Liberare la scuola, l’urlo di battaglia dei presidi

di Paolo Fasce,  Il Secolo XIX,  4.4.2016

– “Liberare la scuola” non è lo slogan di un gruppo di insegnanti precari impegnati nella lotta contro gli abusi, veri o presunti, del piano di assunzioni de “La buona scuola”, ma l’urlo di battaglia di un gruppo di dirigenti scolastici in favore dell’innovazione e del miglioramento della scuola italiana.

Se da un lato tutta la normativa recente spinge nella direzione dell’innovazione didattica, che in qualche caso si riesce pure a fare (si veda il caso di Arcola dove il dirigente Antonio Fini sta sperimentando le “aule all’americana) dall’altro le difficoltà sono tante e i portatori d’interesse che più si accorgono delle contraddizioni tra il verbo giuridico (sia quello legislativo che quello delle circolari ministeriali) e le possibilità pratiche, sono proprio quei presidi che dovrebbero tradurre le indicazioni in realtà.

I dirigenti scolastici cominciano col segnalare “pochi ma fondamentali problemi”:
La responsabilità della sicurezza posta in capo al dirigente che è di fatto responsabile di tutto quello che avviene entro le mura della scuola, spesso anche fuori, senza avere di fatto la possibilità di interventi reali, ad esempio sul tema dell’edilizia scolastica.

L’accanimento burocratico. Gli adempimenti tesi a documentare l’ovvio, tuttavia necessario per tutelarsi da ricorsi che spesso sono vinti sul piano giuridico, ma che rappresentano nella quasi totalità dei casi una sconfitta educativa, per non parlare degli uffici di segreteria oberati da incombenze ombelicali laddove il servizio dovrebbe essere all’utenza.

La responsabilità civile sugli alunni. Grava soprattutto sugli insegnanti, ma si pensi, ad esempio, ad una finestra senza parapetto a norma. Si pensi al numero di volte che questo problema è stato segnalato alle autorità competenti (Province/Città metropolitane per le scuole superiori, Comuni per quelle del primo ciclo d’istruzione) che, tuttavia, sono sostanzialmente latitanti per il taglio dei fondi.

Il problema delle sempre numerose reggenze e dell’assenza di figure di “middle management”. Quello che malevolmente spesso viene chiamato “cerchio magico” spesso è un gruppo di insegnanti che tiene in piedi la baracca, mentre la normativa sulle sostituzioni del dirigente gli consente appena di andare in ferie.

Non possono mancare, tra le recriminazioni dei presidi, anche quella relativa agli stipendi bloccati, come per tutta la Pubblica Amministrazione, dove si trovano dirigenti che percepiscono fior di “premi di risultato”, sottratti di fatto all’assunzione di quegli operai di cui si sente tanto bisogno sul territorio, ad esempio per le manutenzioni, ma un preside guadagna non molto di più di un insegnante che faccia dello straordinario.

Al gruppo nazionale, che ha trovato un luogo di aggregazione e di discussione su Facebook (presidi social, potremmo dire) aderiscono anche diversi dirigenti liguri, tra i quali Antonio Fini, Fabrizio Rozzi e, infine, il genovese Paolo Tocco, dirigente dell’I.C. S. Martino – Borgoratti che chiosa: «In pochi anni le scuole italiane sono passate da circa 12.000 a circa 8.000, ma il numero di alunni è rimasto più o meno lo stesso. Ovvero molti istituti sono stati accorpati tra loro, e ciò significa che un numero minore di dirigenti scolastici e direttori amministrativi si occupa di scuole molto più grandi. Peraltro, non tutte le 8.000 scuole hanno un dirigente, moltissime (oltre il 20%) sono in “reggenza”, molti presidi si dividono tra due o anche tre scuole. Un fatto tipicamente italiano, un’emergenza che diventa cronica, che diventa normalità. Nel frattempo la burocrazia è cresciuta: per ogni singolo acquisto sono necessari circa venti passaggi amministrativi, la gara d’appalto di una singola scuola per il noleggio di un pullman o di una fotocopiatrice non è diversa da quella per le forniture di una grande industria o di un intero ministero. La sicurezza, bene da difendere, si sta trasformando in un “mantra” ipnotico: per tutelarsi da immancabili richieste di danni le scuole si avvitano in regolamenti sempre più stringenti, divieti, rinunce, e giù circolari su circolari: “E’ fatto divieto assoluto di questo, di quello e di quell’altro…”. La sola condizione di (relativa) sicurezza è l’insegnante, in piedi, di fronte ai suoi alunni, tutti seduti: in questo modo li può controllare a vista, con buona pace della didattica innovativa e trionfo della lezione frontale stile libro “Cuore”.

Pochissimi edifici sono a norma, la tutela consiste nel segnalare ripetutamente le stesse criticità agli enti locali che – pur facendo miracoli – si devono limitare per lo più a “tappulli”.Oggi alle scuole viene richiesto tutto: dalle garanzie sull’acqua potabile e sul cibo della mensa, alle esercitazioni antincendio, antiterremoto e anti alluvione, alla somministrazione dei farmaci salvavita, al rispetto delle norme su arredi, sedie banchi tavoli armadi che magari sono lì da cinquant’anni.

Ma viene richiesta anche una didattica speciale per gli alunni disabili, o con “Bisogni Educativi Speciali”, o stranieri di recente immigrazione, o potenzialmente eccellenti, oltre naturalmente ad una didattica di qualità per tutti. Viene richiesto di adeguare la strumentazione digitale, sia negli uffici che per la didattica, ma sempre “senza nuovi o maggiori oneri…”

La normativa è ridondante, le norme successive spesso non hanno abrogato le precedenti con le quali sono in contrasto, il comma 1 vige, il comma due non vige più, il comma tre vige di nuovo e nelle pieghe si innestano ricorsi, richieste di chiarimenti e relazioni, e il dirigente legge, studia, scrive, riscrive, si difende, difende i suoi alunni, i suoi docenti e la sua scuola.

L’emergenza è diventata normalità: una normalità povera, ripiegata su sé stessa, l’istituzione che dovrebbe formare i cittadini di domani non riesce più ad alzare lo sguardo, chi la guida è costretto a trascurare il suo vero compito, condurre 1000 e più giovani e giovanissimi verso il loro futuro, verso la conquista dei loro diritti e verso la consapevolezza dei loro doveri di cittadini. Per questo è nata l’iniziativa “Liberare la Scuola”. Non un sindacato, non un’associazione, ma dirigenti scolastici di idee e provenienze diverse che vogliono lavorare a testa alta, con compiti e responsabilità grandi, sì, ma non assurdi, e – come è giusto – con un giusto compenso per il loro lavoro».

Liberare la scuola, l’urlo di battaglia dei presidi ultima modifica: 2016-04-04T22:11:09+02:00 da
Gilda Venezia

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