di Huffington Post, 26.4.2020
,“Le mascherine protettive, diverse dai dispositivi medici, dovranno entrare a far parte della vita dei nostri bambini. Ma non c’è nessuna necessità di acquisiti precipitosi: per ora è sufficiente, e solo in determinate circostanze, far indossare ai bambini semplici barriere protettive, in attesa che arrivino dei dispositivi specifici che tengano conto delle peculiarità dei più piccoli. Anche perché – giustamente – l’Italia non si sta lanciando in un’apertura precipitosa delle scuole, quindi avremo modo di monitorare la situazione e mettere a punto strategie”. A parlare così, in questa intervista ad HuffPost, è Alberto Villani, presidente della Società Italiana di Pediatria, responsabile di Pediatria Generale e Malattie Infettive all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. L’unico pediatra, insieme al presidente del Consiglio Superiore di Sanità Franco Locatelli, a far parte del Comitato Tecnico Scientifico che sta supportando il governo nella gestione dell’emergenza Covid-19. Per questo conoscere il suo pensiero su mascherine, ritorno a scuola e contatti con nonni/amichetti vuol dire avvicinarsi a quelle che, con tutta probabilità, saranno le indicazioni sul futuro prossimo di bambini e ragazzi.
Professore, quali sono le indicazioni sull’uso di mascherine nei bambini? La “mascherina di socialità” – da indossare, secondo il parere dell’Istituto Superiore di Sanità, quando si hanno contatti con gli altri – deve valere anche per i più piccoli?
“Considerando che non ci sarà l’apertura delle scuole, quello delle mascherine per i bambini non è un problema vissuto con urgenza. Quando riapriranno le scuole, diventerà molto importante stabilire degli esatti criteri. Per ora è bene distinguere tra quei dispositivi che sono presidi medici (con finalità di protezione elevata che vanno quindi controllati) e quelli intesi come semplici barriere di protezione delle vie respiratorie (che devono avere delle caratteristiche meno stringenti, ma comunque determinate proprietà). I presidi medici devono essere riservati a chi realmente ne ha bisogno; le barriere di protezione possono avere altre caratteristiche. Come ha detto ieri il commissario Arcuri, c’è stato questo ennesimo miracolo italiano per cui ci sarà una produzione adeguata in termini di quantitativi: in quei numeri ci sono tutti i tipi di mascherina, anche quelle per bambini”.
Di che tipo di mascherine parliamo?
“Si sta lavorando molto, anche come Società Italiana di Pediatria, nel far comprendere che, al di là della taglia, è importante che le mascherine pediatriche abbiano delle proprietà specifiche, che sono l’essere anti-soffoco, con materiale anallergico, tali da poter essere calzate garantendo una certa stabilità anche in bambini nella fascia d’età 3-6 anni. Bisognerà poi stabilire modalità e tempi d’uso: non possiamo immaginare che i bambini indossino continuativamente la mascherina. Sono tutti aspetti in corso di valutazione”.
In quali contesti sarà necessario far indossare la mascherina ai bambini?
“Facciamo degli esempi pratici. Se un bambino sta al parco con la sorellina e svolge attività all’aria aperta, nel rispetto del distanziamento sociale dagli altri, non dovrà indossare la mascherina. Se sta in classe probabilmente sarà necessaria. Se va a trovare i nonni perché non resiste più senza vederli: mascherina ai nonni, mascherina al nipotino. Si potrà stare nella stessa stanza, ma si eviterà di dare baci, abbracci e contatti che possano essere potenzialmente pericolosi, anche se nessuno ha sintomi”.
A parte la scuola, sono tutte attività che dal 4 maggio dovrebbero essere permesse. Quali mascherine devono acquistare i genitori, in attesa che si sappia qualcosa di più?
“Ai genitori dico: non c’è bisogno, in vista del 4 maggio, di correre ad acquistare dispositivi particolari. In questi casi, basta una mascherina protettiva, non medica. Al momento, in attesa che siano disponibili quelle specifiche per bambini, vanno bene anche quelle volgarmente definite ‘chirurgiche’. Presto le mascherine diventeranno un oggetto quasi fashion, ci sono molte aziende di moda che se ne stanno occupando. Anche questo ci aiuterà con i bambini, come è accaduto con presidi quali occhiali, apparecchi per i denti e così via”.
Come far accettare le mascherine ai bambini?
“Con i bambini se si gioca si gioca, se si è seri si è seri. Quando a un bambino si spiegano bene le cose – ossia: te la devi mettere perché ce l’hanno tutti e così non ti ammali e non fai ammalare gli altri – il bambino se la mette. Certo, da pediatra sottolineo che è importante prevedere delle modalità di ancoraggio: immagino ad esempio una mascherina che abbia una parte di tessuto elastico, tipo fascia per i capelli, con una parte davanti più larga e una specie di sottomento; già questo basterebbe a garantire una stabilità per il tempo che serve”.
Proviamo a immaginarci tra qualche mese. Il premier Conte oggi ha assicurato che a settembre a scuola ci si andrà…
“Ad oggi non abbiamo nessuna certezza su cosa accadrà nei prossimi mesi: il coronavirus potrebbe essere debellato oppure potremmo trovarci in una situazione ancora più impegnativa di quello che possiamo immaginare oggi. Dobbiamo modulare i nostri comportamenti in base all’andamento dell’epidemia”.
E cosa ne pensa della proposta della ministra Bonetti di riaprire le scuole in versione centri estivi?
“Ho una grande ammirazione per la ministra Bonetti perché si sta veramente facendo in quattro. E’ chiaro che lei politicamente manifesta un’esigenza e rappresenta in maniera straordinaria il suo ruolo. Però è anche rispettosa di quelle che sono le decisioni, nel senso che lei avanza delle istanze, fa delle proposte nell’interesse della popolazione ma compatibilmente con la sicurezza di tutti. Sulla necessità di far uscire i bambini noi pediatri siamo stati d’accordo al 100%; per quanto riguarda altre proposte, vanno valutate in base all’andamento della situazione”.
Quindi secondo lei è prematuro anche solo parlare di riapertura delle scuole…
“Non è un parere personale… esistono dei parametri che sono tali da sconsigliarlo in questo momento. Detto ciò, è molto importante che ci sia lo stimolo perché questo impone a tutti la riflessione su strategie da applicare appena sarà possibile. E’ chiaro a tutti che non ci sarà un ritorno alla normalità pre-coronavirus, ma bisogna iniziare a pensare a delle modalità specifiche per le varie fasce d’età. Penso ad esempio al distanziamento tra bambini e al rapporto insegnanti/bambini: al nido paradossalmente è più facile, alla materna meno. Servirebbero classi molto piccole, così da identificare facilmente eventuali cluster… C’è la questione della responsabilità: se un bambino si ammala, di chi è la responsabilità? Del genitore che ce l’ha mandato? Del dirigente scolastico? Sono argomenti molto delicati”.
In altri Paesi però le scuole hanno già riaperto, o lo faranno nelle prossime settimane. Stanno sbagliando tutti?
“Abbiamo la rara abilità di parlare male di quello che facciamo noi e osannare quello che fanno gli altri. Quando l’Italia ha detto ‘è un problema serio, bisogna adottare misure drastiche’, tutti ci hanno dato addosso: basta ricordare la scena del finto pizzaiolo francese che sputa nella pizza. Ora i poveri francesi sono inguaiati e rovinati quasi peggio di noi. O gli Stati Uniti, dove si faceva dell’ilarità su ciò che stava accadendo: ora è il Paese con il maggior numero di morti. La Svezia, che non aveva preso nessuna misura: 20mila casi. Penso che sulle scuole gli altri Paesi dovrebbero fare come noi, e non noi imitare gli altri. Stiamo dimostrando per l’ennesima volta che sono gli altri che dovrebbero prendere esempio da noi, e non viceversa”.
Alcuni, come ad esempio il professor Crisanti, sostengono che i bambini, soprattutto quelli sotto i 10 anni, tendono a non infettarsi. Si parla molto del caso di un bambino francese, Covid-positivo, che ha avuto contatti con oltre 170 persone senza infettare nessuno, fratelli inclusi. Cosa ne pensa?
“Penso che noi non abbiamo avuto decessi, mentre negli Stati Uniti ora si piange una bambina di 5 mesi, per la quale era stata attivata anche una raccolta fondi per coprire le spese mediche. Le domande sono: 1) ci si rende conto che in Italia abbiamo la sanità pubblica? 2) questa bambina è morta, sento parlare di soldi per le cure… l’auspicio è che abbiano davvero fatto di tutto per salvarla, perché questo significa spendere tanti tanti soldi. Anche su questo bisogna riflettere.
Quanto all’infettività, chi in questi momenti spara sentenze ha tutta la mia ammirazione. Siamo di fronte a un virus nuovo e non disponiamo ancora di analisi epidemiologiche diffuse. I pochi dati che abbiamo, relativi all’Italia, sono che i casi totali tra la popolazione pediatrica sono 2.846, di cui 2.019 seguiti a domicilio e 119 ricoverati. Tra i ricoverati il 37% ha meno di un anno, il 21,8% un’età compresa tra i 2 e i 6 anni, il 41,2% tra i 7 e i 17 anni. In terapia intensiva, più per cautela che per gravità, ci sono finiti meno di 10 bambini. Abbiamo due decessi nella fascia d’età 2-6 anni, entrambi caratterizzati dalla presenza di gravi patologie pregresse. Questo è quello che sappiamo oggi, non abbiamo altri elementi.
E sulla contagiosità?
“Dobbiamo tenere presente che i bambini, non andando a scuola, sono stati confinati: come facciamo a sapere che non sono contagiosi? Quali occasioni hanno avuto di contagiarsi o contagiare gli altri? Io ho rispetto profondo per tutti, anche se poi sono le pubblicazioni che parlano per le competenze degli esperti…”.
In queste settimane in molti hanno accusato politici e tecnici di essersi “dimenticati dei bambini”. Cosa ne pensa?
“Il fatto che nel Comitato Tecnico Scientifico sia stato incluso un pediatra dimostra una grande attenzione: era ovvio che ci fossero un geriatra, un broncopneumologo, un intensivista; il pediatra è stato un atto di attenzione e sensibilità della politica a cui noi pediatri siamo infinitamente riconoscenti. Non è assolutamente vero che ci si è dimenticati dei bambini. Chi critica deve poi chiarire cosa avrebbe fatto di diverso, motivandolo. Avrebbe tenuto aperte le scuole? Avrebbe lasciato in giro i bambini? Siamo stati travolti dal coronavirus con 150mila priorità. L’attenzione è stata dimostrata dal fatto che la Rai ha dedicato specifiche trasmissioni ai bambini, dal fatto che si è cercato di fare la scuola a distanza. Ci siamo trovati in una situazione eccezionale; senza voler fare l’elogio di tutto e di tutti, credo ci sia stata la giusta e proporzionale attenzione a ogni problema, nei limiti dei tempi e delle possibilità. Poi è chiaro che se ci sono delle manie di protagonismo, per cui voglio essere io a rappresentare delle istanze e non ho i titoli e le competenze per farlo, mi invento delle storie per trovare spazio sui giornali. Credo sia stato fatto tutto quello che era ragionevole fare, poi è chiaro che si può fare sempre meglio”.