Scuole paritarie

Le scuole paritarie e la Costituzione “furbesca” (nell’art. 33)!

Sono opportune alcune precisazioni relative all’articolo dell’8 giugno, pubblicato da TS: “ Scuola pubblica e privata, alcune riflessioni”.
Appena dopo l’introduzione relativa alle scelte scolastiche familiari effettuate dall’autrice possiamo leggere: “La maggiore accusa mossa dagli insegnanti della scuola statale alle scuole paritarie è quella di essere dei diplomifici”; ma non è così, non (mi) risulta anche se alcuni commentatori lo dicono e anche se alcune scuole paritarie (forse il 3%, indicato da Toccafondi) lo sono per davvero ma vengono poi chiuse in seguito a ispezioni.
Riguardo all’essere le scuole statali di serie A e le paritarie di serie B, conviene evitare il riferimento al mondo calcistico, che appare grossolano, sbrigativo e anche emotivo, ma guardare i fatti: 1) nelle statali si entra per graduatorie e concorsi, a volte per sanatorie; nelle paritarie si entra per chiamata diretta e conoscenze; inoltre risulta – lo confermano le stesse paritarie – che i loro docenti emigrano o fuggono nelle statali appena possono; pertanto i docenti delle statali accumulano maggiore esperienza didattica e sicurezza; 2) i test Ocse e Invalsi – per quello che valgono – confermano la maggiore preparazione media degli studenti delle statali; 3) alcuni commissari d’esame esterni confermano – in via privata e confidenziale – le preparazioni scadenti riscontrate di alcune paritarie e a volte anche le pressioni dei gestori; 4) il riferimento ad “alcuni docenti, nella scuola pubblica, protetti dai sindacati, scaldano la cattedra senza insegnare alcunché” appare fatto statisticamente raro, non quantificale, ininfluente, solo polemico forse per mancanza di altri argomenti.
La terza precisazione fa riferimento all’esclusione delle paritarie dai finanziamenti pubblici presentata come “una Caporetto”; non risulta nei fatti questa esclusione in quanto le paritarie hanno avuto finanziamenti pubblici per fronteggiare in parte gli effetti contingenti della pandemia; in proposito si può leggere fra i vari commenti in rete: “Ci risiamo: la CEI batte cassa perché ulteriori soldi pubblici vengano versati alle sue scuole private, e il governo di turno non solo glieli concede, ma raddoppia lo stanziamento straordinario già inserito nel decreto Rilancio, portando a 150 i milioni da girare agli istituti paritari” e anche “Lo stanziamento da emergenza Covid-19, previsto per le private-paritarie inizialmente era di 80 milioni per le scuole dell’infanzia (costituiscono il 71,3% della galassia), ma sotto la pronta pressione vaticana si è moltiplicato da un giorno all’altro (letteralmente) con un’iniezione di altri 70 milioni per la scuola primaria e di secondo grado: entro la fascia d’età dell’obbligo scolastico (16 anni)”.
Invece le paritarie non hanno avuto il richiesto “costo standard”, ma questa è questione strategica, preclusa dalla Costituzione, ripescata e inclusa impropriamente fra le richieste contingenti.
Riguardo alle considerazioni finali sugli art. 30 e 33 della Costituzione e il richiamo alla legge 62/2000, c’è da osservare che l’art. 30 sancisce sì il diritto di scelta dei genitori, ma “senza oneri a carico dello Stato” secondo l’art. 33 e che la l. 62/2000 non ha corretto nulla, né poteva, trattandosi di articoli della Costituzione, tanto che da due anni giace inutilmente alla Camera il ddl Comaroli (Lega) proprio per modificare proprio l’art. 33.
Da ultimo, c’è da segnalare che etichettare come “furbesco” l’articolo 33, Cost. è un piccolo capolavoro di dialettica anch’essa “furbesca”, ma impropria e scorretta; allora l’art. 30 andrebbe etichettato a sua volta come “reticente”!

Scuola pubblica e privata, alcune riflessioni

di Alessandra Giordano – 8 giugno 2020
In questi giorni imperversa, nelle diverse pagine FB, il dibattito “scuola pubblica/scuola privata”: si discute di soldi, di stipendi, di sovvenzioni, di serietà; temi interessanti, se trattati in modo intelligente e non polemico ma, di fatto, la discussione avviene esclusivamente su base ideologica e non su provate esperienze ed empiriche dimostrazioni.
Ne emerge una classe docente triste, aggressiva, pronta ad azzannarsi per un brandello di carne e mi chiedo se noi insegnanti, che dovremmo essere esempio di calma e ponderazione, che dovremmo confrontarci su ben altro in questo momento, siamo esseri umani o iene.
Io insegno nella scuola pubblica, ho due figlie nella scuola statale e il grande nella scuola privata.
Le motivazioni della mia scelta sono molteplici ma la principale è questa: il corso di studi intrapreso dal mio primogenito, lo scientifico europeo-che dà la possibilità di portare avanti due lingue e risparmiare un anno di studio- nella mia città è stato attivato, su progetto europeo, solo dalla scuola paritaria ed è un percorso duro che non fa sconti a nessuno: se sai, vai avanti ma se non sai, cambi strada.
La maggiore accusa mossa dagli insegnanti della scuola statale alle scuole paritarie è quella di essere dei diplomifici; chiedo ai colleghi di guardarsi dentro, prima di parlare in codesto modo, di ritornare agli anni del ministro (all’epoca si diceva ancora così) Gelmini in cui, per il terrore di perdere le classi, si è promossa un’intera generazione di asini. Chiedo ai colleghi di guardare quanto, noi della scuola pubblica, abbiamo abbassato i livelli dell’apprendimento in nome di una didattica inclusiva che ha escluso il diritto di formazione delle eccellenze perché noi docenti, scaraventati da un’emergenza all’altra e privati, secondo una discutibile logica economica, di personale ci siamo dovuti comportare da bagnini e non da professori: sempre a recuperare studenti che rischiavano di annegare ma gli altri?
Dobbiamo affermare, in modo onesto e disinteressato, che esistono scuole private che si comportano da diplomifici nella stessa maniera in cui esistono scuole pubbliche che hanno fama di diplomificio e, nello stesso modo, sappiamo che vi sono ottime scuole paritarie e ottime scuole pubbliche. Non possiamo dichiarare a priori che la scuola pubblica è una scuola di serie A mentre la scuola paritaria è una scuola di serie B perché, semplicemente, non è vero e perché sappiamo che alcuni docenti, nella scuola pubblica e quindi protetti dai sindacati, scaldano la cattedra senza insegnare alcunché.
La situazione delle scuole paritarie, la loro esclusione dai finanziamenti pubblici, non rappresenta una vittoria, è una Caporetto: le rette aumenteranno necessariamente e soltanto i figli della classe dirigente potranno frequentare questi istituti. Mi pare opportuno ricordare che in Francia (e non parliamo di uno Stato ecclesiastico) le rette delle scuole paritarie sono basse perché enti locali e Stato le sovvenzionano onde evitare che il diritto di scelta divenga un privilegio di scelta (evidentemente la Rivoluzione Francese ha chiarito la differenza tra i due termini).
Invece oggi si esulta, in modo sciocco e acritico, mentre alla nostra Scuola viene inferto un altro duro colpo: l’articolo 30 sancisce il diritto di scelta educativa da parte dei genitori anche se l’articolo 33 furbescamente recita “senza oneri per lo Stato”; questa condizione era stata corretta dalla Legge n.62 del 10 marzo del 2000 che, consentendo stanziamenti ad hoc, rendeva effettivamente possibile la scelta.
Siamo tornati indietro, si tratta di una vittoria?
Alessandra Giordano
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Le scuole paritarie e la Costituzione “furbesca” (nell’art. 33)! ultima modifica: 2020-06-09T05:37:28+02:00 da
Gilda Venezia

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