La generazione sospesa nella scuola a metà che allontana il futuro

di Ilvo Diamanti, la Repubblica, 28.2.2021.

Solo il 23% dei ragazzi intervistati ritiene adeguata la risposta delle istituzioni.
Le manifestazioni si moltiplicano: c’è voglia di tornare insieme tra i banchi.

Gilda Venezia

La pandemia rischia di durare ancora a lungo. Un giorno dopo l’altro, i numeri dei contagi, dei ricoveri e delle vittime rimbalzano sui media. Senza soluzione di continuità. Perché il virus marcia e si diffonde in modo imprevedibile. E tutti lo seguono. O meglio, lo in-seguono. Medici, scienziati, media. E noi per primi. Così, la nostra vita è cambiata. E cambierà ancora. Il nostro presente e, tanto più, il nostro futuro. Per questo, è comprensibile che l’insofferenza e la protesta si allarghino. Fra i lavoratori e gli imprenditori, le categorie economiche che vedono crollare le loro prospettive e, prima ancora, la loro condizione presente. Ma non solo. Le manifestazioni si stanno ri-producendo, in diversi punti del Paese, anche fra gli studenti. Frustrati, oltre che preoccupati, dal “distanziamento sociale” che li coinvolge. E rende loro difficile frequentare i corsi. Alle scuole di ogni ordine e grado. Per problemi di convivenza in aula. E, ancor più, fuori. Perché gli “assembramenti” avvengono soprattutto intorno e all’esterno. Ma la frequenza scolastica è resa difficile anche, e soprattutto, dall’insufficienza e dall’inadeguatezza dei mezzi di trasporto, che molti studenti debbono utilizzare per recarsi a scuola.

Certo, le giovani generazioni, rispetto a quelle che le hanno precedute, hanno alcuni vantaggi importanti. Anzitutto, sono, in gran parte, costituite da “nativi digitali”. Hanno una consuetudine profonda con l’uso dei social . Navigano online con capacità ed esperienza. E, per questo, hanno potuto affrontare l’emergenza scolastica attraverso l’uso della rete. La didattica a distanza. Peraltro, sei mesi fa, a fine estate (tra agosto e settembre), solo il 15% degli studenti — intervistati nel corso di un sondaggio condotto da Demos — immaginava (e, implicitamente, auspicava) che la didattica, alla riapertura delle scuole, avrebbe potuto, anzi, “dovuto”, svolgersi interamente a distanza. Sensibilmente meno rispetto alla media della popolazione (21%). Non solo per vincoli “ambientali”. Perché (come rileva l’Istat) vi sono ancora famiglie che non dispongono di un computer e di un accesso a Internet in casa. Il problema principale è che la domanda di “sicurezza”, soprattutto fra i giovani, si confronta con l’esigenza di “relazione diretta”. Empatica. In presenza. La scuola è anche questo. Non dico soprattutto… ma quasi. È luogo e canale di educazione, formazione. E di “socialità”. Tutti noi, proprio a scuola, abbiamo costruito amicizie e conoscenze che durano nel tempo. Coltivate in classe. E “intorno”. Nelle strade, nei bar e nelle piazze “intorno” agli Istituti superiori. E all’Università.

Io — come altri — ne ho esperienza diretta, visto che da 30 anni insegno a Urbino. Una città universitaria. Meglio ancora, una città che, ormai da decenni, si identifica con l’Università. Oltre che, ovviamente, con Raffaello. La sua “società” associa gli studenti ai residenti. È divenuta una società “ibrida”. Ma il discorso, in modo e in misura diversa, vale per tutte le Università. E per le città di cui sono parte. Per questo non sorprende la delusione, meglio: la disillusione, verso la risposta delle istituzioni e, in particolare, della scuola, di fronte all’emergenza virale. Soprattutto dopo la ripresa del Covid, in autunno. Se alla fine di agosto, dunque: 6 mesi fa, quasi 2 italiani su 3 valutavano positivamente la reazione della scuola all’impatto della pandemia, oggi il giudizio appare assai più scettico. Infatti, meno di metà fra i cittadini intervistati da Demos considera adeguata la risposta delle istituzioni scolastiche. Ma, fra i più giovani, l’orientamento appare molto più negativo: 36% di giudizi positivi. Che crolla al 23% fra gli studenti. Per questo, oltre metà degli italiani pensa che la protesta degli studenti contro la “didattica a distanza” sia giustificata. E, anzi, giusta. Un’opinione che risulta maggioritaria, ma, al tempo stesso, divide la popolazione. Anche gli studenti e i giovani. Perché non è possibile sottovalutare la gravità del momento. Ignorando il rischio che tutti corrono, i più giovani e non solo, se non si provvede — e procede — a contrastare la “trasmissione virale”, alimentata dalla co-abitazione e dalla cor-relazione sociale. Così è giusto assumere tutte le cautele e tutte le precauzioni. Tenendo conto, però, che gli assembramenti di giovani non avvengono “dentro” alla scuola. Semmai “intorno”, come si è detto. Ma è altrettanto giusto favorire la ripresa dell’attività scolastica. Non solo perché la scuola rimane un’istituzione fra le più importanti e riconosciute. Verso la quale esprime fiducia il 52% dei cittadini, secondo le più recenti rilevazioni di Demos s. Ma perché, come si è detto, la scuola costituisce un luogo di formazione culturale — e professionale — per i giovani. A scuola: si prepara e si costruisce il futuro della società. Rappresentato e interpretato dai giovani. Un futuro che appare “sicuramente insicuro”. “Imperfetto”. Perché l’emergenza non permette di pre-vedere, ma neppure “immaginare”, cosa avverrà. Per questo, investire nella scuola, oggi più che mai, è necessario. Per non rassegnarsi a questo “tempo sospeso”. Per non trasformare i giovani in una “generazione sospesa”. Senza futuro e senza passato. Imprigionata in un presente in-finito.

 

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