Pandemia, emergenza climatica ed economica: dove andrà la scuola?

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Astolfo sulla luna, 15.5.2021.

Gilda Venezia

Pare che il Pnrr – con i consueti ritardi della politica nostrana, che fra l’altro costringono il Presidente Mattarella ad esortare chi di dovere a darsi da fare – riservi un miliardo e mezzo agli istituti tecnici superiori: corre voce che attualmente siano scelti, nonostante siano stati previsti da circa un ventennio, da meno del 5% dei diplomati che escono dalla scuola cosiddetta “superiore”. Secondo il ministro Bianchi garantiscono uno sbocco occupazionale a 4 dei 5 studenti che li portano a termine, e sarebbero la panacea per risolvere tutti i mali: disoccupazione giovanile, Neet, formazione inadeguata, carenza di tecnici per le imprese nostrane. Insomma perfetti per dare un’idea che metta insieme “testa e mani”. Spulciando nell’apposito sito creato dalla sua regione, si scopre che vi operano sette fondazioni Its che offrono i più svariati percorsi formativi, alcuni dei quali forniscono un titolo di studio alquanto “creativo”. Il responsabile del dicastero trasteverino ci tiene a sottolineare che ”Non va confuso il lavoro formativo che fa l’Academy aziendale con quello dell’Its. Gli Its svolgono una funzione pubblica di formazione.”

Per chi non lo sapesse, con questo ulteriore anglicismo si indicano genericamente le iniziative formative delle aziende: “macinando” questo termine nel generoso motore di ricerca con ricorrenti tentazioni monopolistiche, si pesca qualche informazione su questo mondo abbastanza riservato; nell’hinterland milanese alcune multinazionali, che operano ad esempio nei settori della grande distribuzione e dell’abbigliamento, hanno impiantato da una decina d’anni “talent houses” o consimili alle quali si accede, presumibilmente, se debitamente referenziati.

Dicevamo dell’Emilia-Romagna, regione caratterizzata da una struttura di aziende medio-grandi, ma cosa succede nel nostro Veneto delle centinaia di PMI? Partendo dal sito ufficiale della regione, e sfruttando i giusti link  si riesce ad accedere alle pagine dove – dopo una premessa che plaude alla sinergia fra pubblico e privato – vengono elencati alcune Its-academy dai nomi molto accattivanti: Tourism 4.0, Digitalizzazione dei sistemi di produzione industriale, Mobilità internazionale delle merci e delle persone, e via fantasticando. Dunque, la regione che, dopo la Lombardia, è tradizionalmente ricca di centri di formazione professionale privati, ha evitato di distinguere fra strutture formative pubbliche, quali dovrebbero essere le fondazioni Its, e iniziative formative delle aziende private in questo importante segmento del percorso formativo, frequentabile dai 18/19 anni di età in alternativa al più lungo (e teorico) percorso universitario. Quale dei due modelli sia preferibile sarà il tempo a mostrarlo, intanto però arriveranno bei finanziamenti dall’Unione Europea, così almeno si spera. Nel frattempo solerti colleghi esperti in “orientamento in uscita” si affannano a illustrare ai ragazzi di quarta “-superiore” – che causa  pandemia hanno completamente saltato gli stage aziendali in Pcto (ex alternanza scuola lavoro) – le nuove opportunità di formazione “sul campo”. A proposito, quale potrebbe essere il disegno del ministro in carica, fautore dei “campus” formativi, riguardo alla scuola secondaria?

Per comprendere il disegno generale di riforma del settore dell’istruzione e formazione, può essere utile partire dalla seguente citazione:

Nella knowledge economy, o capitalismo cognitivo, il problema centrale del capitale è quello di “mettere al lavoro” la conoscenza, il sapere detenuto dalla forza-lavoro. Che la captazione della conoscenza altrui rappresenti un vero problema lo dimostra ad esempio l’assegnazione delle stock options ai lavoratori della conoscenza, che si è diffusa negli anni del boom della new economy. [1]

In altre parole educazione, istruzione e formazione, la cultura in generale, vanno finalizzate alla produzione di conoscenza che – in piena rivoluzione informatica – viene di fatto controllata dai cinque fratelli del digitale. Se gli istituti “tecnici” “superiori” si inseriscono in questo gigantesco sforzo di addestramento delle manovalanze intellettuali future, questa è anche un’interessante chiave di lettura delle decisioni prese in questo periodo dal nostro ministro per quanto riguarda la scuola secondaria: restyling dell’esame di Stato, brutta copia di quello dello scorso anno, nella prospettiva di svilirne progressivamente il valore; apertura estiva delle scuole, che consolida di fatto l’opinione che ritiene la didattica a distanza una perdita di tempo; inerzia generale riguardo alle vere problematiche della scuola, in primis il potenziamento delle risorse per affrontare un’emergenza sanitaria che si aggiunge alle storiche carenze strutturali del settore della pubblica istruzione.

Se le parole hanno un peso, e in questo caso temo che pesino parecchio, l’utilizzo del termine “superiore” per questo canale di formazione post-diploma di quella scuola che tradizionalmente si chiama “superiore”, segnala l’inevitabile ripiego di quest’ultima verso la dimensione socio-relazionale a scapito di quella – guarda caso – culturale. D’altronde è da tempo che le istituzioni universitarie, dall’alto della torre eburnea del Sapere, chiamano le “superiori” semplicemente “scuola media”, proprio per sottolineare che solo all’università i giovani entrano in contatto per la prima volta con la “vera scienza”. Ovvio, si dirà, ci abbiamo messo del nostro per abbassare il livello culturale delle nostre scuole, chiudendo un occhio agli scrutini e largheggiando con i voti di maturità. Infatti, per indulgere nelle autocitazioni, ciò che venti anni fa poteva essere causato dall’appena percettibile cambiamento di traiettoria coinciso con l’introduzione dell’autonomia scolastica e che dieci anni fa – in occasione della riforma Gelmini – è diventato l’incendio dell’albero della conoscenza, è ormai ridotto a un ammasso di rovine fumanti. Il piano Estate, già dalla denominazione della fase di giugno “rinforzo e potenziamento delle competenze disciplinari e relazionali”, che d’estate diventa “della socialità”, rende evidente dove si vuole andare a parare: ci rendiamo conto  – ammesso che aderiscano a questa offerta in concorrenza con le vacanze che sono il regno della libertà – con quale voglia i ragazzi torneranno a studiare sui banchi per un nuovo lungo anno scolastico?

L’unica risposta credibile è che – nel disegno innovatore del titolare della pubblica istruzione – il nuovo anno scolastico non sarà come quelli passati, pieno di materie da studiare e con pochi spazi di socialità, ma vedrà noi insegnanti nel ruolo di tutor, facilitatori, coach e quanti altri appellativi la fervida immaginazione ministeriale saprà inventare.


«[1] – Così si esprime Christian Marazzi in un articolo dal titolo “L’economia della menzogna”, apparso sul Manifesto nel  lontano 2004, e reperibile nel suo Il comunismo del capitale, Ombre corte, 2010, pag. 116;

15 feb. 2021                                                                                      Astolfo sulla Luna


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