Nuovo ministro nel 2018, cominciare bene in 10 mosse

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di Annamaria Poggi,  il Sussidiario, 1.1.2018

– Nel 2018 il nuovo Governo e il nuovo ministro dell’Istruzione dovranno fare i conti con le partite aperte della legge 107. Ecco cosa fare e cosa non fare.

La legislatura che si chiude è stata certamente segnata, per il mondo della scuola, nel bene e nel male a seconda dei punti di vista, dall’approvazione della legge sulla Buona Scuola.

Non c’è dubbio, dunque, che il nuovo Governo e il nuovo ministro dell’Istruzione dovranno fare i conti con le partite “aperte” di questa legge, per la loro attuazione o per la loro (assai improbabile) revisione.

Lasciando quindi del tutto sullo sfondo la questione della revisione globale della legge (resa altamente improbabile dall’esile maggioranza governativa che scaturirà dalle urne dopo il 4 marzo), occorre concentrarsi su ciò che sarebbe auspicabile che il nuovo ministro facesse e su ciò che sarebbe altrettanto auspicabile che non facesse.

Iniziamo da questo secondo angolo prospettico: ciò che sarebbe auspicabile che non facesse. L’elencazione è meramente esemplificativa.

  1. Cedere alla tentazione (di cui diventano preda tutti gli inquilini di Viale Trastevere) di voler lasciare un segno del suo passaggio: siamo stufi dei personalismi e vorremmo ministri che si concepissero come “civil servant”, che si mettessero al servizio della scuola;
  2. parlare a vanvera: di edilizia innovativa quando crollano i soffitti; di nuove materie e nuovi compiti per la scuola quando i docenti sono letteralmente soffocati dalla inutile (e dannosa) proliferazione di nuove materie; di autonomia quando i dirigenti scolastici sono quotidianamente vessati dalle circolari mandate in giro dallo stesso ministero. Per capire, basterebbe che visitasse regolarmente le scuole del Regno.
  3. Rimanere immobile, in quanto subito preda dei veto-players che ormai si aggirano numerosi ovunque: l’Italia sta soffocando per l’immobilismo prima che della politica,  della nostra pubblica amministrazione, di cui i ministri sono, meglio dovrebbero essere i primi e politicamente più significativi responsabili.

Sarebbe invece auspicabile che mettesse nell’agenda in maniera prioritaria (anche in attuazione della Buona scuola):

 

  1. la vera autonomia: sollevare i Ds da ciò che non è loro compito (la sicurezza e l’edilizia: e non mi si dica che non è possibile; semplicemente non si vuole farlo, appunto per i veto-players, la burocrazia ministeriale, gli enti locali ecc);
  2. la vera autonomia: liberare la scuola dal nodo scorsoio dell’Anac sui contratti e sugli appalti sotto-soglia (anche qui non si dica che non è possibile): ci sarà pure un modo di controllare davvero possibili ipotesi di corruzione e conflitti senza dover imporre vincoli assurdi a priori!;
  3. puntare decisamente sulla qualità della didattica e sui risultati degli studenti, incentivando anche economicamente le scuole che “migliorano” le loro performance rispetto al punto di partenza iniziale;
  4. dare alla scuola un nuovo Testo Unico dell’istruzione: raccogliere in un unico testo la normativa sulla scuola, eliminando le norme ormai obsolete e semplificando la normativa cui devono attingere gli attori della scuola (è complicato orientarsi anche per un professionista, figuriamoci per chi di mestiere dovrebbe occuparsi di didattica e di pedagogia);
  5. puntare decisamente sia sull’alternanza scuola-lavoro, sia sulla ristrutturazione delle scuole professionali e tecniche. Quasi la metà degli studenti che escono dai licei non rifarebbero la stessa scelta: non avere una gamba di istruzione decisamente tecnica penalizza prima di tutto i ragazzi e, in secondo luogo, l’intero Paese. Si è dimenticato che il boom economico degli anni Sessanta in Italia fu dovuta anche all’ottima istruzione tecnica di allora: dalle nostre scuole tecniche uscivano geometri che potevano competere con gli ingegneri; ragionieri in grado di fare il lavoro dei commercialisti.
  6. Rinegoziare il nuovo contratto: le professionalità della scuola meritano di essere valorizzate;
  7. infine, ma in realtà sarebbe una priorità assoluta, occuparsi del ministero: passare più tempo a migliorare la struttura del ministero nella sua articolazione centrale e periferica piuttosto che andare in giro a rilasciare dichiarazioni e interviste. Non vuol essere una notazione polemica: tolto Berlinguer, nessun ministro si è veramente occupato della struttura ministeriale, in termini di expertise, di competenze da rinnovare, di uffici da innovare. L’ultima grande innovazione è stata l’Invalsi (2006), subito ostacolata e resa sostanzialmente innocua. Ma come può un ministero innovare la scuola italiana e tentare di migliorare il sistema Paese se prima non è in grado di innovare se stesso?

Si potrebbe dire che si tratta di dossier “imponenti”. Può darsi. Sicuramente non richiedono nuove leggi; dunque non hanno bisogno di contrattazioni politiche. Altrettanto certamente richiedono che il nuovo inquilino di Viale Trastevere prenda la nostra scuola “sul serio”.

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Nuovo ministro nel 2018, cominciare bene in 10 mosse ultima modifica: 2018-01-01T09:59:28+01:00 da
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