Lo strappo di Zaia: prof veneti assunti dalla Regione e stipendi più alti

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di Gianna Fregonara e Orsola Riva, Il Corriere della sera, 22.10.2018

– Salvini spinge, i dubbi di Bussetti, il no dei sindacati.
Ma la ministra Stefani: accordo già a Palazzo Chigi, poi ci vorrà una legge.

Gli alleati grillini tutto potranno dire e protestare tranne che non erano stati avvisati. Lo aveva detto il governatore veneto Luca Zaia firmando la settimana scorsa un accordo col ministro dell’Istruzione Marco Bussetti per l’insegnamento della storia veneta in tutte le scuole della regione: «Questo è solo un assaggio dell’autonomia che verrà». E oggi, nell’anniversario del referendum consultivo del 22 ottobre dell’anno scorso con cui i cittadini veneti hanno detto sì all’acquisizione di una maggiore autonomia dallo Stato centrale (votanti 2.328.000, favorevoli 2273000, pari al 98.1%), si è capito che la partita che il presidente della regione veneta Luca Zaia si sta giocando con il governo (e soprattutto con i suoi alleati di governo) è molto, molto più grossa. In palio c’è il riconoscimento di nuovi, importanti, margini di autonomia decisionale e finanziaria a vantaggio delle regioni a statuto ordinario.
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Gli insegnanti diventano dipendenti regionali

Per il momento le novità più significative riguardano la scuola dove rappresentanti veneti e funzionari del Miur stanno lavorando da mesi a un’intesa. La richiesta di Zaia è chiara ed è scritta nel testo di progetto di legge che in Veneto hanno approvato e presentato al ministro per le Regioni Erika Stefani: trasferimento su base volontaria del personale della scuola, maestre, prof e bidelli, alla Regione Veneto, il tutto incentivato da stipendi possibilmente più alti. Difficile dire se resisterà ai rilievi dei tecnici del Miur che già lo scorso anno – ma allora al ministero c’era la pd Valeria Fedeli – avevano accantonato la questione. Il ministro Bussetti, sempre nel suo incontro con Zaia la settimana scorsa, era stato molto cauto: sul tema bisogna coinvolgere gli addetti ai lavori, leggi i sindacati. Che proprio ieri hanno scritto nero su bianco il loro unitario no a qualsiasi ipotesi che incrini l’istruzione nazionale: «Desta grande preoccupazione il riferimento all’attuazione della cosiddetta “Autonomia differenziata”. Il diritto all’istruzione deve restare nazionale per garantire l’universalità delle opportunità formative che non possono essere diversificate per appartenenze geografiche». Al ministero degli Affari Regionali e delle Autonomie, dove ieri è arrivato anche il progetto di «autonomia differenziata della Lombardia» ricordano che l’intesa è frutto appunto di un accordo tra le richieste regionali e gli interessi nazionali.
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I nuovi concorsi regionali

Resta però in campo anche l’ipotesi B, che al Miur è stata oggetto di approfondimenti vari nei mesi scorsi: se l’idea di un vero e proprio distacco del personale – dagli impiegati dell’ufficio scolastico regionale ai docenti – venisse bocciata si potrebbe puntare sul futuro attraverso il meccanismo che permetta di indire concorsi sulla base del fabbisogno regionale (e si sa che i principali buchi d’organico sono proprio in regioni come il Veneto e la Lombardia) senza dover aspettare la lunga e complessa macchina dello Stato – potendo contare su un budget regionale variabile in funzione del gettito fiscale, con la promessa anche di stipendi più alti e comunque diversi da quelli del resto del Paese. Il rischio che nel medio periodo si accentui la forbice fra Nord e Sud è evidente.
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L’accordo preliminare

La partita – questa dell’«autonomia differenziata» invocata dal Veneto insieme ad altre regioni (Lombardia ed Emilia Romagna ma anche Piemonte, Toscana, Liguria, Abruzzo e Molise) – è delicatissima per le sue implicazioni sull’assetto istituzionale. In gioco vi è il cosiddetto «regionalismo asimmetrico», ovvero il riconoscimento di forme di autonomia a geometria variabile che la Costituzione italiana (art 160 e 170) prevede principalmente per tre ambiti (giustizia di pace, istruzione, tutela dell’ambiente e dei beni artistici e culturali) ma che può estendersi in prospettiva a 23 nuove materie di competenza. Tutto è cominciato nella scorsa legislatura, quando in seguito alla bocciatura nelle urne del referendum costituzionale indetto dal Pd a trazione renziana, alcune regioni, in particolar modo Veneto, Lombardia seguite dall’ Emilia Romagna, forti della conferma del titolo V della Costituzione, hanno avviato un nuovo percorso per allargare i loro ambiti di competenza. Un processo culminato a febbraio 2018 con la sigla di un «accordo preliminare» firmato da ciascuno dei tre presidenti di Regione con il sottosegretario agli Affari regionali e alle Autonomie Gianclaudio Bressa. Ma proprio perché si era ormai a fine legislatura l’accordo rimase lettera morta. Fino a quando con l’incarico al nuovo governo giallo-verde, Zaia ha potuto contare su una nuova, ancor più solida sponda nel governo: quella della nuova ministra degli Affari regionali Erika Stefani, leghista e per di più veneta doc. «Ma pretendere di fare un accordo su tutte e ventitré le materie previste dalla Costituzione significa non fare niente», spiega Bressa che aveva ridotto a cinque gli ambiti per l’autonomia.
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Le risorse in base al gettito fiscale della Regione

Per quanto riguarda le risorse con cui il Veneto potrà finanziare le nuova competenze – come del resto varrà per le altre regioni che accederanno all’autonomia differenziata – entro 5 anni si passerà dal calcolo della spesa storica, cioè quanto spendeva lo Stato prima del passaggio delle competenze per la singola materia, alla spesa standard, un indicatore che dipende dalla popolazione della Regione e dalle gettito fiscale. Un altro elemento che rischia nel medio periodo di provocare un allargamento ulteriore della forbice fra regioni ricche e povere, Nord e Sud. Ecco perché la partita più difficile per Zaia si apre ora con gli alleati grillini il cui zoccolo duro elettorale è radicato al Sud. Di fronte ai loro dubbi, Zaia è stato netto: «Sono fiducioso sul piano politico… mio nonno diceva sempre che solo i “mona” non cambiano idea. Per cui c’è sempre tempo per migliorare». Prossimi passi? Matteo Salvini spera che «il provvedimento attuativo sull’autonomia del Veneto e della Lombardia sicuramente, mi auguro anche dell’Emilia-Romagna, arrivi in uno dei prossimi Consigli dei ministri». Non si sa con quale testo. Poi servirà una legge, l’accordo in Parlamento (è richiesta la maggioranza assoluta), insomma una strada ancora lunga.

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Lo strappo di Zaia: prof veneti assunti dalla Regione e stipendi più alti ultima modifica: 2018-10-23T05:31:44+02:00 da
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