Divenute o riconosciute come paritarie ai sensi della legge citata, molte o tutte le scuole private – in particolare quelle cattoliche – hanno cominciato (o continuato con maggiore determinazione) a pretendere di essere sostenute economicamente dallo Stato come le scuole pubbliche, a dispetto della Costituzione che stabilisce “senza oneri per lo Stato” e della stessa l. 62/2000 che nulla prevede in proposito.
Negli ultimi cinque anni, le paritarie cattoliche, sostenute da parroci, vescovi, altre gerarchie ecclesiastiche, hanno rinverdito e rinominato le loro richieste di buono-scuola o quota-capitaria trasformandola in “costo standard”, sostenuto da un saggio o pamphlet scritto ad hoc e poi in numerosi articoli, incontri, dibattiti e manifestazioni (in genere ripetitivi/e e tra persone già tutte d’accordo, appartenenti ad un informale e coeso “gruppo di pressione pro-paritarie”).
L’anniversario ventennale è buona occasione per il “gruppo di pressione pro-paritarie” per rinnovare le loro richieste, argomentazioni, delusioni e speranze. Di seguito vengono esposti spunti e considerazioni per ribadire e chiarirne alcuni aspetti della vicenda “parità scolastica e costo standard”.
Parità scolastica, significato e implicazioni
La prima considerazione riguarda cosa si intende per “parità”, è opportuna perché c’è chi confonde o cerca di barare. Però il significato di “parità” è definito ed esplicitato proprio nella stessa legge 62/2000 all’inizio del comma 2 dell’unico articolo: “Si definiscono scuole paritarie …. “, quello che c’è scritto e nient’altro, punto. Invece c’è chi avanza e sostiene interpretazioni più estese e convenienti cercando il significato di “parità” non nella legge ma nelle enciclopedie, in dizionari famosi, su internet e altrove; e poi denuncia la parità incompiuta e la legge ancora da applicare e da completare perché “dimezzata”.
Altra considerazione riguarda l’appartenenza delle scuole riconosciute paritarie al “sistema nazionale di istruzione” che è pure di semplice e chiara interpretazione, concretizzata nell’”abilitazione a rilasciare titoli di studio aventi valore legale” e nel riconoscimento di “svolgere un servizio pubblico”; dove pubblico consiste nel dover “accoglier chiunque richieda di iscriversi”; svolgere servizio pubblico non implica affatto che lo Stato debba finanziare le scuole riconosciute paritarie. Né è corretto citare dalla legge un inesistente “sistema integrato formato da scuole pubbliche statali e scuole pubbliche paritarie”, e non è corretto affermare che le scuole riconosciute paritarie cessano di essere private. Questo dice la legge, che può sì essere modificata e migliorata, ma che al momento è quella e risulta applicata.
La saga del “costo standard”
Il costo standard debutta, per così dire, 4 anni fa quando il periodico TEMPI, il 24.10.2015, pubblica l’articolo “
Come risparmiare 17 miliardi di euro (diciassette) rendendo la scuola davvero libera” relativo al pamphlet “
Il diritto di apprendere nuove linee di investimento”; il volume/saggio, con prefazione dell’allora ministro Giannini (!), che poi verrà presentato 4 o 5 volte, in giro per l’Italia, a Milano, Roma, Foggia, …. sempre con notevole eco e clamore mediatico e sui social religiosi.
La “prospettiva di almeno 17 miliardi di euro risparmiati” venne subito (dicembre 2015) comunicata direttamente all’allora premier Matteo Renzi tramite una affettuosa, fremente e sperticata lettera aperta “Caro Matteo ti scrivo… “: però nessun riscontro né risposta; tanto l’anno dopo apparve l’articolo “Ripetizioni a Renzi su come risparmiare sulla scuola”, ma anche questo del tutto inutilmente.
Dopo venne il Referendum perso e il governo Gentiloni; a Stefania Giannini succede Valeria Fedeli che eredita la gestione della vicenda nell’anno che precede le elezioni politiche, quindi con necessità di non deludere Chiesa, Vaticano, CEI, parroci e vescovi, gestori delle paritarie. Il “gruppo di pressione pro-paritarie” insegue e incalza la ministra PD, chissà forse con l’intento di conquistare il costo standard tramite un emendamento al DEF, alla chetichella, senza clamori, magari come Toccafondi fece con i 575 mln di euro. Ma il costo standard richiede un onere non di milioni, ma di alcuni miliardi (6 secondo Agesc/2007), che il governo assolutamente non ha. Fedeli allora butta la palla in tribuna e se la cava con l’idea brillante del
Gruppo di Lavoro presieduto da Luigi Berlinguer. Gestori cattolici contenti, quasi entusiasti: “
Il cardinale Bassetti: «Inizio di un cammino»”; “
È un passaggio storico, un punto di non ritorno”.
Novità interessanti accadono nella corrente XVIII Legislatura, sono i due DdL relativi, uno alla modifica dell’art. 33. Cost. e l’altro all’
adozione integrale del costo standard (così come richiesto dal “gruppo di pressione pro-paritarie”).
Il primo è il
PdL costituzionale Comaroli (Lega) e propone testualmente, in un solo articolo, in un solo comma, in una sola frase: “Al terzo comma dell’articolo 33 della Costituzione, le parole: «, senza oneri per lo Stato» sono soppresse”; cioè rimuove completamente l’ostacolo ai finanziamenti statali alle scuole paritarie.
Il secondo è
il DdL Lonardo (FI), è più esteso, puntuale ed esaustivo (5 cartelle, compresa una tabella), titola “Modifiche alla legge 10 marzo 2000, n. 62”, propone di modificare cinque commi e di aggiungere al c. 4 ben 13 sotto-commi.
Due “piccoli” inconvenienti: primo, il DdL Lonardo è incostituzionale e non può essere approvato se prima non passa il PdL costituzionale Comaroli; ma conseguenza paradossale del PdL Comaroli sarebbe che con la sua approvazione verrebbero a mancare senso, significato e fondamenta del DdL Lonardo sul costa standard, inteso e nato come escamotage per aggirare proprio la norma abrogata; il secondo inconveniente e che Lega, FI e FdI sono attualmente all’opposizione e insieme non hanno in Parlamento i numeri per approvare leggi; inoltre qualora in futuro il Cdx risultasse maggioritario, non è affatto scontato che sarebbe favorevole al costo standard (ricordiamo che a suo tempo né Moratti, né Gelmini fecero nulla per dote-scuola o quota-capitaria).
Conclusioni
La vicenda o saga dell’iniziativa “costo standard” appare al momento arenata oppure giunta alla sua conclusione, pur con la malcelata delusione dei suoi determinati promotori e sostenitori – cioè del citato “gruppo di pressione pro-paritare” – ai quali può essere utile ricordare che i riferimenti altrui alla Costituzione e alle leggi vigenti non costituiscono argomentazione ideologica, pretestuosa e sbagliata perché dubita e non crede ciecamente all’ipotesi taumaturgica del costo standard.
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