Non è la didattica digitale che crea diseguaglianze, è la scuola in presenza che non le sa colmare

di Roberto Contessi, Il Corriere della sera, 26.10.2020.

L’insegnante di liceo e scrittore Roberto Contessi: «Il sistema tradizionale basato su lezione frontale e interrogazioni è fatto per confermare le disparità in entrata. Privato della presenza fisica e del compito in classe che ratifica le insufficienze, va a pallino».

Gilda Venezia

Ora che a colpi di legge si devono stabilire dei vincoli sugli spostamenti degli italiani, ecco che la didattica a distanza (Dad) si riaffaccia come strumento di contenimento. Messa così, la Dad sembra una sorta di medicina della Fata turchina che bisogna assumere a malincuore per svuotare strade e autobus dal traffico provocato dalle scuole. Ma è veramente solo questo? Le accuse più ricorrenti contro la didattica a distanza (che qualcuno chiama anche Didattica digitale integrata) sono di tre tipi: porterebbe le diseguaglianze nelle nostre aule, impoverirebbe la didattica sottraendo il contatto fisico tra professori e ragazzi, abbasserebbe la serietà dell’insegnamento.Prendiamoci il tempo per ragionare.

La questione della diseguaglianza è quella che mi sta più a cuore. L’accusa si basa sulla differenza di capacità digitali esistenti tra le famiglie italiane, consistente non solo in maggiori o minori competenze ma soprattutto in un’ineguale distribuzione di dispositivi digitali – computer, tablet o altro – e soprattutto di reti efficaci per trasportare il segnale. Il tema ovviamente esiste, e forse meritava più attenzione rispetto ai banchi a rotelle, però, la questione non si chiude in questo modo. Per un verso, bisogna sapere che quell’oggetto diabolico chiamato cellulare, in mano a tutti i nostri studenti, garantisce comunque un accesso essenziale alla Dad, cioè alle piattaforme di insegnamento on line. D’altro canto, bisogna sapere che il sistema di istruzione in presenza, lui stesso, mantiene e garantisce le disuguaglianze culturali di partenza tra gli studenti italiani.

Ovviamente chi tocca questo argomento si scotta, perché è scomodo e nessuno ne parla di buon grado, ma, stando alle rilevazioni statistiche sui profitti medi dei nostri figli e nipoti, il metodo di insegnamento tradizionale non recupera le loro debolezze di partenza: dunque, a scuola vanno bene studentesse e studenti che provengono da contesti familiari felici e attenti, mentre va male chi proviene da contesti familiari distratti o infelici. Amen. Nonostante ciò, oltre a sottolineare a gran voce la scontata pagliuzza della Dad, mi sorprende che non si alzi una sola voce verso l’incapacità della nostra scuola in presenza di rappresentare un ascensore culturale e sociale per chi non nasca in un contesto fortunato. La lezione frontale e la sequenza spiego-interrogo rimangono ancora le forme didattiche prevalenti in licei ed istituti tecnici, inefficaci verso i ragazzi deboli perché in grado semplicemente di confermare i valori in entrata. Non è tutto.

Le due accuse alla Dad, citate in precedenza, sono figlie della mancata messa a fuoco di questo elemento decisivo. Un metodo didattico, già di scarsa efficacia in presenza, collassa nel momento in cui si cambia lo strumento di interazione. Detto in altri termini, se i professori trasferiscono online la lezione frontale e la sequenza spiego-interrogo, si trovano privi dell’unico strumento di potere che permette loro di mantenere l’ordine del gruppo classe: la coercizione. Privati della presenza fisica che costringe gli studenti a manifestare attenzione (spesso di facciata) e privati del compito in classe che ratifica i valori insufficienti, il sistema tradizionale va completamente a pallino. Casca per colpa del mezzo informatico? Il mezzo informatico porta semplicemente alla luce l’assenza spesso di qualsiasi elemento di coinvolgimento, di motivazione, di ingaggio che esiste nella lezione.

Italia, il Paese della laurea ereditaria. Le diseguaglianze cominciano all’asilo

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Laddove non c’è interesse, i ragazzi in Dad partecipano in pigiama, oscurano il video, si nascondono, e il metodo tradizionale lascia il professore solo con la sua frustrazione di avere davanti a sé un uditorio che realizza la fuga dalla scuola che covava da tempo. E spesso anche lui abbandona il campo.

Intendiamoci: non c’è nulla di cui gioire. Un sistema scolastico in presenza che lascia indietro quasi sette ragazzi su dieci, secondo le stime Invalsi, Ocse-Pisa e Almadiploma, mostra tutti i suoi limiti quando si esce dall’ambiente classe, fosse solo con l’uso di un computer.Quei sette ragazzi su dieci sono un grosso problema, perché avranno difficoltà a studiare dopo la scuola, a formarsi, a preparare un concorso, a trovare un lavoro e la stupida felicità per essersi sottratti ad una lezione noiosa, diventa una questione molto seria quando si troveranno in possesso di capacità di leggere, scrivere e far di conto solo basilari. E qui il mio tono diventa estremamente grave.

La pandemia mostra il nervo scoperto delle nostre debolezze. L’inefficacia del metodo didattico tradizionale è una di queste perché mostra che la scuola si limita spesso a confermare le disuguaglianze di partenza. Si può continuare a girare la testa, e gettare la croce sul computer o sulle piattaforme come Meet o Teams, irridendole come la causa di un disagio formativo. Oggi però abbiamo prove quantitative ed inequivocabili che è il sistema formativo in sé a mantenere rendite di posizione: non è il computer a rendere la scuola inefficace, ma è il patto del silenzio per una offerta formativa al ribasso che unisce professori, studenti, presidi e genitori. Non sarà il caso di iniziare ad affrontare il problema?

Roberto Contessi, Docente di liceo e scrittore

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Non è la didattica digitale che crea diseguaglianze, è la scuola in presenza che non le sa colmare ultima modifica: 2020-10-26T21:23:46+01:00 da
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