Scortesia.
Articoli, ricerche e saggi visti finora sembrano avere a cuore soprattutto il secondo significato: quando si definisce l’Italia «un paese ignorante», si parla soprattutto di un deficit di istruzione e cultura. Curiosamente il senso primario del termine passa quasi in secondo piano. Nelle polemiche sull’ignoranza viene messa al centro non la generica mancanza di conoscenza, bensì la mancanza di competenze in ambiti specifici.
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