La “patente Covid” e la “patente scuola”

di Vincenzo Pascuzzi, La scuola brucia! / School is Burning!,  29.4.2020
– “Ad esempio, iniziando il nuovo anno scolastico il 25 agosto; poi fino al 15 ottobre, cioè in 50 giorni, recuperare il trimestre perduto; a questo punto in una settimana o due svolgere gli scrutini non fatti nel giugno precedente e sostituire con gli scrutini anche gli esami di licenza saltati; infine dare inizio al nuovo anno il 1° novembre.”
Ernesto Galli della Loggia

La “patente Covid” e la “patente scuola”

di Franco Labella – 26 aprile 2020
L’idea che per tutelare la salute pubblica si sia costretti a conseguire una sorta di “patente Covid” per circolare senza favorire il contagio è una idea forte magari difficile da accettare.
Per chi avesse perplessità c’è sempre lo studio della Costituzione che aiuta a convincersene.
Dovrebbero prevedere una soluzione analoga per chi vuole scrivere di scuola .
La “patente scuola” senza la quale non si può intervenire.
E’ una boutade, ovviamente, perché fino all’art. 21 della Costituzione ci sono arrivato.
Ma ogni volta che mi capita di leggere il professor Ernesto Galli della Loggia che pontifica di scuola dalle pagine del Corsera mi viene l’orticaria.
Anche ieri il professor della Loggia ha pensato bene di festeggiare il 25 aprile con un articolo da par suo.
Io, lo confesso, ho nei suoi confronti un pre-giudizio o, forse più correttamente, un post-giudizio.
Il post-giudizio non è che scriva cose non condivisibili, ci mancherebbe, ma cose su cui sembra dimostrare di sapere poco ed uso un eufemismo per evitare querele.
Anni fa, ai tempi di “Cittadinanza e Costituzione”, la non-materia nata dal duo Bruschi-Gelmini (due nomi nuovi nel panorama scolastico italiano), il professor della Loggia riempì una intera paginata del Corsera (versione cartacea di cui conservo copia alla bisogna) con una intemerata sullo Stato etico, sul rischio, cioè che la non-materia servisse ad una sorta di indottrinamento da parte dello Stato nei confronti degli studenti.
Già discutere del nulla è indizio di accanimento non terapeutico ma il problema è che Galli della Loggia partiva, nella sua paginata, dall’assunto, inesistente ed anzi escluso dalla stessa legge istitutiva della non materia, della presenza, nelle pagelle degli studenti italiani, del voto relativo alla non-materia.
Ora, per carità, errare è umano ma se un mio studente mi scrivesse in una relazione che la Costituzione consta di 169 o 189 o 219 articoli, avrei ben donde di chiedergli: “Ma almeno te la sei guardata per vedere come è fatta e scriverne?”
Ma della Loggia è recidivo perché ancora ieri scriveva: “Quando poi si è accorta del vuoto così creatosi ha cercato di riempirlo con la chiacchiera politicamente edificante, destinata a lasciare il tempo che trova, di un insegnamento come «Cittadinanza e Costituzione».
Il tempo che trova”? “Il tempo che trovava”, avrebbe dovuto scrivere. Ma qualcuno lo ha avvisato che la non-materia ora è anche scomparsa normativamente, ha cambiato denominazione e che dovrebbe persino avere il tanto deprecato voto?
Questo, però, era il passato ma ora passiamo all’attualità , all’editoriale del 25 aprile 2020.
Questo è l’attacco dell’editoriale di ieri: “Mentre per l’Italia nel suo complesso l’epidemia di Covid-19 rappresenta una catastrofe, per gli alunni delle sue scuole di ogni ordine e grado essa rischia di equivalere più o meno a quello che un tempo si sarebbe detto il Paese di Bengodi. Tutto obbliga a credere infatti che le dichiarazioni del ministro dell’Istruzione Azzolina e le disposizioni da essa impartite in merito alla prossima conclusione dell’anno scolastico significhino una sola cosa. Per gli alunni degli anni intermedi dei cicli scolastici il passaggio automatico all’anno di corso successivo; per quelli invece che devono affrontare un esame di licenza la virtuale promozione d’ufficio.”.
Non discuto del Paese di Ben-godi perché si potrebbe obiettare della necessità, se mai, di un neologismo tragico come “Paese di Mala-godi” visto che parliamo di pandemia e morti.
Ma lasciamo stare le ovvietà per rispetto delle salme sui camion militari di Bergamo.
Il dato sconvolgente, il post-giudizio confermato, sta nel fatto che queste cose della Loggia non le scriveva un mese e mezzo fa, quando il dibattito era ancora in corso, le scriveva ieri dopo che ci sono decreti-legge convertiti ed in via di conversione in Parlamento che hanno delineato un quadro, positivo o negativo sono problemi di Galli, ma sui quali non si può far finta che siano solo prese di posizione politiche e non anche provvedimenti normativi.
Io non sto, perciò , mettendo in discussione le tesi del professore che evidentemente pensa agli studenti italiani come in “vacanza” visto che scrive testualmente di “pappa“ e di “bambagia”.
Quelle sono idee di cui non voglio e non posso discutere.
Io mi scandalizzo di un intervento non sul Giornalino della Bocciofila di Valdisotto superiore ma sul Corriere in cui si scrivono frasi senza, evidentemente, essersi presi la briga di leggere la norma che è, nero su bianco, disponibile da giorni.
Galli scrive, infatti, di “disposizione da essa impartite” (riferite al Ministro Azzolina), quindi immagina promozioni basate su circolari ed ordinanze o ancora peggio note ministeriali.
A parte che quelle disposizioni amministrative non esistono ancora, ma sa che esistono norme primarie sul tema?
E quelle non le “impartisce il Ministro”, le approva (se leggi) o le converte (se decreti-legge) il Parlamento
Allora si può scrivere di scuola senza la patente?
Ma il prof. della Loggia prima di scrivere il suo editoriale si è preso la briga di leggere il d.l. n. 22/2020?
Cosa significa, infatti, scrivere “Innanzi tutto prendere atto della realtà (che è sempre un’ottima cosa) e decidere quindi di annullare l’anno scolastico in corso. Ma al tempo stesso, poiché non sarebbe stato certo giusto penalizzare gli studenti facendo loro perdere un anno, e poiché alla fin fine i mesi di vacanza forzata assommavano a un solo trimestre, decidere di recuperare l’anno perduto agganciandolo all’anno successivo”?
A parte l’ovvia domanda se pensasse ad un annullamento escluso per le quinte alle prese con l’esame di Stato ma, più banalmente, che senso ha un intervento in un momento in cui la previsione sulla non praticabilità delle bocciature è già inserita in una norma e non è più un annuncio politico?
Tutto il tono dell’editoriale è, infatti, giocato sulla suggestione che sia possibile ancora una soluzione diversa se è vero che scrive della sua che “È una proposta certo criticabile, non discuto, e altre se ne possono immaginare
“Se ne possono immaginare”? Ma il professor della Loggia che pure invoca il principio di realtà”, in quale realtà vive?
Perché, professore, fra un mese e mezzo la scuola finisce….. fra la pappa e la bambagia a sentir lei.
Franco Labella

Tutti promossi? Sbagliato. E le scuole riaprano il 25 agosto

Bisogna dare un segnale ai ragazzi. Si potrebbe recuperare l’anno perduto agganciandolo all’anno successivo. Ad esempio, iniziando il nuovo anno scolastico il 25 agosto; poi fino al 15 ottobre recuperare il trimestre perduto; a questo punto svolgere gli scrutini non fatti nel giugno precedente; infine dare inizio al nuovo anno il 1° novembre
di Ernesto Galli della Loggia – 25 aprile 2020
Mentre per l’Italia nel suo complesso l’epidemia di Covid-19 rappresenta una catastrofe, per gli alunni delle sue scuole di ogni ordine e grado essa rischia di equivalere più o meno a quello che un tempo si sarebbe detto il Paese di Bengodi. Tutto obbliga a credere infatti che le dichiarazioni del ministro dell’Istruzione Azzolina e le disposizioni da essa impartite in merito alla prossima conclusione dell’anno scolastico significhino una sola cosa. Per gli alunni degli anni intermedi dei cicli scolastici il passaggio automatico all’anno di corso successivo; per quelli invece che devono affrontare un esame di licenza la virtuale promozione d’ufficio. Naturalmente sono sicurissimo che a leggere queste righe il ministro o qualche altro burocrate del suo staff si precipiteranno a dire che non è affatto vero, ad assicurarci che per carità, tutto sarà fatto con il massimo scrupolo, che ci sarà comunque il più rigoroso accertamento del merito e tante altre confortanti parole. Ma sappiamo tutti che non è vero. Sappiamo tutti che nella sostanza le cose andranno come ho detto.
Ebbene, io credo che si tratti di un grave sbaglio, di una scelta profondamente diseducativa. Ma come? Sul Paese si è abbattuta una vera e propria tragedia, i morti si contano a migliaia, a milioni le persone che hanno perso il lavoro o sono economicamente con l’acqua alla gola, la nostra economia rischia di rimanere in ginocchio, le finanze pubbliche neanche a parlarne, e che messaggio viene trasmesso ai giovani italiani? «Facciamo come se nulla fosse e liberi tutti!». Ma c’era un’alternativa? E quale? Secondo me sì. Innanzi tutto prendere atto della realtà (che è sempre un’ottima cosa) e decidere quindi di annullare l’anno scolastico in corso. Ma al tempo stesso, poiché non sarebbe stato certo giusto penalizzare gli studenti facendo loro perdere un anno, e poiché alla fin fine i mesi di vacanza forzata assommavano a un solo trimestre, decidere di recuperare l’anno perduto agganciandolo all’anno successivo. Ad esempio, iniziando il nuovo anno scolastico il 25 agosto; poi fino al 15 ottobre, cioè in 50 giorni, recuperare il trimestre perduto; a questo punto in una settimana o due svolgere gli scrutini non fatti nel giugno precedente e sostituire con gli scrutini anche gli esami di licenza saltati; infine dare inizio al nuovo anno il 1° novembre. Magari prevedendo vacanze più brevi a Natale e a Pasqua ed evitando inutili perdite di tempo con il ridicolo rito delle finte «occupazioni» e con le gite scolastiche. Il tutto naturalmente previo una non certo difficile riformulazione-riduzione ad hoc dei programmi (pardon, delle indicazioni nazionali) da farsi nel giro di un mese ad opera di un agile gruppo di lavoro presso il Ministero dell’Istruzione.
È una proposta certo criticabile, non discuto, e altre se ne possono immaginare, ma il punto è chiaro: nel momento in cui il Paese attraversa la crisi più grave della sua storia repubblicana, sarebbe stato giusto, a me pare, che i giovani non fossero avvolti da una improbabile bambagia protettiva, che non gli fosse servita la solita pappa dolce della benevolenza per decreto – pappa e bambagia che peraltro non hanno impedito che nelle settimane scorse un terzo degli alunni italiani non abbiano potuto fruire delle meraviglie della teledidattica spesso a causa della loro condizione d’indigenza e, a vergogna di tutti noi, nella più completa e generale indifferenza – bensì che anche loro fossero chiamati a guardare in faccia la realtà e a fare i sacrifici necessari: rinunciare alla normalità, alle solite vacanze, studiare di più.
Nulla è più istruttivo dei sacrifici. Lo sanno bene coloro che nel dopoguerra dovettero farne tanti per rimettere in piedi il Paese. Nulla come i sacrifici serve per togliersi idee sbagliate dalla testa, per imparare ad apprezzare alcune cose fondamentali della vita, per capire l’importanza della solidarietà, il legame che tiene insieme, che deve tenere insieme, una comunità; per capire che accanto ai diritti esistono i doveri. Al pari di tutti i sistemi scolastici occidentali e in armonia con lo spirito dei tempi, la scuola italiana ha messo al bando tutto ciò. Lo ha cancellato dal suo modo d’essere e dal suo modo di raccontare ai giovani il mondo: immagino considerandolo «superato» ideologicamente sospetto e pedagogicamente inconsistente. Quando poi si è accorta del vuoto così creatosi ha cercato di riempirlo con la chiacchiera politicamente edificante, destinata a lasciare il tempo che trova, di un insegnamento come «Cittadinanza e Costituzione».
Ma i tempi sono cambiati, stanno drammaticamente cambiando. Se fino a ieri suggerivano l’indirizzo scolastico appena detto, dopo quanto sta succedendo oggi (ma davvero siamo al dopo?), quell’indirizzo appare del tutto incongruo all’atmosfera che chissà per quanto tempo ancora caratterizzerà le nostre società. E infatti non andiamo forse ripetendo tutti da settimane che proprio il colpo ricevuto deve obbligarci a «ripensare tutto», che «nulla può o deve essere come prima»? Le autorità scolastiche, allora, avrebbero potuto capirlo tra le prime e dare l’esempio. Capire che nelle aule non avrebbe più potuto esserci posto per la bonarietà vacua e indulgente, per il demo-paternalismo attuali. Che con i tempi che si annunciano c’è bisogno di qualcosa di ben diverso: soprattutto di una nuova serietà.
25 aprile 2020 (modifica il 26 aprile 2020 | 08:31)
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La “patente Covid” e la “patente scuola” ultima modifica: 2020-04-30T06:13:55+02:00 da
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