di Nicola Arrigoni, La Provincia di Cremona, 9.11.2018
– Il 22 novembre si confronterà con Umberto Galimberti sul tema dell’educazione. «L’interconnessione tra culture e una rivoluzione tecnologica senza pari hanno cambiato il mondo».
CREMONA – In tempi di preiscrizioni, nei giorni in cui le scuole mettono in atto tutte le loro doti seduttive e di marketing per attirare nuovi iscritti sembra interessante offrire il punto di vista sul ruolo della scuola al filosofo Mauro Ceruti, partendo da un incontro dal titolo: La nostra scuola non educa che lo vedrà confrontarsi al teatro Franco Parenti di Milano conUmberto Galimberti. Proprio il filosofo cremonese ha fatto della scuola e della questione educativa il terreno per portare avanti la sua riflessione epistemologica sulla conoscenza. Parlare di scuola con Ceruti vuol dire interrogarsi sul ruolo dell’uomo nella società della complessità, sui cambiamenti dettati dalle nuove tecnologie e sulla necessità di trovare nuove strategie per orientarsi nel mondo globalizzato e sempre più interconnesso.
E’ un po’ radicale il titolo del confronto del prossimo 22 novembre 2018 a Milano. La scuola non educa sembra non dare alcuna via di uscita all’istituzione formativa per eccellenza.
«E dopotutto è così. E’ davanti ai nostri occhi. La scuola sempre più si dedica alla professionalizzazione, in una corsa contro il tempo col mercato del lavoro e i cambiamenti fulminei che contraddistinguono la nostra società. La scuola invece dovrebbe formare le persone, i cittadini, insegnare a conoscere e a districarsi nella società della complessità».
La scuola ha sempre fatto questo: formare i cittadini, fornire una comune cultura in cui riconoscersi e distinguersi dagli altri?
«E questo è stato il suo compito fino a ieri, fino a quando gli stati nazionali hanno avuto un loro ruolo. La scuola ha contribuito a formare gli stati nazionali, il senso di appartenenza, la conoscenza di una comune lingua, di una cultura comune. La scuola ha proposto a piccoli mondi separati come potevano essere i paesi o gli stati regionali di abbandonare un po’ della loro diversità, per abbracciare una comune cultura e lingua che unisse tutti sotto uno solo stato».
Tutto ciò oggi non ha più senso, sembra di intuire.
«E’ cambiato il mondo, lo vediamo tutti. L’interconnessione fra culture da un lato e una rivoluzione tecnologica senza pari hanno modificato lo scenario mondiale».
La scuola cosa deve fare?
«Si deve ripensare. Se fino a tutta l’età moderna, caratterizzata dalla nascita degli stati nazionali, la scuola ha funzionato come collante e strumento per costruire una narrazione atta a dare unicità agli stati e omologare le diversità dei territori, oggi questo non è più possibile. La sovranità degli stati nazionali è messa in crisi dalla globalizzazione. In questo contesto ogni sovranismo non può che essere inutile, inadeguato, volto ad acuire i conflitti, ma inadatto ad affrontare problematiche complesse che investono l’economia, la guerra o la pace, l’ambiente. L’intreccio di culture, l’inarrestabile flusso migratorio impongono una scuola che sappia valorizzare le diversità, che sappia educare alla cittadinanza multipla, una scuola non più omologante, ma che sappia leggere, valorizzare e trarre forza dalle diversità culturali. Riconoscere la molteplicità e l’eterogeneità delle esperienze cognitive ed emotive è un punto di partenza ineliminabile e ineludibile per una scuola che sappia essere spazio formativo nell’età della complessità».
Altro aspetto spiazzante è la rivoluzione tecnologica a cui accennava prima…
«Fino agli anni Ottanta del secolo scorso ciò che i ragazzi imparavano era legato essenzialmente al contesto scolastico. Oggi non è più così. I bambini e gli adolescenti apprendono o vengono a conoscenza di aspetti di realtà da tanti canali differenti: dai videogiochi, dalla Rete, dalla televisione. Tutto questo accade e spesso gli adulti come i bambini e gli adolescenti non ne sono consapevoli, acquisiscono conoscenze, le une giustapposte alle altre. Il compito della scuola nell’età della complessità è quella di insegnare a mettere in connessione, intrecciare i diversi saperi, creare mappe cognitive che permettano ai bambini e agli adolescenti di valutare, usare, scegliere la marea di informazioni con cui vengono in contatto. La scuola dovrebbe insegnare a leggere e orientarci nel tempo della complessità. Oggi la scuola deve formare persone capaci di imparare ad imparare continuamente».
Invece sembra andare nella dimensione opposta. Quella della specializzazione, della professionalizzazione…
«La crisi della scuola è pari a quella della politica. I nostri politici si affidano agli esperti, dimostrando di non avere la capacità di assumere quello che è il ruolo del politico: ovvero affrontare la complessità della realtà e per questo cercare soluzioni che esprimano prospettiva e tengano conto dell’articolazione della realtà in cui viviamo».
La scuola oggi sembra sempre più indebolita, fragile.
«Nella scuola di questi ultimi anni rischia di affermarsi un atteggiamento difensivo: alla scuola non resterebbe altro che il compito di gestire una ritirata, cioè il compito di assicurare un nucleo generale di contenuti comuni, sul quale poi ognuno costruirebbe il proprio percorso e la propria stessa individualità. E talvolta ci si spinge anche ad affermare che la scuola dovrebbe limitarsi alla trasmissione di competenze ben definibili e precisabili».
Invece che cosa dovrebbe fare la scuola?
«La frammentazione delle esperienze, delle informazioni e dei saperi è il maggiore ostacolo alla formulazione e alla comprensione dei problemi. Questo, oggi, non vale solo per gli adolescenti, ma anche per gli adulti, e quindi anche per gli insegnanti. Unificare ciò che è diviso, isolato, frammentato è una sfida educativa ineludibile. La scuola deve perseguire l’integrazione reciproca fra i saperi e fra le esperienze per favorire una conoscenza complessa e multidimensionale all’altezza della complessità e della multidimensionalità degli oggetti da conoscere e dei problemi da affrontare nel mondo d’oggi. Ed è nella scuola che si pone il problema dell’organizzazione delle molteplici informazioni e conoscenze che agli adolescenti ogni giorno derivano, dalle fonti più disparate, su questi problemi così complessi. La nuova condizione umana globale ha oggi bisogno di una cultura che integri i saperi in modo fecondo, di prospettive culturali in cui i saperi umanistici siano collegati in modo profondo con i saperi scientifici e tecnologici. Essere responsabili significa anzitutto avere la capacità di comprendere i problemi, le loro molteplici e intrecciate dimensioni».
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