Tortuga, La Voce.info, 12.5.2017
– A che punto è l’Italia sugli obiettivi relativi all’istruzione da raggiungere entro il 2020? Formalmente è in linea con quanto si è impegnata a fare. Ma i laureati restano al di sotto della media europea, mentre gli abbandoni precoci sono ancora troppi.
Gli obiettivi del decennio per l’istruzione
La strategia Europa 2020, avviata nel 2010 dalla Commissione Barroso, ha fissato obiettivi vincolanti per tutti gli stati membri su otto indicatori socio-economici. Tra i temi toccati rientrano l’occupazione, la ricerca, l’istruzione, la povertà, il clima e l’energia.
I dati sull’istruzione appena pubblicati da Eurostat ci permettono di valutare il piano della Commissione e di inquadrare le prospettive del nostro paese.
La figura 1 confronta il livello di istruzione della popolazione tra i 25 e i 64 anni in Italia con la media dei paesi europei.
Figura 1 – Quota di popolazione per livello d’istruzione – anno 2016
Ben lontani dalla media degli altri paesi UE, buona parte degli italiani ha ancora al massimo la terza media, mentre meno del 20 per cento ha ricevuto un’istruzione universitaria.
Analoghe criticità emergono se si analizzano i tassi di abbandono (figura 2): quattordici giovani su cento non completano il percorso di studio o di formazione in cui sono inseriti (i cosiddetti early leaver), contro una media europea ben più bassa.
Figura 2 – Percentuale di giovani 18-24 anni che abbandonano il percorso di studi o formazione
La questione dell’abbandono merita un approfondimento. Disaggregando i dati (figura 3), si nota che tra questi la percentuale di coloro che iniziano a lavorare o che decidono di non farlo è piuttosto simile tra l’Italia e gli altri Paesi Ue. Il forte divario è quindi spiegato dalla quota di giovani che non trova lavoro (disoccupati) o che, sebbene disponibile a lavorare, non lo cerca affatto (scoraggiati). All’incapacità del sistema d’istruzione di prevenire gli abbandoni si aggiunge, dunque, l’inadeguatezza del mercato del lavoro nell’assorbire i più giovani.
Figura 3 – Percentuale di giovani 18-24 anni che abbandonano il percorso di studi o formazione (per categorie)
Missione compiuta o mancanza di ambizione?
La situazione attuale va però analizzata ricordando le condizioni di partenza: vent’anni fa ad abbandonare precocemente gli studi nel nostro paese era il 32 per cento dei giovani (contro il 15 per cento della Francia e il 13 per cento della Germania); mentre i laureati tra i 30 e i 34 anni erano solo l’8 per cento (contro il 23 per cento della Francia e il 20 per cento della Germania). In questo scenario, fortemente influenzato anche dalle tendenze demografiche, è certamente impensabile che un paese delle dimensioni dell’Italia possa scalare molte posizioni in pochi anni. Tuttavia, proprio perché il punto di partenza è basso, è necessario che si generi un processo di recupero efficace che permetta di colmare il divario nel minor tempo possibile. E gli obiettivi del 2020 potevano essere l’occasione per avviarlo.
La relazione tra i laureati (figura 4) e gli abbandoni precoci (figura 5) nel 2010 rispetto agli obiettivi fissati per il 2020 è illustrata dalle figure che seguono. Come era da aspettarsi, i paesi nelle condizioni migliori hanno fissato obiettivi semplici da raggiungere. Fra quelli con i dati peggiori l’Italia è invece il paese che si è impegnato di meno in entrambi gli ambiti.
Figura 4 – Quote della popolazione con istruzione terziaria nel 2010 rispetto ai target di Europa 2020 (30-34 anni)
Figura 5 – Quote di abbandoni precoci nel 2010 rispetto ai target di Europa 2020 (18-24 anni)
L’Italia è dunque formalmente in linea con gli obiettivi di Europa 2020, ma i risultati raggiunti non sono certo sufficienti. Il nostro paese continua a percorrere una strada senza ambizione, che lo porta ad avere nell’era della conoscenza una quota allarmante di giovani scoraggiati (oltre 2,2 milioni tra i 15 e i 29 anni, il 24 per cento) e un insufficiente livello d’istruzione nella popolazione.
L’assenza di cambiamenti strutturali è da imputare principalmente alle scarse risorse messe a disposizione: nel 2015, la spesa pubblica per istruzione terziaria sul Pil è rimasta ferma allo 0,4 per cento, mentre gli altri paesi dell’Unione spendono in media l’1,1 per cento, quasi tre volte tanto.
Figura 6 – Entrate delle università statali italiane (prezzi 2014, numeri indice 2000=100)
Dopo la crisi, le entrate delle università pubbliche sono scese in maniera allarmante, fino a raggiungere livelli di inizio secolo (figura 6).
L’aver fissato obiettivi non ambiziosi per il 2020 rientra in questo deludente scenario, tanto che il loro raggiungimento appare solamente inerziale, legato alle evoluzioni demografiche.
Un primo cambiamento potrebbe arrivare con la Buona scuola e la Buona università, pacchetti che non si possono ancora valutare. Ma saranno interventi sufficienti a dare il via al necessario cambio di passo?
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