Maestra che usa metodi educativi eccessivi va condannata

di Anna Larussa, Altalex, 23.3.2020

– Per la Cassazione penale (sentenza n. 7969/2020) la nozione di malattia è più ampia di quelle concernenti l’imputabilità o i fatti di lesione personale.

In tema di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, la nozione di malattia è più ampia di quelle concernenti l’imputabilità o i fatti di lesione personale, estendendosi fino a comprendere ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, dallo stato d’ansia all’insonnia, dalla depressione ai disturbi del carattere e del comportamento.

Il caso riguarda una maestra condannata, nei due gradi del giudizio di merito, per il reato di abuso di mezzi di correzione o di disciplina o di disciplina in danno degli alunni di una scuola d’infazia che risultavano aver sviluppato, in conseguenza delle condotte della medesima una serie di disagi psico-fisici (disturbi del sonno, rifiuto della scuola, manifestazioni di pianto, intolleranza ai rimproveri).

In particolare il Gup, in sede di abbreviato, e la Corte d’Appello, nel giudizio di secondo grado, avevano motivato la ritenuta responsabilità della maestra sulla scorta di dichiarazioni testimoniali dalle quali era emerso che l’imputata ricorreva a comportamenti non professionali quali umiliazioni verbali, minacce, urla e schiaffi che avevano provocato nei bambini  manifestazioni di ansia, paura, disturbi del sonno e alimentari, incontinenza.

La difesa dell’imputata aveva proposto ricorso deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in relazione: alla affermata attendibilità del racconto dei bambini, che la perizia aveva ritenuto condizionato dalle suggestioni parentali; alla utilizzazione delle dichiarazioni de relato dei genitori dei minori, ad onta della ritenuta inattendibilità di questi ultimi; ai presupposti normativi della declaratoria di responsabilità per il reato di cui all’art. 571 c.p. e al ritenuto rischio di causazione di malattia nel corpo o nella mente, in difetto di riscontri probatori; infine, al diniego delle attenuanti generiche nonostante l’incensuratezza dell’imputata.

Art. 571 c.p. – Abuso dei mezzi di correzione o disciplina

L’art. 571 del codice penale dispone testualmente che «Chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi. Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli artt. 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni».

Trattasi di un reato proprio che può essere posto in essere solo da individui vincolati al soggetto passivo da legami di «educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia» o di dipendenza nell’ambito dell’esercizio di una professione o di un’arte: e, quindi, senz’altro da insegnanti che abusino del potere educativo e di formazione nei confronti degli alunni.

Tale fattispecie sanziona il disvalore penale dell’abuso dei mezzi diretti all’educazione, alla cura o alla formazione di chi sia legato all’agente dalle particolari relazioni già descritte: più precisamente l’ abuso diviene penalmente rilevante «se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente».

Quindi la disposizione configura il reato come reato di pericolo.

Quanto alla malattia, la Cassazione ha chiarito che ai fini dell’integrazione del reato rileva anche il pregiudizio della salute psichica e che tale pregiudizio è idoneo a ricomprendere ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, dallo stato d’ansia all’insonnia, dalla depressione ai disturbi del carattere e del comportamento (Cass. n. 18289/2010).

Per quanto invece riguarda l‘espressione normativa «mezzi di correzione» è stata in via interpretativa ridefinita ed epurata da concezioni pedagogiche anacronistiche capaci di giustificare in passato anche forme di vis modica: ciò parallelamente alla considerazione del minore come soggetto titolare di diritti e non più, come in passato, oggetto di protezione degli adulti.

Sotto il profilo soggettivo, mentre la giurisprudenza più risalente ravvisava la specificità del dolo nell’intento di “correggere”, quella più recente ritiene sufficiente un dolo generico, non essendo richiesto un fine particolare e ulteriore rispetto alla consapevole volontà di realizzare la condotta di abuso.

La sentenza

La Corte ha respinto i motivi di ricorso proposti dal difensore della maestra ritenuta responsabile del reato di abuso dei mezzi di correzione considerando immune da censure l’impugnata sentenza  ed evidenziando come questa avesse argomentato in modo logico sulle propalazioni rese dai bambini ai genitori, e da questi puntualmente riferite de relato, nonché sui riscontri probatori di tali racconti, rinvenuti nelle univoche dichiarazioni della dirigente scolastica e della maestra che si alternava con l’imputata nella stessa classe: riscontri che si estendevano agli effetti nocivi delle denunziate condotte sulla salute psichica dei minori.

Quanto all’integrazione della fattispecie, di cui erano stati contestati i presupposti, la Corte ha rimarcato che integra il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina il comportamento dell’insegnante che faccia ricorso a qualunque forma di violenza, fisica o morale, ancorché minima ed orientata a scopi educativi  e ha considerato congrue ed esaustive le argomentazioni dei giudici di merito che avevano affermato come l’ impiego di metodi educativi, basati sul ricorso a comportamenti violenti o costrittivi, del tipo di quelli utilizzati dall’imputata, si riveli pericoloso e dannoso per la salute psichica degli alunni. E ciò in linea con il costante insegnamento giurisprudenziale secondo cui, “in tema di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, la nozione di malattia è più ampia di quelle concernenti l’imputabilità o i fatti di lesione personale, estendendosi fino a comprendere ogni conseguenza rilevante sulla salute psichica del soggetto passivo, dallo stato d’ansia all’insonnia, dalla depressione ai disturbi del carattere e del comportamento”.

Sulla scorta di tali premesse la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali oltre alla somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

CASSAZIONE PENALE, SENTENZA N. 7969/2020 >> SCARICA IL TESTO PDF

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