Open day?

Gilda Venezia

di Davide Viero, dal profilo FB La nostra scuola, 5.2.2025.

Gilda Venezia

È tempo di iscrizioni a scuola e una riflessione su quanto sta avvenendo da qualche decina d’anni in giro per l’Italia sembra necessaria.

Nel mondo della scuola è tutto un fiorire di “scuole aperte” o “open day”, per stare al parlare d’oltremanica. Il primo elemento che stride è che si attribuisca l’iniziativa della scuola aperta a una scuola pubblica e statale, che è per costituzione aperta – tutto l’anno e non solo un giorno – perché è di tutti; appartiene infatti alla collettività e la collettività è chiamata a costituirla e a farla funzionare, grazie ai rappresentati dei cittadini in Parlamento e agli organi collegiali.

Svelato subito questo primo bisticcio concettuale, e addentrandoci maggiormente nelle dinamiche di presentazione delle scuole, è rilevante sottolineare come, a seguito dell’Autonomia scolastica (1997), si sia creata una rivoluzione che ha legato, è proprio il caso di affermarlo, la singola scuola agli alunni e alle loro famiglie: come se tale istituzione non fosse un servizio verso la collettività di oggi e di domani ma un contratto con le singole famiglie (che oggi vengono chiamate stakeholders, ovvero portatori di interesse), i cui bisogni devono guidare l’azione della scuola, che deve renderne conto in modo immediato.

Con l’Autonomia scolastica si verifica così l’annullamento dell’intermediazione dello Stato, che dovrebbe rappresentare l’interesse generale di tutti i cittadini e di ciascuno. Se la scuola deve la sua esistenza – o col calo demografico la sua sopravvivenza – ai clienti, ecco che parte la lotta per accaparrarsi quanti più iscritti possibili in un regime di concorrenza con le altre scuole, sotto la responsabilità degli insegnanti, dato che ogni mediazione del piano universale (statale) è stata soppressa con l’autonomia. Nelle scuole, così, è tutto un mostrare e spacciare attività luccicanti che poi troveranno difficile realizzazione proprio per le non ancora cassate caratteristiche pubbliche della stessa scuola, come una tradizione di insegnamento fondata sui programmi (anche se ora non esistono più, soppiantati da Indicazioni non totalmente vincolanti), una libertà di insegnamento che è garanzia per gli studenti di un apprendimento libero e non totalitario, l’assunzione statale dei docenti etc.

Avviene così che l’Autonomia scolastica inoculi nella scuola il paradigma commerciale tra privati, impersonati dalla singola scuola e dalle famiglie, il tutto in modo apparentemente immediato. Ciò ha sottratto di fatto la scuola allo Stato e l’ha consegnata agli attori coinvolti, insegnanti e famiglie, in un rapporto privatistico. La scuola si è così trasformata in una scatola vuota, flessibile come una canna al vento dell’utenza.

Del tutto diversi gli esiti se l’intermediazione dello Stato vi ha parte. Essa, in quanto mediazione e sintesi aperta e dialettica, non pone l’accento sulle istanze immediate, ma su un nucleo terzo come il bene della collettività, a cui le famiglie accedono con la mediazione degli insegnanti. Questo nucleo terzo dava libertà e uguaglianza ai cittadini, in quanto insisteva su elementi che coinvolgevano il più ampio orizzonte. L
a scuola non è infatti una risposta a una domanda già confezionata e chiusa, bensì contribuisce a creare un orizzonte aperto di senso che permetta di fare domande e ricercare risposte sulle condizioni che generano le stesse domande.
Gli alunni che frequentano tale scuola non vengono confermati non loro essere e nella loro origine familiare: sono invece chiamati a fare i conti con il risultato dialettico sintentizzato nella dimensione collettiva, la quale permette di emancipare ciascuno perché fa i conti con altro da sé.
In questa scuola le famiglie non sono i datori di lavoro degli insegnanti, i quali rispondono allo Stato come organo che è di più delle singole famiglie, perché racchiude tutti i cittadini. Insegnanti che fanno il loro lavoro con passione e per il bene degli studenti, ma non in quanto clienti, bensì in quanto cittadini. L’opera dell’insegnante è rivolta allo Stato come sintesi dialettica che comprende anche i singoli cittadini. L’insegnante di questa scuola è assunto per fare bene il proprio lavoro in senso collettivo e perciò deve essere assunto con concorsi seri sulla base della sua preparazione culturale. L’universalità incarnata dallo Stato è la cifra dell’emancipazione del singolo, che altrimenti sarebbe legato ai piombi del presente storico, alle esigenze di piccolo cabotaggio, nonché all’orizzonte familiare. Per questo sarebbero importanti i Programmi nazionali, perché sono il nucleo che rende possibile tutto ciò, garantendo l’uguaglianza di tutti nel confronto continuo col diverso da sé.

Proviamo a confrontare questo scenario con i risultati prodotti dall’autonomia che, a dispetto del nome, ha prodotto tutte scuole uguali, perché giocate su di una concorrenza in vincolo di risorse (epocali e presentiste). La concorrenza viene svolta all’interno di un orizzonte a informazione completa, e perciò vince chi si uniforma maggiormente al discorso dominante.

Basta fare un giro per gli “open day” per averne conferma.

 

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Open day? ultima modifica: 2025-02-08T05:43:16+01:00 da
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