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L’Ue pensi anche alla scuola

di Francesco Billari, la Repubblica, 6.1.2023.

L’Unione europea dovrebbe agevolare un sistema d’istruzione comune per creare i cittadini del domani.

Il futuro dell’Unione Europea dovrà giustamente essere uno dei temi centrali nel dibattito politico per il 2023. Ma cosa vuol dire futuro? Da un lato c’è il futuro prossimo, con il ritorno alla pace e ad un’auspicata minore inflazione associata alla crescita economica. Dall’altro c’è il medio lungo periodo. Per questo, futuro significa Next Generation EU: bambini, giovani, future generazioni. L’Unione sarà migliore se, risolte le sfide immediate, penserà anche ad una scuola europea, a beneficio delle generazioni future.

L’Ue ha già introdotto politiche fondamentali per le generazioni che si affacciano al mercato del lavoro o che studiano all’università. Pensiamo alla libertà di movimento per i lavoratori, sfruttata in gran parte da giovani che si spostavano da un Paese all’altro, o all’Erasmus per gli universitari. I dati sono importanti: circa 10 milioni di europei vivono in un Paese Ue diverso da quello di cittadinanza; l’Italia è al secondo posto tra i Paesi di provenienza. Grazie al programma Erasmus, più di 12 milioni di universitari europei hanno potuto vivere un periodo di studio in un altro Paese. Non sorprende dunque che l’Europeismo sia più radicato tra i giovani. Un recente Eurobarometro ha mostrato come il supporto per l’euro sia molto più forte tra i ragazzi e tra i giovani: il 77% degli intervistati tra 15 e 24 anni ritiene che avere l’euro sia positivo per il proprio Paese, contro il 66% per chi ha da 40 anni in su.

L’Unione non ha fatto, però, ancora abbastanza per chi si affaccia al mondo, per i bambini, per le future generazioni, che non hanno diritto di voto. L’integrazione europea non ha praticamente toccato la scuola. Non esiste un sistema scolastico europeo che agevoli la mobilità dei bambini e dei ragazzi tra Paesi dell’Ue quando si spostano con i loro genitori, né gli “scambi” per chi è verso la fine degli studi medi superiori. Vi è un esempio virtuoso ma circoscritto: le “Scuole Europee”, progettate per i figli dei funzionari dell’Unione Europea. In Italia ne esiste solo una, a Varese. Anche per la complessità e per il costo di queste scuole, si tratta di un caso utile quanto poco scalabile. Serve qualcosa di più inclusivo e ambizioso: la possibilità di accedere a un’istruzione europea, internazionale, dalla scuola primaria alla secondaria di secondo grado, indipendentemente dalle possibilità economiche dei genitori. La scuola internazionale oggi è appannaggio di coloro che possono permettersi le rette delle istituzioni private, anche se esistono esperimenti pubblici come nel Land di Berlino. L’Ue dovrebbe agevolare, anche finanziando esplicitamente istituzioni e fornendo borse di studio, la costituzione di scuole pubbliche con approccio europeo in ogni Paese.

Per il futuro dell’Europa dobbiamo andare verso un vero, e non solo virtuale, “spazio europeo dell’istruzione”. Come si è fatto in modo vantaggioso per il sistema universitario, occorre spingere ad una maggiore integrazione tra le scuole nazionali. Oltre a dare benefici per le future generazioni, questo rinforzerà anche i pilastri tradizionali dell’Unione. La mobilità dei lavoratori e delle loro famiglie, ad esempio, condurrà ad un’integrazione virtuosa e di successo per il sistema se i figli riusciranno ad integrarsi velocemente nel Paese di destinazione.

  • Francesco Billari è rettore dell’Università Bocconi

 

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L’Ue pensi anche alla scuola ultima modifica: 2023-01-07T05:21:16+01:00 da
Gilda Venezia

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