TuttoscuolaNews, n. 1108 dell’8.1.2024.
Ora si tocca con mano. Era meglio intervenire sulle “micro” scuole limitrofe.
“Si pensa che le “mega” scuole siano un modello organizzativo e pedagogico più efficiente ed efficace oppure si tratta di scelte (passate ma anche attuali, al più mitigate) dettate da logiche di risparmio? E con quali effetti sulla qualità del servizio?“. Lo scrivevamo 13 mesi fa, con dovizia di dati e analisi.
Una parte del mondo della scuola ora sta scoprendo con preoccupazione gli effetti della riforma della rete scolastica. Nei mesi scorsi le problematiche derivanti dal ridimensionamento delle istituzioni scolastiche sembravano relegate soltanto ai contenziosi tra il Governo e alcune Regioni, conclusi a novembre con la pronuncia definitiva della Corte Costituzionale.
Ma, subito dopo, con la pubblicazione dei singoli piani regionali che hanno definito in concreto (potremmo dire nella carne viva del sistema) gli effetti visibili degli accorpamenti e delle soppressioni di oltre 628 istituzioni scolastiche che dal prossimo settembre scompariranno con azzeramento delle presidenze e delle segreterie, la scuola – in particolare quella delle regioni meridionali dove si accentra il 70% delle istituzioni soppresse – sta cominciando finalmente ad aprire gli occhi, sorpresa e incredula.
Soprattutto al Sud e, in particolare, nella Regione Calabria, dove gli effetti degli accorpamenti sono diventati visibili grazie anche alla apprezzabile trasparenza dei dati garantita dalla Regione e agli approfondimenti condotti da Tuttoscuola. Le soppressioni di presidenze hanno determinato il passaggio di molti plessi scolastici sotto un’unica istituzione scolastica che si troverà a gestire oltre venti scuole con alcuni casi-limite di 27, 28 e 29 scuole sotto una stessa presidenza, per arrivare al caso estremo di una istituzione della provincia di Vibo Valentia con 33 scuole da gestire e sette amministrazioni comunali con cui rapportarsi. Mega istituti, di cui non era stata concepita l’esistenza quando fu disegnata l’autonomia scolastica.
I primi effetti degli accorpamenti coinvolgeranno tra meno di due mesi centinaia di assistenti amministrativi delle istituzioni scolastiche soppresse coinvolti nei trasferimenti d’ufficio e nella mobilità volontaria alla ricerca di una nuova sede di servizio.
Contemporaneamente saranno interessati alla mobilità anche decine e decine di DSGA titolari nelle istituzioni soppresse; con loro altrettanti dirigenti scolastici.
Ma ai dirigenti, ai dsga e agli assistenti amministrativi con la valigia pronta faranno da contraltare, pochi mesi dopo, i DS e i DSGA “riceventi” delle istituzioni accorpanti: saranno alle prese con gestione di nuovi collegi di docenti e nuovi consigli di classe, con passaggi di consegne dei beni delle istituzioni soppresse, con aumento delle supplenze da conferire, con aumento dei rapporti istituzionali, e con altre incombenze organizzative e gestionali, senza dimenticare che i dirigenti nella veste di datori di lavoro vedranno raddoppiate, se va bene, le responsabilità per la sicurezza degli edifici (si immagini la gestione di 30 DVR, per fare un esempio) e del personale ospitato.
I docenti titolari nei plessi delle istituzioni accorpate rimarranno ovviamente al loro posto, così come gli alunni nelle loro classi.
Per il 2024-25 saranno comunque coinvolte obbligatoriamente loro malgrado non meno di 4mila persone costrette a lasciare sedi di servizio.
C’è (o c’era) una strada alternativa?
Si può sostenere che di fronte al lungo trend demografico in netto calo (passato e futuro) e agli effetti della mobilità interna della popolazione, prevalentemente sulle direttrici dal Mezzogiorno verso il Centro-nord e dai centri piccoli e piccolissimi verso i medio-grandi (un milione 423mila trasferimenti complessivi solo nel 2021, dati Istat) non si dovesse mettere mano alla conformazione della rete scolastica, composta da decine di migliaia di sedi e da migliaia di istituzioni scolastiche? No. Almeno se si vuole adottare una visione di responsabilità e sostenibilità nel lungo termine.
Ma non era meglio intervenire sulle piccole scuole a pochi chilometri l’una dall’altra, che sono ancora tante, preservate per motivi di campanile o di “contrada”, con poche classi o addirittura pluriclassi? (E’ ovvio che non parliamo di quelle in luoghi isolati, a distanza di decine di chilometri da altre scuole: quelle sono un presidio di civiltà da tutelare a tutti i costi). Interessante a riguardo lo sfogo di una preside calabrese di oltre un anno fa, che disvela una realtà locale poco nota, fatta di interessi ad alta sensibilità elettorale e di abitudini vetuste e mentalità un po’ chiuse.
Serviva un intervento condotto “chirurgicamente” sui micro-plessi limitrofi, che hanno costi unitari elevati e si prestano a una razionalizzazione. Un esempio per intenderci: due prime classi da 12 alunni all’interno di due scuole poste a pochi chilometri l’una dall’altra in due diverse contrade o frazioni hanno un certo costo tra strutture (manutenzioni, affitti, etc), spese operative (utenze, etc) e di personale; messe in un’unica sede occuperebbero una sola aula da 24 alunni dimezzando le spese di esercizio e anche l’organico (che però può essere utilizzato più efficientemente su altre priorità) e così via… Fu fatto con discreti risultati anni fa nella Provincia di Trento, quando con il coinvolgimento del territorio si operò una profonda e sensata razionalizzazione.
Serviva un intervento in grado di tenere insieme due aspetti. Da un lato attento a salvaguardare tutte le realtà dove la scuola è il centro vitale di una comunità (mentre invece in questi anni sono state chiuse nella disattenzione generale circa 1.200 scuole statali – intese come punti di erogazione del servizio – attraverso la mera applicazione di asettici parametri numerici, quindi indipendentemente dalle caratteristiche di cui sopra: l’abbiamo definito il cimitero degli istituti estinti, un’agonia che si può fermare). Dall’altro lato, mirato a tutelare e valorizzare il modello della scuola dell’autonomia, per come era stato concepito all’origine, con la missione di “promuovere gli interventi per assicurare la qualità dei processi formativi e la collaborazione delle risorse culturali, professionali, sociali ed economiche del territorio” (d.lgs. 165/2001): leadership educativa, distribuita e coesa, relazioni umane e spirito di comunità vissuti quotidianamente. Missione difficilmente attuabile con 1.500 o più studenti e relativo personale distribuiti su 20 o 30 sedi.
Quello descritto poteva essere l’indirizzo strategico di una razionalizzazione del sistema, coerente con l’impegno preso con il PNRR. Rileggiamone il testo (Riforma 1.3): “La riforma consente di ripensare all’organizzazione del sistema scolastico con l’obiettivo di fornire soluzioni concrete a due tematiche in particolare: la riduzione del numero degli alunni per classe e il dimensionamento della rete scolastica“. Non si chiedeva di fare istituti scolastici da 30 sedi.
Certo sarebbe stato più complesso, avrebbe richiesto un lavoro capillare da parte dei Comuni, delle Province o Aree metropolitane, delle Regioni, con un indirizzo chiaro e non “ragioneristico” da parte dello Stato.
Insomma, meno “micro” scuole (o micro-plessi) dove non servono, piuttosto che tante “mega” scuole (o mega-istituti) come il sistema a vari livelli ha scelto di fare.
Ora, e per anni, se ne pagheranno le conseguenze.
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