di Lara La Gatta, La Tecnica della scuola, 29.9.2025
Mensa a scuola, i docenti in servizio durante la refezione
non hanno diritto al pasto completo: lo dice la Cassazione.
I docenti in servizio durante l’orario della refezione scolastica non hanno diritto al “pasto completo” con primo, secondo, contorno, frutta e pane.
A deciderlo è la Corte Suprema di Cassazione, Sezione Lavoro, che con l’Ordinanza pubblicata il 17 luglio 2025 (n. 2844/2025), ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un gruppo di insegnanti ricorrenti contro il Ministero dell’Istruzione, un Istituto Comprensivo Statale e un Comune. La controversia, discussa in camera di consiglio il 4 giugno 2025, ruotava attorno al diritto del personale docente a fruire di un pasto completo durante la refezione scolastica.
La Suprema Corte ha confermato l’orientamento espresso dalla Corte d’Appello di Venezia (sentenza n. 415/2020), che aveva riformato una precedente sentenza del Tribunale. Il ricorso mirava a ottenere la somministrazione di un pasto composto da primo e secondo piatto, contorno, frutta e pane.
Mensa come beneficio assistenziale
La Cassazione ha richiamato la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 23303 e Cass. n. 31137/2019) che definisce la natura assistenziale della mensa e del buono pasto.
La critica al “mini pasto” e l’onere della prova
Uno dei punti centrali del ricorso (il primo motivo di denuncia) riguardava l’asserito mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dei ricorrenti e la violazione del principio di non contestazione. I lavoratori sostenevano che fosse “pacifico” che il diritto al servizio di mensa gratuita includesse la somministrazione di “pasti completi” e non i “mini pasti” forniti nell’Istituto dopo il 2015.
La Corte d’Appello aveva osservato che i lavoratori si erano limitati a lamentare la mancanza della “seconda portata”, senza specificamente allegare e dimostrare che il servizio mensa offerto (anche senza il secondo piatto) non fosse idoneo a soddisfare l’esigenza assistenziale per cui era stato istituito.
La Cassazione ha giudicato questo primo motivo inammissibile, poiché mirava a una rilettura sostanziale delle risultanze processuali e non teneva conto della vera ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale verteva sull’adeguatezza del servizio rispetto alla sua funzione assistenziale, e non sulla mera definizione di “pasto completo”. Inoltre, la valutazione dell’esistenza e del valore della condotta di non contestazione è riservata al giudice del merito.
Le Linee guida ministeriali
Il secondo motivo di ricorso denunciava la violazione di diverse fonti normative e contrattuali, ma era incentrato specificamente sulla presunta violazione delle Linee di indirizzo nazionale per la ristorazione scolastica (approvate nel 2010 dalla Conferenza unificata Stato-Regioni). I ricorrenti sostenevano che tali Linee prevedessero esplicitamente la somministrazione del “secondo piatto”.
Anche questo motivo è stato dichiarato inammissibile. La Cassazione ha chiarito che le Linee di indirizzo sono da considerarsi atti amministrativi o di indirizzo politico. Non rientrano nella normazione primaria o secondaria la cui violazione può essere denunciata nel giudizio di legittimità. Le intese in sede di Conferenza Stato-Regioni hanno la finalità di garantire la leale collaborazione e l’uniformità legislativa, ma sono prive di efficacia cogente diretta.
Conclusioni
In sintesi, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso integralmente inammissibile.
I ricorrenti sono stati condannati al pagamento delle spese di legittimità: € 4.000,00 in favore del Ministero e dell’Istituto Comprensivo, e € 4.000,00 più € 200,00 per esborsi in favore del Comune.
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Mensa scolastica, ai docenti niente pasto completo ultima modifica: 2025-09-30T03:49:47+02:00 da
