di Valerio Vagnoli, Il Corriere fiorentino, 11.4.2018
– L’annuale Rapporto dell’Istituto Toniolo sulla condizione dei nostri giovani conferma ancora una volta, rispetto a quella di altri Paesi europei, un dato davvero sconfortante.
E cioè l’alta e sempre più insostenibile percentuale dei cosiddetti Neet, i giovani tra i 15 e i 29 anni che non sono impegnati nello studio o nel lavoro o in percorsi formativi. In Italia si attesta al 26% rispetto alla media Ue del 15,6%. Soprattutto si conferma come questi giovani provengano in maniera pressoché totale da famiglie meno abbienti soprattutto del Sud. Il timore, direi quasi la certezza, è quello di vedere questi numeri, che corrispondono a oltre 2 milioni di giovani, crescere inesorabilmente anche nei prossimi anni.
Uno dei motivi di questo pessimismo deriva dalla recente revisione degli istituti professionali. Ci aspettavamo che il ministero finalmente ponesse almeno qualche rimedio al loro progressivo snaturamento. Invece, dopo un anno di lavoro di una commissione ad hoc, si è dovuto constatare come la situazione sia addirittura peggiorata. Ci si è limitati infatti a un intervento di pura facciata che lascia più o meno le cose come erano (troppe materie-poca pratica), salvo aggravare il carico burocratico delle singole scuole che è, oggettivamente, al limite del collasso.
La mobilità sociale, che è un caposaldo di qualsiasi società liberale e anche la miglior garanzia perché le democrazie si mantengano tali, va, per i meno abbienti, estinguendosi. Al pari, verrebbe da dire non a caso, della qualità delle nostre scuole professionali. A dimostrazione di ciò, si registra la progressiva nascita, soprattutto in alcuni indirizzi professionali, di corsi privati post-diploma, con lo scopo di formare sul serio al lavoro i tanti giovani che dopo cinque anni di scuola sono ancora lontani dal possedere le competenze necessarie per poter svolgere una professione; quando non si tratta addirittura di doverli correggere dal punto di vista del comportamento e dell’educazione. Il che rende spesso ancora più difficile e faticoso a quell’età recuperarli a un lavoro realmente qualificato, al senso di responsabilità e alla consapevolezza dei loro doveri, beninteso unita a quella dei propri diritti. Senza contare che, in mancanza di un compiuta professionalità — che comprende la necessaria maturazione umana — i ragazzi rischiano, come alternativa alla disoccupazione, di finire alle dipendenze di datori di lavoro inaffidabili e disinteressati a investire sul cosiddetto capitale umano.
Ovviamente questi corsi sono a pagamento e perciò non aperti a chi non può permetterseli. Insomma, il sistema si avvita sempre di più e gli «ultimi» saranno inesorabilmente esclusi dalla possibilità di veder cambiato in meglio il loro destino, grazie anche a scuole professionali e tecniche che da decenni sono progressivamente venute in gran parte meno alla propria vocazione. Scuole che affogano inoltre in una burocrazia oramai elefantiaca, spesso nella retorica di una pseudo-inclusione e nella necessità di dare occupazione a una miriade di precari storici, arrivati alla cattedra senza più entusiasmi e passione, che sono per la qualità della scuola elementi imprescindibili. Come è imprescindibile non rinunciare a darle un senso. Purché non sia quello del parcheggio.
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La svolta mancata dei Professionali ultima modifica: 2018-04-13T05:38:20+02:00 da