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L’istruzione domiciliare non è una valida alternativa alla scuola

La libertà? Non è stare sopra un albero, ma decidere di fare cinque figli e non mandarne a scuola neanche uno.
Perché se la scuola significa “trenta in una classe con una sola insegnante e la maggioranza dei bambini lasciati a se stessi, la competizione, i voti, il bullismo (…)e gli edifici bruttissimi”, allora la risposta più libera è quella dell’homeschooling, la scuola a domicilio, dove la mamma e la maestra sono la stessa persona.

Così la pensa Erika Di Martino, la più famosa homeschooler d’Italia che, intervistata ieri da Repubblica, ha dipinto la scelta dell’istruzione domiciliare come l’unica risposta possibile ad un sistema educativo in crisi.
Una scelta in leggera crescita costante in Italia, ma che ha una sua tradizione ben più consolidata negli Stati Uniti, dove l’homeschooling è adottata da oltre due milioni di famiglie.

Cosa spinge una famiglia a scegliere l’istruzione domiciliare?
Negli Stati Uniti, il fenomeno – che riguarda da sempre le sette religiose, dagli Amish ai cristiani suprematisti – ha iniziato a diffondersi maggiormente  negli anni ’80 anche tra i figli della classe media.

Punto di contatto delle famiglie, anche molto diverse, che negli Usa scelgono di tenere i figli lontani dalla scuola pubblica è quasi sempre un diffuso antistatalismo. La convinzione, in sostanza, che la scuola pubblica trasmetta un’idea corrotta della società, parlando di molti argomenti che per le famiglie dovrebbero restare in capo esclusivamente ai genitori.

Tra queste, ovviamente, l’educazione sessuale, ma per molti anche la teoria di Darwin, la storia dei diritti civili e – in alcuni casi estremi ma non rari – persino la rivoluzione copernicana.
I sostenitori dell’homeschooling, in America, hanno votato in massa per Donald Trump. Non a caso, il Tycoon ha citato, tra gli incentivi economici da assegnare nei primi 100 giorni di mandato, anche un voucher per chi sceglie la scuola a domicilio.

In Italia, le ragioni sono spesso altre.
Nonostante quanto affermato dal principale teorico dell’homeschooling, il filosofo John Holt (“Voglio chiarire che non vedo l’istruzione parentale come una sorta di risposta alle deficienze delle scuole…“) nel Belpaese le famiglie che optano per l’educazione parentale lo fanno principalmente perché spaventate dalla proposta educativa pubblica.

Scuole fatiscenti, classi numerose, fenomeni di bullismo, sovraccarico di compiti: queste le ragioni fondamentali di chi fugge dalla scuola pubblica.
Ma ci sono anche le ragioni intrinseche di molti sostenitori dell’homeschooling, che emergono più nei forum online che sulle pagine dei grandi quotidiani : difficoltà ad accettare le frustrazioni dei figli, scetticismo rispetto alla preparazione degli insegnanti, richiesta di autogestione del tempo senza doversi giustificare con l’insegnante di classe, critica diffusa dei programmi di studio, diffidenza nei confronti delle classi multietniche, opposizione ai compiti a casa. E, soprattutto, l’idea di una società incentrata sull’autonomia e l’autodeterminazione della famiglia, in cui l’incontro con l’altro, con idee e opinioni diverse, non è mai un arricchimento ma quasi sempre un pericolo da cui fuggire.

Perché quando l’insegnante è la mamma, e i compagni di classe sono i fratelli, la prima cosa che succede è che il resto del mondo – a meno che non sia esattamente simile a noi – resta fuori dalla porta.
Una rappresentazione filtrata della realtà, dove ci si incontra con famiglie simili, quando non uguali, e all’interno della quale si selezionano gli argomenti di studio sulla base della propria singola esperienza, e del proprio punto di vista.

I sostenitori dell’home schooling, nella maggior parte dei casi, rifiutano i programmi scolastici. Tutto è insegnamento: dalla spesa, agli uccellini che cantano in giardino, dal ritmo delle stagioni, al cagnolino di casa.
E se è vero che partire dall’esperienza diretta dovrebbe essere la base dei programmi scolastici per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo della Primaria, dietro al romantico approccio della scuola domiciliare si nasconde un’altra verità: lasciare che sia il bambino a dettare tutti i tempi dell’apprendimento (e non aiutarlo a comprendere ciò che non capisce) significa annullare la fatica, la frustrazione e la spinta al raggiungimento degli obiettivi.
Parole che adesso fanno paura a molti ma che sono alla base di ogni percorso di crescita e di miglioramento.

Una classe/famiglia in cui non ci sono “bravi e meno bravi”, infatti, non significa soltanto evitare che un figlio possa essere “etichettato o classificato”, come sostiene la Di Martino nell’intervista. Significa anche lasciare che il nostro bambino non apprenda quegli elementi basilari della convivenza comune che sono l’empatia, il sostegno del più fragile, il mutuo soccorso, il lavoro di gruppo. Se nessuno dimostra le sue mancanze – evitando di doversi confrontare con quello che non sa –  nessuno potrà intervenire ad aiutarlo. Ed entrambi (aiutante ed aiutato) perderanno l’occasione di imparare la capacità di chiedere e ricevere sostegno.

Il bullismo, infine.
Tutti gli esperti concordano nel definirlo un fenomeno in crescita, ed è innegabilmente la paura principale dei genitori. La risposta dell’homeschooling sembra perfetta, per proteggerli dagli attacchi dei compagni di classe. Ma i bambini non resteranno a casa per sempre.
Già alle medie – davanti alla difficoltà di gestire il programma scolastico sul quale i ragazzini che optano per l’istruzione domiciliare verranno interrogati a fine anno – molti genitori optano per il ritorno alla scuola tradizionale.
Consegnando così alla classe un bambino impreparato a gestire relazioni complesse e la quotidianità scolastica, abituato ad avere di fianco la persistente presenza rassicurante della mamma e incapace di attraversare un conflitto extraparentale.
Insomma, la vittima perfetta dei bulli.

John Holt teorizzava che “l’animale umano è un animale da apprendimento, ci piace imparare, noi siamo bravi a farlo, non è necessario mostrarci come farlo. Ciò che uccide il processo sono coloro che interferiscono con esso o tentano di regolamentarlo o controllarlo”. E su questa teoria in difesa dell’istinto naturale all’apprendimento, si basa molto del fascino dell’home schooling. Ma se è vero che poche cose sono peggiori di una maestra svogliata con un metodo di apprendimento impositivo e violento, d’altra parte un bambino lasciato in balìa del suo istinto si convincerà di non dover fare i conti con nessuno.
Dalla confusione tra ruoli, e dall’assenza di figure adulte extragenitoriali con cui doversi confrontare, il bambino riceverà anche un rinforzo del suo naturale egocentrismo, la convinzione di poter decidere in autonomia i tempi della propria vita, la sensazione costante di essere al centro di un mondo che ruota intorno a lui.

Perché la scuola – sarebbe bene che lo ricordassero non solo genitori e insegnanti, ma anche Dirigenti e Ministri, concentrati solo su quella micidiale unione tra burocrazia e test di apprendimento su cui sembra oggi basarsi l’istruzione in Italia– non è soltanto il luogo dell’apprendimento del programma.
E’ uno spazio di confronto e di esperienza delle relazioni sociali, del rapporto adulto/bambino, della risoluzione del conflitto, dell’acquisizione dell’autonomia, del confronto con gli altri, della scoperta di quello che è distante da noi.

E se è vero che la scuola italiana vive un momento di grossa crisi, che vede allontanarsi questi obiettivi per lasciare il posto ad una docenza sempre più asettica e incentrata sugli obiettivi da raggiungere, la scelta di chiudersi in casa per non assistere al declino, dimostra paura e autoreferenzialità.
La battaglia per il reintegro della compresenza in classe, per una burocrazia più snella che permetta le uscite di classe, l’apprendimento attivo, l’attenzione nei confronti dei singoli, è invece una battaglia di civiltà.
Perchè, come diceva il pedagogista Paulo Freire, che ha combattuto tutta la vita per fare emergere il valore profondo dell’istruzione: “Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme, con la mediazione del mondo”.

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L’istruzione domiciliare non è una valida alternativa alla scuola ultima modifica: 2017-02-28T18:48:49+01:00 da
Gilda Venezia

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