La scuola che boccia il merito e gli strani ragionamenti di Gian Antonio Stella sugli insegnanti

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di Mariangela Galatea Vaglio,  Non volevo fare la prof, 12.1.2017 

Sul web, si sa, i tempi sono veloci e bisognerebbe rispondere subito subito alle dichiarazioni altrui. Per cui, quando il 5 gennaio è uscito questo pezzo di Gian Antonio Stella sul bonus merito degli insegnanti, avrei voluto rispondere immediatamente. Ma poi sono tornata a scuola, e risucchiata da mille cose, non ho avuto tempo. Rispondo quindi un po’ in ritardo, anche perché forse è meglio sedimentare per qualche giorno, così le obiezioni mosse sono più a mente fredda e la contestazione sarà più puntuale e motivata.

Tanto per togliere ogni dubbio, io il bonus del merito a scuola mia l’ho pure preso. Consta di 426 euro totali, che mi sono stati accreditati, in ritardo di molti mesi, sotto Natale. L’incentivo economico che dovrebbe spingere i migliori ad impegnarsi allo stremo per ricevere una ricompensa consta di poco più di un euro al giorno, che mi consentirà di regalarmi il lusso di un cappuccino al bar. In effetti per un simile premio chi non sarebbe disposto a frequentare più corsi di formazione, dannarsi a progettare attività innovative per gli alunni, restare a scuola ore ed ore in più ed essere disponibile per le più disparate incombenze?

Ma lasciamo perdere, è ovvio che io sono venale e tali obiezioni non meritano di essere prese in considerazione. Analizziamo perciò nello specifico quanto riporta Stella e le obiezioni che muove.

L’articolo inizia attaccando l’affermazione di un sindacalista UIL, su cui Stella ironizza:
«Va bene premiare il merito, ma troviamo dei criteri in sede contrattuale perché i migliori magari non sono 5 ma l’80% degli insegnanti». Testuale. Ora, nessuno si sognerebbe di sostenere, neppure dentro il sindacato, che possano indistintamente essere «i migliori» l’80% dei calciatori o dei pianisti, dei fabbri o dei pizzaioli. In tutti i campi della vita ci sono i più bravi e i meno bravi.

Già qui Stella pare cadere nella confusione, così diffusa, che “premiare il merito” nella scuola debba coincidere necessariamente con il premiare una ristretta cerchia di “migliori”, diciamo una sorta di circolo degli eletti formato sì e no da qualche decina (o anche meno) di persone. In realtà, se uno ci pensa un attimo, i due concetti non sono proprio coincidenti. Il concetto di docente meritevole a cui pare far riferimento Stella sembra una figura di docente che forse è più vicino ad un insegnante universitario o un professionista di successo. Uno che viene premiato perché è un faro riconosciuto nella sua professione, i cui articoli sono per esempio citati e pubblicati in riviste prestigiose, che fa ricerca innovativa, partecipa a convegni, ha elenchi infiniti di bibliografia, tiene seminari ai colleghi, scrive libri o altro. Fa parte insomma di una ristretta cerchia di grandi intellettuali della didattica e della pedagogia.

Ecco, non so come spiegarlo a Stella, ma quelli che sono a questo livello qua, è difficile che insegnino in una scuola. Sono di solito già docenti universitari o lavorano come professionisti della formazione, a scuola vengono al massimo a fare corsi di aggiornamento a noi insegnanti comuni, e 426 euro li prendono per un solo pomeriggio di lezione, per cui invogliarli a prendere una cattedra con una simile miseria di bonus è impossibile. Detto fra noi, per giunta, alle volte è pure meglio che non esercitino l’insegnamento nelle scuole normali, perché spesso e volentieri questi grandi intellettuali preparatissimi sulla teoria se si ritrovassero venti minuti in classe di fronte ad una platea di adolescenti o di ragazzini veri non ne uscirebbero vivi.

Che cosa può essere dunque un insegnante meritevole a scuola? In pratica un docente normalissimo, che magari si dimostra disposto a sobbarcarsi ore di lavoro in più per organizzare orari e supplenze, dare una mano al Dirigente a smaltire pratiche burocratiche varie, coprire ore buche quando i colleghi sono malati, accollarsi il peso di far andare avanti commissioni o fare incontri al pomeriggio, seguire corsi di formazione e di aggiornamento sulle ultime mode didattiche di cui si sono infatuati al Ministero. A scuola il merito dei docenti, mi creda, Stella, non si misura in base a quanti articoli accademici hanno pubblicato o altri parametri chic, ma a quante ore di noiose rotture di scatole per il menù della mensa uno ha lo stomaco di fare.

Quasi tutte le scuole, infatti, alla fine hanno deciso di dare i soldi del merito a questo tipo di insegnante qua. Quello che, povero cristo, da anni, con inesausta dedizione, sacrifica un sacco di tempo a risolvere problemi pratici spesso idioti, ma che è fondamentale siano affrontati se si vuole tenere in piedi la baracca. Questi insegnanti qua, continui a credermi, Stella, sono una legione.

Lei si stupisce perché la maggioranza delle scuole ha deciso di dividere i soldi del merito a pioggia, premiando almeno il 47% dei docenti. A lei sembra una cosa assurda, a me sa che il 47% è ancora poco. In una scuola normale ben più del 47% dei colleghi qualche incarico extra se lo prende per forza di cose, altrimenti non si saprebbe come far funzionare l’ordinario. C’è chi fa il coordinatore di più classi, chi partecipa a valanghe di commissioni, chi fa gli orari, chi cerca di organizzare le attività extra pomeridiane, i corsi di recupero, quelli per gli stranieri, chi tiene i rapporti con le famiglie e i medici che seguono gli alunni disabili, chi partecipa ai tavoli di coordinamento con i vari enti locali, o con le reti di altre scuole, chi si occupa della sicurezza, del team digitale, dei progetti d’istituto, chi coordina la continuità fra materna, medie ed elementari, chi organizza le gite, le settimane di studio all’estero, le attività accessorie e gli stage, chi fa il vicario e il fiduciario di plesso e supplisce il Dirigente quando non c’è o magari non è in sede perché deve dirigere contemporaneamente più scuole, etc. C’è a scuola una valanga di lavoro sommerso che nessuno sembra conoscere, ma che viene svolto silenziosamente da quasi tutti i docenti.  Se Stella pensa che solo il 10% dei docenti di una scuola faccia parte dell’élite che si impegna di più è perché come quasi tutti ignora quanto complesso e difficile da gestire sia oggi anche la più piccola delle scuole di provincia e quanto spesso noi docenti arriviamo a scuola alle otto di mattina e ne usciamo alle cinque, sei, sette di sera.

Ora, caro Stella, le dirò anche qualcosa di più. Lei fa il paragone con il calcio e dice che non tutti i docenti possono diventare “i migliori” esattamente come non tutti i calciatori possono diventare Messi. E magari nella sua testa il ragionamento fila anche. Però vede, c’è un problema. Messi è un giocatore che pensa alla sua carriera personale. È meritorio se segna, ma non deve per il suo lavoro formare dei giovani a lui affidati. Monitorare il suo rendimento è in qualche modo semplice, perché basta contare i suoi goal. Un insegnante, invece, non è produttivo in quanto ottiene dei successi personali. I suoi successi e quindi i suoi meriti come si misurano? Nel numero di articoli di didattica che pubblica all’anno? Nel numero di progetti che porta a termine? Nel numero di alunni che promuove? Quando lei dice che la scuola non sembra essere in grado di formulare dei criteri meritocratici per premiare gli insegnanti meritevoli, pure lei però poi su questo resta vago.  Perché il grande nodo quando si parla di merito dell’insegnante è poi definire il merito di preciso cosa sia, e come sia quantificabile ed ascrivibile al singolo.

Torniamo all’esempio di Messi. Grande giocatore, non c’è dubbio. Ma pure lui, in fondo, ha bisogno di avere alle spalle, per vincere, una buona squadra. Per quanto un calciatore sia geniale, se ha attorno ha dei brocchi o un club di secondo piano è difficile che arrivi ai vertici massimi della carriera. Messi non gioca nell’Abbiategrasso, credo.

Nella scuola questo fenomeno è ancora più pronunciato. Prendete il miglior insegnante del mondo e mettetelo in un ambiente poco stimolante e collaborativo: non potrà fare granché. Questa visione della scuola come un luogo dove un singolo docente salva la situazione è ingenua e fuorviante. Nemmeno un portento dell’educazione come Don Milani ha fatto tutto da solo: aveva attorno un suo team.

Pensate davvero che i ragazzi diventino bravi solo perché hanno uno e un solo insegnante geniale? No, non è così. I ragazzi diventano bravi ed organizzati se hanno un team di insegnanti che funziona e si supporta. Un team in cui non solo quello di italiano insegna bene italiano e quello di matematica insegna bene matematica, ma tutti e due si coordinano, hanno obiettivi in comune, e anche una mente aperta alle connessioni stravaganti, insegnano assieme e assieme ai colleghi di lingue, tecnica, arte, musica come si lavora e come si leggono opere, testi, quadri, spartiti. Alle volte è poi assai difficile stabilire anche in che misura contribuiscano ciascuno al successo dell’alunno. Se Pierino ha imparato a scrivere bene in italiano, infatti, non è solo per merito esclusivo del collega di lettere, ma magari per il fondamentale apporto di quello di lingue che gli ha insegnato a indagare la struttura della frase in lingue differenti, o di quello di matematica, che gli ha insegnato come analizzare un testo e a fare attenzione alle connessioni logiche fra i dati, e così via.

Vi dirò di più: alle volte i ragazzi imparano meglio con un team di insegnanti magari singolarmente non geniali, ma ben affiatati, piuttosto che con un gruppo di docenti singolarmente bravissimi ma incapaci per motivi caratteriali o per invidie personali di lavorare in maniera efficiente. Avete presente le compagnie con troppe primedonne? In genere sono quelle che producono spettacoli infami.

Ora provate a pensare come invece funziona il bonus merito. Premia un insegnante solo. Con il bel risultato che tutti gli altri, che risultano quindi indicati come “mediocri” invece di sentirsi incentivati si sentono frustrati.  Se l’insegnante premiato è davvero un fuoriclasse, loro sono ben consci che per quanto si impegnino, non potranno mai arrivare al suo livello, e quindi non c’è partita. È come giocare in un campionato in cui sai di non poter mai vincere lo scudetto. Risultato? Perdono anche quel po’ di entusiasmo che potevano avere lavorando in team. Se invece sono tutti tendenzialmente bravi, ma competitivi, l’assegnazione del bonus rischia di scatenare lotte intestine furibonde, dispetti e invidie che si riverbereranno poi sugli alunni e sul clima complessivo di classe.

Da qualsiasi parte lo si guardi, il bonus del merito così come è stato impostato non garantisce alcuna ricaduta positiva: né economica per i docenti che lo percepiscano né reale per le scuole. È una mancetta che viene assegnata quasi sempre per meriti che esulano dall’insegnamento in classe (premia infatti la disponibilità del docente a sobbarcarsi incarichi che non sono attinenti direttamente con il suo lavoro di insegnante e con l’apprendimento dei ragazzi, ma che devono risolvere problemi organizzativi della scuola), scatena frustrazione in chi non lo riceve e rischia di portare ad un peggioramento generale dell’ambiente di lavoro.

Insomma i ragazzi non è detto che imparino di più, non è detto che abbiano insegnanti migliori e per giunta si ritrovano con un corpo docente ancora più diviso all’interno e dove si scatena un clima da tutti contro tutti.

Vede, Stella, i problemi del bonus del merito sono questi. Non i sindacati, non la mentalità ugualitaristica, non il rifiuto della meritocrazia.

È che semplicemente non serve a nulla.

E si fidi, glielo dice una che lo ha pure avuto.

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La scuola che boccia il merito e gli strani ragionamenti di Gian Antonio Stella sugli insegnanti ultima modifica: 2017-01-13T13:37:26+01:00 da
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