Non faro’ il concorso a preside

di Francesco Rocchi, iMille, 5.6.2018

– Si è appena chiuso il bando per il nuovo concorso a preside, a lungo atteso. Io non ho presentato la domanda, pur avendo i requisiti minimi. Non ci ho pensato nemmeno a lungo: io il dirigente scolastico non lo voglio fare, almeno per molti anni ancora.
Considerando che, nel caso ce l’avessi fatta, avrei quasi triplicato lo stipendio, potrebbe essere forse utile spiegare questa scelta, anche se questo mi costringe a parlare un po’ di me.
Non è da poco che sono docente: ho cominciato ad insegnare lettere nel 2005, con un’interruzione di un solo anno per ragioni di studio nel 2009/10. Mi sono abilitato con la SSIS, ero in GAE, ma alla fine sono entrato con il concorso di Profumo nel 2012. In questi 12 anni ho insegnato in scuole di tutti i tipi, facendomi una qualche esperienza di mondo, se non di didattica.

Il mio lavoro mi piace. La peculiarità del mestiere di docente è da un lato di richiedere una buona (o ottima) conoscenza disciplinare e dall’altro di essere fondamentalmente un mestiere di relazione e di cura.
L’insegnamento, quindi, è un buon modo di dare un senso pragmatico e sociale a quel che ho studiato. Niente turris eburnea, che per un laureato in lettere è un rischio concreto, anzi: in questo mestiere è necessario chiedersi continuamente quale sia il senso e lo scopo di ciò che decidiamo di insegnare, ritornando continuamente sulle proprie conoscenze per aggiornarle e arricchirle. E ciò che si fa, in una pur minima misura, modifica il mondo intorno a noi. Sarà retorico, ma non è falso, e nemmeno poco.
Costruire la mia professionalità per poter svolgere il mio lavoro in accordo con questi principi non è stato il lavoro di un giorno. Quanto di esso potrei portare nel ruolo di dirigente scolastico, qualora riuscissi a diventarlo?
Io temo molto poco. Per quanto sia senz’altro giusto che un dirigente abbia esperienza d’insegnamento, le sue mansioni hanno poco a che fare con tutto quello che ho imparato nella mia carriera professionale. Un dirigente vede gli studenti soltanto quando si sono comportati male, né la sua formazione accademica entra mai in gioco in maniera specifica, tanto che ogni dirigente, a prescindere dalla sua sua “origine”, può essere assegnato ad ogni tipo di scuola. Questa è una prima ragione che mi allontana da questa professione.
Altri dubbi mi vengono dall’aver visto in vivo -sia pure da docente- il lavoro dei dirigenti scolastici. A loro va la mia ammirazione per la loro pazienza e per le loro capacità organizzative, ma non posso dire di essermi sentito invogliato a seguirne il percorso.

Un dirigente scolastico è, secondo il decreto legislativo n. 165/01, art.25, “responsabile della gestione delle risorse finanziarie e strumentali e dei risultati del servizio. Nel rispetto delle competenze degli organi collegiali scolastici, spettano al dirigente scolastico autonomi poteri di direzione, di coordinamento e di valorizzazione delle risorse umane. In particolare il Dirigente Scolastico organizza l’attività scolastica secondo criteri di efficienza e di efficacia ed è il titolare delle relazioni sindacali”. In quali modi può assolvere a questi compiti?
Per quanto riguarda la gestione delle “risorse strumentali” ricordo l’esasperazione di un preside cui la provincia di riferimento non consegnava i banchi di cui diverse classi nella sua scuola avevano bisogno, nonostante li avesse chiesti per tempo. Genitori e studenti se la prendevano con lui, e lui non poteva fare altro che attaccarsi al telefono della provincia, sperando, di solito invano, di riuscire a parlare con qualcuno. In 2400 scuole italiane è ancora presente l’amianto, ma un dirigente, che è responsabile della sicurezza della scuola, non può fare altro che mandare una lettera alla provincia, e sperare per il meglio. Non è un’eccezione legata all’aminato. Inutile aggiungere che essere responsabile di situazioni che non posso governare è, per quanto mi riguarda, un’ottima ricetta per un esaurimento nervoso.

Per le risorse umane invece la situazione è più complessa. I poteri di un dirigente nella scelta dei docenti con cui lavorare sono molto limitati. Il sistema previsto dalla Buona Scuola era già di suo assai timido, e le successive contrattazioni sindacali sulla mobilità lo hanno reso talmente farraginoso (tanto per i docenti quanto per i dirigenti), che nei fatti è cambiato poco. Il ministero opera su puri automatismi (punteggi e classi di concorso) e il dirigente si limita -deve limitarsi- a distribuire i docenti tra le classi.
Anche questa di attività di allocazione è ben poco funzionale. Alcuni dirigenti scrupolosi che ho avuto se la sono pure fatta una chiacchierata preventiva con me, ma è stata più l’eccezione che la regola. Non perché gli altri fossero poco attenti, ma perché è sostanzialmente inutile: la necessità di mantenere la continuità didattica fa sì che le cattedre da coprire siano grosso modo pre-determinate, e che quelle nuove siano generalmente residuali. In scuole con pochi indirizzi, poi, l’assegnazione dei docenti alle classi è sostanzialmente un gioco a somma zero: mettere un docente di qua piuttosto che di là cambia poco.
Molto più importante di questo, un dirigente scolastico non sa praticamente nulla di quello che avviene nelle sue classi. Non gli è permesso di entrarvi durante una lezione, né può intervenire sulla didattica, stante la libertà didattica del docente. Della maggior parte dei docenti, in ogni caso, il dirigente non conosce affatto l’ambito disciplinare, dal momento che un ex-insegnante non può essere competente in tutte le materie insegnate nella sua scuola.

L’unica fonte di informazione di quel che avviene nella scuola è in altre parole il sentito dire. E difficilmente potrebbe essere altrimenti, visto che il dirigente è uno, mentre i professori e le classi sono decine. Quand’anche avesse modo di spiare nelle classi, il dirigente potrebbe dedicare ad ogni docente pochissime ore. E’ paradossale, e non ha reso più facile il ruolo del dirigente, che la Buona Scuola gli affidi il compito di decidere i bonus premiali, sia pure su criteri decisi dal comitato di valutazione.
In questo stato di cose la costruzione di un progetto didattico complessivo è assai difficoltosa. L’unico strumento di una qualche efficacia è quello dei progetti, su cui infatti le scuole puntano sempre di più. Di fronte all’uniformità ministeriale della routine quotidiana, i progetti lasciano ai dirigenti qualche margine in più: sono elaborati dalla scuola, ragion per cui i profili professionali dei docenti giocano un ruolo reale. Alcuni dirigenti sono davvero bravi con questo tipo di attività e riescono a tirare fuori dal cilindro delle cose fantastiche. Se ne trova spesso traccia sui giornali, perché risultati del genere fanno notizia per la loro eccezionalità.
E’ importante far notare che tutte queste attività extra-curriculari si basano più o meno tutte sulla più rigorosa volontarietà dei docenti: per come è strutturato il CCNL docenti, se gli insegnanti vogliono lasciar cadere un progetto, non ci si può far nulla. Non stupisce che i rapporti tra docenti e dirigenza siano spesso tesi ed improntati a reciproca diffidenza.

A completamento di questo quadro rimane da menzionare infine il convitato di pietra di tutta la Pubblica Amministrazione italiana: la burocrazia. Fare il preside significa sottoporsi ad una quantità tale di scartoffie che il tempo utile per occuparsi delle questioni di sostanza finisce per essere. Non è per caso che alcuni DS quest’estate abbiano tentato la strada dello sciopero della fame, denunciando una volta di più quelle criticità che a suo tempo aveva già rilevato anche Massimo Cerulo ne “Gli equilibristi”, uno studio sui dirigenti commissionato da FGA.
In conclusione, per adesso preferisco tenermi uno stipendio che spesso mi genera un fastidioso senso di frustrazione, piuttosto che infilarmi in un ginepraio in cui l’unico aspetto interessante sarebbe quello economico.
Se dovessi dire, per completezza, quale sarebbe il mio ideale in alternativa a questa situazione, indicherei senz’altro la possibilità, oggi inesistente, di accedere ad una posizione di “management intermedio” (da “docente esperto”) in cui non avrei le responsabilità del dirigente né il suo stipendio, ma passerei il tempo a coordinare i colleghi, ad indirizzarli e formarli nella mia area disciplinare di riferimento. Avrei tutto: uno stipendio un po’ migliore, delle classi, dei colleghi con cui scambiare idee in maniera strutturale e la possibilità di rimanere sulle materie in cui sono competente.

Sempre che me lo meritassi, ovviamente.

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Non faro’ il concorso a preside ultima modifica: 2018-01-05T15:10:13+01:00 da
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