di Gianni Brugnoli, Il Sole 24 Ore, 17.9.2018
– Caro Direttore,
in questi giorni si torna in classe. Ricominciano le fatiche di studenti e insegnanti: compiti, lezioni, interrogazioni, attività di alternanza. Da imprenditore e padre di famiglia, al di là della delega al capitale umano che ricopro in Confindustria, viene del tutto naturale interrogarmi sul ruolo che la scuola ha oggi, in un momento storico così delicato. E confesso una certa apprensione che sento di dover condividere, ma anche la profonda convinzione che la scuola, per crescere, debba tornare stabilmente al centro del dibattito. Per questo è imprescindibile parlarne.
Il cambiamento costante, tecnologico e sociale, è ormai un destino irreversibile. La scuola italiana è chiamata a farci i conti: è suo preciso dovere fornire alle nuove generazioni gli strumenti per affrontare un futuro sempre più incerto con la necessaria dose di fiducia. Sono due le sfide che intravedo: una si chiama cittadinanza, l’altra si chiama lavoro. Due facce della stessa medaglia.
La sfida della cittadinanza è preparare i giovani affinché siano protagonisti e non comparse di una democrazia che sta mostrando tutte le sue debolezze, in Italia come in Europa. Cittadini consapevoli davanti a problemi che sembrano insormontabili: migrazione, proibizionismo, fake news, debito pubblico e tanto altro. Come risponde la scuola a tutto questo? Quali sono gli strumenti di discernimento che offre? Aiuta i giovani a costruire una società migliore rispetto a quella che stiamo loro lasciando?
Ma c’è una sfida che è ancora più urgente: quella del lavoro. Perché, e ce lo ricorda il primo articolo della nostra Costituzione, non c’è cittadinanza senza lavoro. Come si preparano le nuove generazioni a un lavoro che ogni giorno cambia? Come si convincono i giovani a stare anni e anni in classe se le loro competenze, senza aggiornamento, dureranno pochi mesi? Come si spiega a un nativo digitale che le nuove tecnologie servono a produrre e non soltanto a consumare? Sono domande inevitabili davanti a mutamenti inevitabili. Le macchine diventano più brave di noi in tutto, corrono e non si stancano, e questo ci toglie sicurezza più che farci intravedere opportunità.
La scuola può e deve dare risposte, andando oltre l’aula, aprendosi all’impresa e a tutto ciò che di buono c’è nella rivoluzione tecnologica. Abbiamo bisogno della Scuola. Punto. Perché solo la scuola può fare una cosa che nessun altra istituzione può fare: insegnare a imparare.
Il nostro sistema scolastico deve sviluppare nei giovani l’attitudine fondamentale ad apprendere costantemente, allenare coscienze vive e critiche, garantire la padronanza attiva e consapevole dei linguaggi 4.0 che significa padronanza delle tecnologie e non asservimento passivo e irresponsabile. Abituare i giovani a riflettere, ragionare, intraprendere.
Se la scuola del maestro Manzi insegnava a leggere, scrivere e far di conto, la scuola 4.0 deve insegnare a leggere digitale (analizzare i dati), scrivere digitale (programmare sui dati), far di conto digitale (sviluppare dai dati). Ma oltre ad aggiornare una missione serve rinnovare la visione: pensare e progettare una scuola che non scarichi addosso agli studenti nozioni su nozioni ma li accompagni e orienti in un mondo sempre più complesso mostrandone le logiche, anticipandone i progressi, spiegandone gli eccessi.
Proprio per questo la scuola italiana non può permettersi nessuna autoreferenzialità. O, meno che mai, essere lasciata a se stessa. L’augurio è che diventi – nei fatti – un bene pubblico che tutti abbiamo il dovere di tutelare, proteggere, innovare. E le imprese sono pronte a fare la loro parte.
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Gianni Brugnoli è Vicepresidente di Confindustria per il Capitale umano
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