La scuola oltre l’emergenza: le scelte necessarie

di Anna AscaniHuffington Post, 18.4.2020

– Ho letto con grande interesse i vari appelli che in queste ore si moltiplicano affinché il governo valuti la possibilità di riaprire le scuole nel momento in cui, con la “fase 2”, alcune attività cominceranno a riprendere, dopo lunghe settimane di lockdown. Parole accorate, che intercettano un sentimento molto diffuso e interpretano le reali difficoltà di migliaia di famiglie italiane in questa quarantena forzata. Comprendo appieno la preoccupazione dei genitori, il timore riguardo il futuro, ma per inquadrare correttamente la questione vorrei anzitutto chiarire un aspetto, tra i tanti condivisibili, che mi pare emergere da alcune di questi appelli e che trovo non solo sbagliato, ma addirittura pericoloso. In condizioni normali ogni giorno i nostri bambini e ragazzi trascorrono diverse ore fuori casa sotto lo sguardo attento di insegnanti, collaboratori scolastici, dirigenti, personale. Ma queste persone, dotate di competenze e professionalità che forse solo il lungo isolamento sta facendo vedere e apprezzare fino in fondo, non sono lì semplicemente per badare ai minori mentre i loro genitori lavorano. La scuola non è un ammortizzatore sociale o, peggio, un parcheggio.

Provate a chiedere a un bambino cosa gli manca della vita ordinaria pre-Covid e vi parlerà di relazioni, di contatto, di amicizia. La scuola è il luogo nel quale le conoscenze si arricchiscono e si consolidano nella relazione docente/studente e studente/studente, costruendo così giorno dopo giorno la cittadinanza consapevole e responsabile, coltivando i talenti di tutti e di ciascuno, accorciando le distanze.

Il rischio nascosto nel ridurre la discussione sulla riapertura delle scuole a una questione di gestione familiare è qualcosa di tanto più insidioso quanto più condivisibili ci appaiono e sono le paure dei genitori. Nessuno può mettere in discussione la necessità per una mamma e un papà di sapere il proprio figlio al sicuro mentre si reca al lavoro, soprattutto in questa fase di emergenza prolungata. Tutti condividiamo il timore che, non potendo neppure contare sui nonni – i più fragili ed esposti in questo momento – in troppi (troppe, ahimè) si ritrovino a dover scegliere tra famiglia e lavoro. Dobbiamo evitarlo, a tutti i costi. Ma questa non è la sola urgenza, né è la ragione più profonda per la quale abbiamo bisogno di tornare a scuola prima possibile. Se così fosse, infatti, basterebbe stanziare fondi per coprire congedi parentali e voucher babysitter ad oltranza – cosa comunque assolutamente necessaria nel caso in cui riprendano le attività lavorative mentre le scuole saranno ancora chiuse. Però tamponare in questo modo non basta e non può bastare.

Da settimane milioni di studenti hanno visto sostituire alla didattica in presenza quella a distanza, sperimentando forme nuove di apprendimento. La scuola è stata l’istituzione che si è dimostrata più veloce e capace di adattamento in questo tempo difficilissimo. Gli insegnanti – la cui reputazione nel nostro Paese aveva raggiunto nel tempo livelli davvero preoccupanti – hanno saputo dar prova di grande forza di volontà, competenza, coraggio, resilienza che finalmente gli vengono riconosciuti dalla stragrande maggioranza degli italiani. Ma il digitale non può sostituire l’elemento fondamentale che deriva dall’imparare insieme, in presenza, sotto lo sguardo concreto di un adulto, il maestro, guida di una comunità-classe che cammina insieme.

Quel che ci manca della scuola non è semplicemente la funzione sociale di accompagnamento alle famiglie, ma il ruolo che la Costituzione le assegna, ovvero il suo essere il luogo dell’esercizio effettivo di un diritto, quello ad essere e-ducati, a raggiungere i più alti gradi dell’istruzione a prescindere dalle condizioni sociali ed economiche di partenza.

La scuola va riaperta prima possibile. Non c’è dubbio. Ed è scuola a pieno titolo anche quella che si occupa dei più piccoli, quello 0-6 che ancora in troppi considerano invece alla stregua di un vero e proprio ammortizzatore sociale. Sono anzi i bambini più piccoli ad aver sofferto maggiormente lo stop forzato perché è molto più difficile garantirgli a distanza quel che la scuola faceva per loro in presenza.

Siamo chiamati quindi a immaginare in fretta una via per consentire a milioni di bambini e ragazzi di uscire dall’isolamento e di continuare a crescere ed imparare insieme, in sicurezza e tenendo conto dei pareri espressi dalla struttura scientifica che supporta il governo in questa fase. Dire “in sicurezza” significa, però, ridurre al minimo il rischio del contagio. È vero che altri paesi europei hanno annunciato la volontà di riaprire, ma si tratta per ora solamente di annunci e non sono note le modalità con le quali si garantirà quella sicurezza che, al momento, pare essere data solo dal distanziamento sociale, molto difficile da mettere in atto quando nella stessa aula trascorrono diverse ore insieme in media più di venti persone. Nei paesi scandinavi, che molti hanno eletto a modello di riferimento per la scelta di non chiudere o di riaprire anzitempo, queste misure di sicurezza, a leggere i documenti ufficiali, per lo più non esistono: ci si affida al buon senso, alla vigilanza dei docenti, si aggiunge che al primo starnuto gli studenti vanno mandati a casa, ma se si tratta di asintomatici o se, come abbiamo imparato a capire in queste settimane, i sintomi arrivano ben dopo il contagio, allontanarli dagli altri al “primo starnuto” può essere già decisamente tardi.

Il piano di rientro insomma è tutto da scrivere e non solo per noi. Allora parliamoci chiaro: è molto probabile che servano più spazio, più strumenti, più insegnanti, nuove competenze e quindi molte più risorse. Siamo pronti come Paese a fare un investimento strategico sull’educazione? Siamo pronti a chiedere, tutti insieme, di concentrare le risorse su questo piuttosto che su altro (perché le risorse non sono infinite, purtroppo, e qualche scelta andrà fatta)? Se quello del rientro a scuola è davvero il tema più urgente, come pare da giornali e televisioni – la qual cosa mi trova molto d’accordo – non dobbiamo lasciarci sfuggire l’occasione di pensare in grande, al futuro, magari facendo quel salto in avanti nel modo di fare scuola verso il quale alcune sperimentazioni ci hanno indirizzato e per cui servono, però, investimenti corposi sulle strutture e sulle persone.

Nei prossimi giorni insieme ai sindaci, ai presidenti di province e regioni, insieme agli uffici scolastici regionali, ai dirigenti del ministero, alle organizzazioni sindacali rappresentative di docenti e dirigenti e col supporto di una task force di esperti, bisognerà lavorare per definire un piano serio di ritorno alla normalità che sia pronto nel minor tempo possibile. Se il Paese supporterà questo sforzo con la stessa energia con la quale oggi si chiede di riaprire le scuole, da tutto questo forse usciremo con un sistema dell’istruzione migliore, e quindi con un Paese migliore.

zAnna Ascani, Viceministra dell’Istruzione, vicepresidente del Pd

La scuola oltre l’emergenza: le scelte necessarie ultima modifica: 2020-04-19T05:54:39+02:00 da
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