La diseducazione dei ragazzi? Colpa dei genitori, altro che scuola

di Fabiana Giacomotti, Lettera 43, 8.10.2017

– Eccellenza e ottusa violenza sono il risultato dell’esempio di mamma e papà. La vera cura dei figli, quella che non comprende la piazzata all’insegnante ma l’impegno serio e costante, non è più scontata.

Nonostante le apparenze, c’è qualcosa che unisce il parmigiano Giacomo Anelli, il più giovane melomane d’Italia, ora protagonista di un bel documentario diretto da Mateo Zoni e prodotto da Kobalt, “Il club dei 27”, al coetaneo di Cagliari che ha aggredito la sua insegnante dopo essere stato ripreso per l’uso del cellulare in classe. Oltre ad avere entrambi 14 anni ed essere quindi adolescenti, sono infatti il prodotto non tanto della scuola che li educa, quanto della loro famiglia.

APPASSIONATO GRAZIE AL NONNO. Il primo, come si vede nel documentario, ma si è anche molto letto sulla stampa straniera che lo idolatra, si è scoperto appassionato d’opera grazie al nonno, e sogna di poter entrare a far parte del celeberrimo club che riunisce, a vita, gli appassionati “titolari” delle opere di Giuseppe Verdi, una ciascuno, fra discussioni, viaggi, confronti e scontri.

NON SI PARLA DI DUE DISADATTATI. Spiritoso, brillante, Giacomo non è affatto il “mostro” che tanti vorrebbero definire. Al contrario: gioca a calcio, studia, ha molti amici; forse sta un po’ meno sul pc dei suoi compagni, ma definirlo un disadattato sarebbe un grave errore, così come mi risulterebbe difficile, almeno dalle informazioni in mio possesso, definire tale il tipetto che ha steso la propria insegnante con un pugno all’istituto alberghiero di Monserrato, nell’hinterland cagliaritano.

Né l’eccellenza del primo né la ottusa violenza del secondo sono forme di disadattamento. Sono, al contrario, espressioni di adattamento all’ambiente innanzitutto famigliare, e poi scolastico, che li circonda. Sono il risultato di un esempio. Giacomo si è avvicinato alla musica e all’opera grazie alla passione che gli è stata instillata in famiglia. Dell’altro poco sappiamo, ma molto possiamo immaginare, e non necessariamente una situazione di degrado materiale. Morale, intellettuale, certamente sì.

CHE CONFRONTO HANNO LA SERA? Il ragazzino che pur di non vedersi privare del cellulare prende a pugni la propria insegnante che cosa trova a casa la sera? L’opportunità di parlare, di confrontarsi, in una parola di crescere, oppure una madre e un padre che, magari perfino presenti, non staccano a loro volta gli occhi dal cellulare e gli allungano biglietti da 50 euro pur di non essere distolti dalle proprie faccende?

NON È SOLO COLPA DELLA SCUOLA. L’idea, sempre più radicata, che sia la scuola a doversi fare carico in toto dell’educazione di un ragazzo, assumendosi la colpa di qualunque suo eventuale fallimento, è sbagliata. Allo stesso modo, e pur comprendendola, non mi trovo d’accordo con la dirigente scolastica cagliaritana che, di fronte al clamore mediatico dell’episodio, ha difeso l’istituto, annunciando provvedimenti nei confronti del colpevole e circoscrivendo le violenze a un piccolo gruppo di «elementi poco scolarizzati e privi di valori» appena arrivato dalle medie.

Le ultime iniziative della ministra Valeria Fedeli sembrano indirizzate a enfatizzare il livellamento delle competenze e, soprattutto, della volontà di riuscire

Il problema non è il piccolo gruppo da isolare: la questione è re-indirizzare il piccolo gruppo, purtroppo per lei composto di giovani abbrutiti. Che una serie di riforme scolastiche una più fallimentare della precedente stia frustrando gli allievi migliori per favorire i peggiori è un fatto, e le ultime iniziative della ministra Valeria Fedeli (la promozione garantita, per esempio) sembrano indirizzate a enfatizzare il livellamento delle competenze e, soprattutto, della volontà di riuscire.

LE FAMIGLIE NON SI CHIAMINO FUORI. Ma proprio per evitare questa deriva, le famiglie non possono chiamarsi fuori; nemmeno, anzi soprattutto, quelle da cui escono i violenti. Le prime a dover essere coinvolte, re-indirizzate, messe in condizione di collaborare sono infatti loro. Gli strumenti, i modi per farlo ci sono e potrebbero comunque essere migliorati, perfino in queste proposte di riforma che impoveriscono la scuola degli strumenti per governare il processo di apprendimento e formazione.

LA MODA DEL «MIO FIGLIO È UN GENIO». Più che l’eventuale ignoranza, di questa generazione genitoriale andrebbe però combattuta la tendenza di all’autocompiacimento e alla soddisfazione personale, anche per interposta persona (in sintesi, il genere «mio figlio è un genio, siete voi che non lo capite»). Ne ho avuto l’ennesimo esempio pochi minuti fa su Facebook. Da una rapida “scrollata” come si dice nell’italiese che ormai usiamo tutti, è uscito infatti il post lamentoso di una blogger della prima ora, rimasta sempre semi-famosa ma nel frattempo diventata mamma di pre-adolescenti svogliati e decisissimi solo al non impegno.

«Come si fa a farli ragionare?», ha esalato sul web, seguita da una decina di consigli, che andavano dalla linea dura del «portalo a vedere gli operai che asfaltano le strade» (commenti maschili, ahinoi, devo ammetterlo), allo scaricabarile universale, cioè alla responsabilità diretta dell’intero corpo docente per la svogliatezza del pargolo (il classico maternage consolatorio-assolutorio, e infatti e ancora ahinoi di natura femminile).

COME SI FA A LAMENTARSI DEI COMPITI? Il commento che mi ha stupito più di ogni altro è stato però quello di una mamma che lamentava «la noia e la fatica di questi weekend» trascorsi a tentare di far fare i compiti ai figli. Ha ragione. È (nel mio caso è stato, avendo una figlia ormai 30enne) difficile, noioso, talvolta esaurente. Ma non mi è mai passato per la testa, a me come alle mie amiche, di farne argomento di dibattito.

IMPEGNO DEI GENITORI NON SCONTATO. Erano (sono) i nostri figli; che andassero governati fino alla maturità ci sembrava ovvio; che per questo ci facessero perdere la partita di golf, la manicure, la pizza-e-cinema con gli amici ci pareva scontato. Ecco, il problema è che la cura dei figli, quella vera, che non comprende la piazzata all’insegnante ma l’impegno serio e costante, non è più scontata. Giacomo, infatti, deve dire grazie al nonno.

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La diseducazione dei ragazzi? Colpa dei genitori, altro che scuola ultima modifica: 2017-10-08T11:03:33+02:00 da
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