La nuova carriera dei prof parte azzoppata

di Gianna Fregonara e Orsola Riva, Il Corriere della sera, 24.6.2022.

Per due anni basteranno ancora 24 crediti anziché 60 per fare il concorso.

Il Senato ha dato il via libera al ddl sul nuovo sistema di formazione iniziale e continua degli insegnanti delle medie e delle superiori: un maxi emendamento per un mini compromesso.

Maxi emendamento, mini compromesso

Mercoledì 22 giugno il Senato ha dato il via libera al maxi-emendamento con cui le forze di maggioranza hanno tentato di correggere alcuni dei punti più controversi del ddl sul nuovo sistema di formazione iniziale e continua degli insegnanti previsto dal Pnrr. Le modifiche più significative riguardano l’incentivo economico previsto per chi seguirà i nuovi corsi di aggiornamento professionale triennali: dopo le proteste dei sindacati – culminate nello sciopero unitario dello scorso 30 maggio – la versione approvata in Aula ha riaffermato il principio che l’entità del premio economico previsto per chi passerà l’esame di valutazione finale debba essere stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale, fermo restando che si tratterà di un compenso una tantum, una specie di bonus, che oscillerà fra un minimo del 10 e un massimo del 20 per cento in più dello stipendio corrente. Sempre nel tentativo di andare incontro almeno nel metodo se non nel merito alle istanze avanzate dai sindacati, si è deciso di sospendere almeno fino al 2024 il taglio da 500 a 375 euro della carta docente inizialmente previsto per finanziare la formazione continua. Poi si vedrà. Che queste misure possano bastare a mettere pace fra governo e rappresentanti di categoria è tutto da vedere. Come ha riconosciuto la stessa Simona Malpezzi, capogruppo dem al Palazzo Madama: «Non siamo riusciti a fare tutto. La ragioneria di Stato ci ha bocciato». E ha aggiunto: «La retribuzione degli insegnanti è fondamentale, torneremo a occuparcene». I giochi del resto sono ancora tutti aperti, visto che adesso il testo passa alla Camera, che potrebbe rimetterci ulteriormente mano.

Formazione iniziale e abilitazione

Ma vediamo i punti principali della riforma. Cambia, nel senso che viene rafforzata, la formazione iniziale degli insegnanti delle medie e delle superiori per i quali a differenza delle maestre non è prevista una laurea specifica. Al posto degli attuali 24 crediti formativi universitari in discipline psicopedagogiche e didattiche, presi anche per corrispondenza, è previsto un percorso più strutturato di formazione iniziale (corrispondente ad almeno 60 crediti formativi di cui almeno 20 di tirocinio) con prova finale abilitante. La formazione iniziale, in capo alle università, vedrà però anche il coinvolgimento dei docenti di scuola secondaria ai quali, previa apposita procedura di selezione, sarà affidato il ruolo di tutor (con un investimento a regime di 50 milioni di euro). Nella prova finale è compresa una lezione simulata, per testare, oltre alla conoscenza dei contenuti disciplinari, la capacità di insegnamento. Il percorso di formazione abilitante si potrà svolgere dopo la laurea oppure durante il percorso formativo in aggiunta ai crediti necessari per il conseguimento del proprio titolo. L’acquisizione anticipata dei crediti sarà possibile fin dai primi anni di studio, cioè già durante il corso di laurea triennale senza dover aspettare il successivo biennio della magistrale: un punto molto controverso in quanto diverse associazioni di categoria – come per esempio i matematici – ritengono sbagliato consentire una formazione didattica a chi ancora non possiede una sufficiente preparazione disciplinare.

Numero chiuso

L’accesso ai corsi abilitanti non sarà aperto però a tutti com’è stato finora per i 24 Cfu in materie psicopedagogiche e didattiche richiesti per poter fare il concorso.Il testo approvato dal Senato prevede che l’abilitazione avvenga sulla base di una programmazione triennale del fabbisogno di docenti per ciascuna classe di concorso che il ministero dell’Istruzione comunica a quello dell’Università in modo che il sistema di formazione iniziale generi «un numero di abilitati sufficiente a garantire la selettività delle procedure concorsuali», ma anche da evitare che «in generale o su alcune specifiche classi di concorsosi determini una consistenza numerica di abilitati tale che il sistema non sia in grado di assorbirla». Detto altrimenti, ci sarà un numero chiuso di posti, in modo da evitare di replicare all’infinito il disallineamento fra domanda e offerta che da anni caratterizza il nostro sistema scolastico, con graduatorie dei precari piene di docenti di economia e diritto (materia che si insegna solo liceo delle scienze umane a indirizzo economico e all’istituto tecnico economico), mentre dei prof di matematica e informatica non c’è traccia da nessuna parte.

Fase transitoria e corsa all’acquisto dei 24 crediti online

Durante la fase transitoria, e cioè fino al 2024, coloro che vogliono insegnare potranno accedere al concorso avendo conseguito solo i primi 30 crediti universitari, compreso il periodo di tirocinio. I vincitori completeranno successivamente gli altri 30 crediti e faranno la prova di abilitazione per poter passare di ruolo. Per i precari con almeno 3 anni di servizio nella scuola statale è previsto l’accesso diretto al concorso. I vincitori dovranno poi conseguire 30 crediti universitari e svolgere la prova di abilitazione per poter passare di ruolo. Nel maxiemendamento approvato dal Senato sono stati ammessi a partecipare al concorso, sempre in via transitoria, anche tutti coloro che, in base alla vecchia normativa, avevano già conseguito i 24 crediti che finora erano richiesti per poter sostenere la prova. Anzi, in realtà la finestra resta aperta fino al 31 ottobre 2022: è facile immaginare che nei prossimi mesi si scatenerà una corsa all’acquisto online dei 24 crediti di vecchio conio in modo da bypassare la nuova e più impegnativa formazione universitaria in presenza con i suoi 60 crediti.

Concorsi si cambia, tornano le domande aperte

L’abilitazione consentirà l’accesso ai concorsi, che avranno cadenza annuale. Nella versione definitiva del testo di legge, si è ritenuto di introdurre una modifica alla nuova disciplina dei concorsi pubblici introdotta dalla Legge Brunetta che prevede solo quiz a crocette. Vista la marea di contestazioni , errori, svarioni, domande annullate, si è ritenuto opportuno prevedere, accanto alle domande a risposta multipla, anche la possibilità di «quesiti a risposta aperta», come nell’ultimo concorso fatto ai tempi della ministra Lucia Azzolina. I vincitori del concorso saranno assunti con un periodo di prova di un anno, che si concluderà con un test finale e una valutazione da parte del dirigente scolastico sentito il comitato di valutazione. In caso di esito positivo, ci sarà l’immissione in ruolo. In caso di mancato superamento del test finale o di valutazione negativa del periodo di prova, il docente è sottoposto a un secondo periodo di prova non rinnovabile. Da come è scritto il decreto sembra dunque che un’eventuale valutazione negativa da parte del dirigente possa bastare a bocciare il candidato docente anche qualora avesse passato il test.

Resta il taglio degli organici, salta il tetto del 40 per cento di premiati

Ma il punto destinato a suscitare maggiori contestazioni è quello sul sistema di aggiornamento e formazione continua che sarà su base volontaria per i vecchi prof e diventerà obbligatoria per tutti i nuovi prof assunti dopo che governo e sindacati avranno concordato – e non sarà facile a questo punto – il necessario adeguamento del contratto collettivo. Questa formazione, di durata almeno triennale, sarà svolta in orario diverso da quello di lavoro e sarà incentivata, cioè retribuita. E qui i nodi vengono al pettine. In primo luogo perché il cosiddetto «fondo per l’incentivo alla formazione» sarà finanziato con i risparmi fatti sul taglio degli organici previsto in base alla denatalità «tenuto conto del flussi migratori» (così recita ol maxiemendamento): circa diecimila posti in meno dal 2026-27 al 2031-32. Poi perché questo incentivo sarà «una tantum» e selettivo: nel senso che non verrà riconosciuto a tutti ma solo a coloro che nella valutazione finale hanno ottenuto i migliori punteggi. Dal testo approvato dal Senato è sparito però il tetto massimo del 40 per cento di coloro che hanno seguito i corso di formazione che era invece previsto nel testo del decreto pubblicato in Gazzetta. A tutti gli altri verrà riconosciuto solo «un compenso forfettario» per l’orario aggiuntivo svolto.

La Scuola di Alta formazione

I percorsi di formazione continua saranno definiti da una Scuola di alta formazione che si occuperà non solo di adottare specifiche linee di indirizzo in materia, ma anche di accreditare e verificare le strutture che dovranno erogare i corsi, per garantirne la massima qualità. La scuola sarà guidata da un Presidente nominato con decreto del presidente del Consiglio su proposta del ministro dell’Istruzione e verrà scelto tra professori universitari ordinari, magistrati amministrativi, ordinari e contabili, avvocati dello Stato, alti dirigenti dello Stato e «altri soggetti parimenti dotati di particolare e comprovata qualificazione professionale». Il presidente sarà a capo di un Comitato di indirizzo composto da 5 membri fra cui i due presidenti dell’Invalsi e dell’Indire e due componenti nominati dal ministro dell’Istruzione «tra personalità di alta qualificazione professionale».

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