TuttoscuolaNews, n. 1133 dell’8.7.2024.
Una nuova via: integrare l’esame con certificazioni riconosciute?
Siamo alla coda finale della Maturità 2024, e torna di attualità una domanda che rimbalza da tempo, e che diventa sempre più incalzante: ma la Maturità, questa Maturità, può essere ancora considerata un esame? E che valore può essere dato a un titolo che comunque da anni viene assegnato con votazioni spesso mirabolanti (in molti casi più alte nelle zone in cui le rilevazioni standardizzate mostrano i livelli di apprendimento in media più bassi), e promozione praticamente assicurata a chiunque riesca ad essere ammesso alle prove d’esame, inclusi quelli che si presentano in istituti in cui si realizza un’anomala esplosione di iscritti tra il quarto e il quinto anno, magari dopo aver condensato un certo numero di “anni in uno”?
Da tempo, almeno da quando Tuttoscuola pubblicò il suo “Primo Rapporto sulla qualità nella scuola” (2007), e ripetutamente negli anni, la nostra testata ha provato a porre il problema e a presentare in forma problematica qualche alternativa, da una maggiore personalizzazione della prova orale alla trasformazione dell’ultimo anno della secondaria superiore in un anno di preparazione all’esame solo su due, massimo tre materie scelte dallo studente, da collegare obbligatoriamente alle successive scelte universitarie, fino alla sostituzione delle prove con la valutazione/certificazione (esame) delle competenze acquisite nel tempo, che dovrebbero essere documentate in modo attendibile sulla base di un apposito portfolio individuale. Una certificazione-esame che dovrebbe avere lo stesso valore legale del diploma, visto che la nostra Costituzione prevede “un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi” (art. 33, comma 5).
Un’altra soluzione sarebbe quella di far gestire l’esame non più dalle Commissioni ma da un soggetto certificatore indipendente, come propone un esperto di scuola di lungo corso come Giovanni Cominelli (già membro del Comitato tecnico scientifico dell’Invalsi tra il 2002 e il 2004) in un interessante articolo cui dedichiamo la successiva notizia.
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Premesso che sembra assai difficile che la proposta-provocazione di Cominelli possa trovare spazio nell’attuale contesto politico, anche perché un suo corollario sarebbe l’abolizione del valore legale dei titoli (diplomi e lauree), perché non esplorare una soluzione intermedia?
Le opzioni possibili sono numerose. Per esempio quella di mantenere l’esame in forma di un colloquio del candidato/a con la Commissione su un tema da lui/lei scelto lasciando all’Invalsi il compito di valutare/misurare i livelli di apprendimento raggiunti nelle diverse prove scritte, compresa quella di Italiano. L’esito del colloquio (in modalità descrittiva, non numerica) e delle misurazioni Invalsi potrebbe essere riportato nella certificazione finale, titolo con valore legale che prenderebbe il posto del diploma.
Inoltre si potrebbe dare peso alle competenze non formali e informali maturate dagli studenti durante il ciclo di studi che siano certificate da organismi accreditati che operano all’interno di un sistema globale, che comprende la valutazione della conformità e la vigilanza (nella cornice dei regolamenti europei e delle norme internazionali sulla qualità). Il contenitore dove documentare tali certificazioni è stato già previsto (l’e-Portfolio dello studente), così come esiste il soggetto accreditato a riconoscere gli enti che possono rilasciare certificazioni (ente unico nazionale di accreditamento), sui quali esso effettua controlli periodici affinché sia garantita l’adeguatezza del processo di valutazione rispetto alla norma UNI CEI EN ISO/IEC 17024 per certificare le persone. La certificazione sotto accreditamento permette tra l’altro l’interoperabilità del certificato a livello europeo ed internazionale. Sarebbe un modo per fare acquisire valore e significatività al diploma di maturità agli occhi del mondo del lavoro (a differenza di oggi): il fatto che lo studente attraverso un sistema certificato e strutturato possa documentare (accanto alla insostituibile certificazione di valore formale e legale rilasciata dall’istituzione scolastica) di possedere determinate competenze (digitali, linguistiche, di vita, imprenditoriali, etc) è proprio ciò che cercano le imprese e i datori di lavoro in generale: una scuola aperta che allarga i propri servizi (realizzati in proprio o con il contributo di soggetti qualificati) all’istruzione non formale e informale (ne abbiamo parlato nel dossier “Sei idee per rilanciare la scuola”).
Sarebbe questa, ci sembra, una ragionevole soluzione di compromesso tra il non fare nulla per evitare la ripetizione inerziale di una Maturità ormai totalmente screditata e il fare troppo di una radicale esclusione dei docenti – come qualcuno propone – da qualsiasi ruolo nelle operazioni di valutazione conclusiva degli studi dei loro studenti/esse.

