Panino vietato a scuola: conseguenze della sentenza di Cassazione

di Francesco Provinciali, Mente politica, 24.8.2019

– La Suprema Corte di Cassazione con Sentenza n° 20504/19 depositata in data 30 luglio 2019 ha stabilito che il panino portato da casa in sostituzione dei cibi forniti nella mensa della scuola non può essere consentito in quanto non si materializza giuridicamente un “diritto soggettivo perfetto e incondizionato all’autorefezione individuale, nell’orario della mensa e nei locali scolastici”.
“Pertanto (tale diritto) non è configurabile e, quindi, non può costituire oggetto di accertamento da parte del giudice ordinario, in favore degli alunni della scuola primaria e secondaria di primo grado”.
La sentenza mette fine ad una lunga querelle attivata da numerose famiglie di alunni frequentanti in particolare la scuola dell’infanzia e quella dell’obbligo e annulla la Sentenza n° 1049 del 2016 della Corte d’Appello di Torino (città dove il procedimento impugnato si era radicato) che aveva stabilito invece che le famiglie potevano realizzare una sorta di scelta tra la mensa fornita dalla scuola e il pasto portato da casa, consentendo di fatto la possibilità di esercitare una diversa opzione alimentare rispetto al menu previsto a scuola e – contemporaneamente – il diritto di consumare tale pasto “alternativo” fornito da casa nello stesso luogo e nello stesso orario in cui viene di norma somministrata la refezione scolastica agli alunni che ordinariamente se ne avvalgono.
Annullando la precedente sentenza di segno opposto della Corte d’Appello di Torino (e di altri Tribunali), la Cassazione che, occorre ricordarlo, interviene e decide in materia di legittimità e non di merito, afferma una importante puntualizzazione giuridica che sta alla base delle motivazioni della propria decisione.
Ciò che finora era affidato alle decisioni e agli accordi nei singoli istituti scolastici tra famiglie, comune (quale ente erogatore del servizio di mensa) e scuola stessa in regime di autonoma determinazione, valutati i casi sotto il profilo dei costi del servizio, del tipo e della qualità del cibo somministrato nel refettorio, delle preferenze dei genitori e dei loro figli, non configurandosi come un “diritto soggettivo pieno” a praticare una facoltà di “deroga”, non risulta più assoggettabile al potere di valutazione di merito e di opportunità ma anche di liceità da parte dell’autorità scolastica e dell’ente locale, essendo negato l’esercizio di questa possibilità: di fatto la Sentenza della Suprema Corte conferma che l’unico pasto consumabile a scuola dagli alunni, durante la mensa scolastica è quello fornito dall’ente incaricato di erogare il servizio del pasto, di norma il Comune.

Cosa significa all’atto pratico che il panino portato da casa non è più un “diritto soggettivo pieno” dell’alunno e della sua famiglia?
Innanzitutto che il servizio di refezione scolastica è parte integrante dell’orario scolastico, poi che l’unico pasto consumabile a scuola è quello programmato nel menù (di norma) settimanale sotto la diretta responsabilità di scelta – anche in ordine alla qualità e al controllo di tale qualità – di chi fornisce i pasti agli alunni della scuola stessa.
Infine che – fatte le debite eccezioni per i casi particolari di alimentazione diversa per ragioni di salute, intolleranza ai cibi ecc. – la refezione scolastica comporta un menu tabellare predeterminato.
Il tutto – è necessario ribadirlo – sotto il diretto controllo delle autorità a ciò deputate e degli organi di vigilanza scolastica e sanitaria.

Da settembre, con l’inizio del nuovo anno scolastico, le istituzioni scolastiche e i Comuni dovranno uniformarsi a quanto sancito dalla Cassazione e conseguentemente organizzarsi per offrire il servizio di mensa a tutti gli alunni frequentanti per l’intera giornata (es. scuole dell’infanzia, tempo prolungato, tempo pieno ecc.) e ciò come garanzia di uniformità di trattamento, non consentendo più la pratica del panino portato da casa ma assicurando il servizio indistintamente a tutti e secondo le documentate esigenze alimentari legate a motivi di salute.
“Portare il panino da casa”, scrivono i giudici, comporta una “possibile violazione dei principi di uguaglianza e di non discriminazione in base alle condizioni economiche, oltre che al diritto alla salute, tenuto conto dei rischi igienico-sanitari di una refezione individuale e non controllata”.
Va detto tuttavia che la stragrande maggioranza delle scuole ha già messo in atto da tempo e con buon senso scelte ispirate ai suddetti principi, basti pensare al rispetto delle scelte alimentari legate a ragioni di culto della famiglia d’origine. Solo che adesso la Sentenza della Cassazione dovrà essere uniformata senza eccezioni al principio della “gestione esclusivamente scolastica” del servizio di mensa.

È buona, corretta prassi non discutere le Sentenze bensì applicarle nel migliore e più ortodosso dei modi. La Cassazione ha espresso valide ragioni: evitare che ci siano bambini discriminati o perché le famiglie non possono pagare la mensa o perché il cibo portato da casa di fatto comporta responsabilità per la scuola in quanto viene consumato nei locali scolastici e quindi per ragioni di igiene, corretta alimentazione, equità.
Peraltro il “panino” è una declinazione giornalistica per far passare il concetto più complesso del divieto all’autorefezione: significa estensivamente che non si possono consumare a scuola cibi portati da casa.
Ripensando ai pochi giorni di scuola materna frequentati e agli anni della scuola elementare ricordo che mia mamma mi mandava col “cestino”: la scuola dava un primo piatto e noi ci portavamo il resto da casa.
Nessuno è mai morto, nessuno si era rivolto al telefono azzurro (peraltro non esisteva ancora)
Allora tutto era più semplice, meno rivendicazionismo, meno malattie del tipo ‘sindrome da risarcimento’, invocazione di libertà personali, diritti delle famiglie di mandare il figlio a scuola col panino fatto a casa ecc.
Bevevamo alle fontanelle della strada o dalle canne di gomma dei contadini, e magari nel panino c’erano solo olio e un pizzico di sale.
Oggi è cresciuto il controllo sociale, quello scolastico e nel panino si “vede” un potenziale fattore di discriminazione o di non corretta alimentazione, anche sotto il profilo igienico-sanitario.
Quando ci sono le feste di compleanno le mamme sono use a portare a scuola una torta per festeggiare il proprio figlio insieme agli altri bambini: d’ora in poi sarà vietata anche questa consuetudine.
I cibi confezionati all’esterno della scuola non avranno più la possibilità di essere consumati nelle aule: in effetti una torta, appunto, può essere stata acquistata nella migliore pasticceria o preparata da una mamma-cuoca sopraffina ma i giudici ora esigono il controllo istituzionale della qualità del prodotto edibile e impongono di fatto un monopolio in capo ai comuni e agli addetti ai refettori, siano essi dipendenti dell’ente locale o ditte convenzionate.
D’altra parte va evidenziato che le famiglie sono sempre molto attente nel cogliere segnali di malessere nei propri figli e nell’individuare colpevoli e responsabilità.
Ci sarà certamente chi (soprattutto i bambini) rimpiangerà il mitico panino e il senso di pasto casereccio che invogliava a mangiarselo.
Qualcuno dirà: ma con tutti i problemi di edilizia scolastica, aule fatiscenti, supplenti nominati in ritardo, carenza di insegnanti di sostegno, turnover dei docenti di ruolo, mancanza di materiale scolastico…. la Cassazione si doveva occupare del panino a scuola?
Certamente i giudici non hanno deciso ‘motu proprio’ ma a seguito di procedimenti radicati con ricorsi, esposti, denunce che avevano prodotto sentenze precedenti.
Quindi non serve fare gratuita demagogia: se un bimbo va a casa con mal di pancia i genitori drizzano le antenne per sapere cosa ha mangiato a scuola.
E’ pur vero che tutto sta diventando molto complicato da gestire: diritti, doveri, libertà e responsabilità.
Ma speriamo di non dover arrivare al punto di essere costretti a regolamentare la nostra vita quotidiana in tutti i suoi aspetti e consuetudini anche consolidate. Sarebbe un disastro!
Se il buon senso prevale non c’è bisogno di invocare leggi ad hoc o imbastire ricorsi.
Molto dipende dal nostro senso civico e dalla capacità di essere tolleranti per agire ‘cum grano salis’.
Detto questo la Cassazione fa il suo lavoro e ha le sue ragioni. Le Sentenze si applicano e non si discutono.
Piuttosto d’ora in poi la qualità del cibo offerto alla mensa non potrà più essere scadente come in diversi casi accade, mentre si dovrà studiare un costo sociale calmierato del servizio.
Gli oneri burocratici o di gestione non valgono spesso la qualità del prodotto finale.
Ci sono refezioni di scuola d’infanzia dove il pasto costa di più che alla mensa universitaria.
E questo è francamente inaccettabile.

Francesco Provinciali,  ex dirigente ispettivo MIUR

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Panino vietato a scuola: conseguenze della sentenza di Cassazione ultima modifica: 2019-08-25T04:00:35+02:00 da
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