Pasto da casa, perché la Cassazione ha detto no

di Lara La Gatta,  La Tecnica della scuola, 30.7.2019

– Abbiamo già dato la notizia della sentenza con la quale la Corte di Cassazione mette il punto sulla questione del pasto da casa.

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 20504 del 30 luglio 2019, hanno infatti affermato che non è configurabile, né può costituire oggetto di accertamento da parte del giudice ordinario, un diritto soggettivo perfetto ed incondizionato all’autorefezione individuale, nell’orario della mensa e nei locali scolastici, degli alunni della scuola primaria e secondaria di primo grado. E che le famiglie non possono influire sulle scelte riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa, rimesse all’autonomia organizzativa delle istituzioni scolastiche, in attuazione dei principi di buon andamento dell’amministrazione pubblica.

Il servizio mensa è compreso nel tempo scuola

Secondo la nomativa vigente, il servizio mensa è compreso nel «tempo scuola», perché
esso condivide le finalità educative proprie del progetto formativo scolastico di cui esso è parte, come evidenziato dalla ulteriore funzione cui detto servizio assolve, di educazione all’alimentazione sana.

Alla suddetta finalità educativa concorre quella di socializzazione che è tipica della consumazione del pasto «insieme», cioè in comunità, condividendo i cibi forniti dalla scuola, pur nel rispetto (garantito dal servizio pubblico) delle esigenze individuali determinate da ragioni di salute o di religione.

Il pasto non è un momento di incontro occasionale di consumatori di cibo, ma di socializzazione e condivisione (anche del cibo), in condizioni di uguaglianza, nell’ambito di un progetto formativo comune. Per questa ragione il tempo della mensa fa parte del «tempo
scuola».

Sulla gratuità dell’istruzione inferiore

La Cassazione ha anche sostenuto che l’affermazione generalizzata di un diritto soggettivo perfetto e incondizionato all’autorefezione, durante l’orario della mensa non trova conferma sul piano normativo neppure sotto il profilo della violazione del principio di gratuità dell’istruzione inferiore, sul presupposto che gli alunni che intendono aderire alle attività formative pomeridiane sarebbero costretti a sostenere la contribuzione prevista per il servizio mensa.

Premesso che negli istituti scolastici dove è istituito, il servizio mensa è erogato «senza nuovi o maggiori oneri per gli enti pubblici interessati» e «in forma gratuita ovvero con contribuzione delle famiglie a copertura dei costi», previa individuazione delle fasce di reddito sino al limite della gratuità in taluni casi, secondo la Suprema Corte il principio di gratuità dell’istruzione scolastica non implica che si debba necessariamente assicurare la completa gratuità di tutte le ipotizzabili prestazioni che possano essere connesse all’esercizio del diritto allo studio, pur se collaterali, accessorie, di supporto, facoltative o di complemento, quand’anche rese necessarie da peculiari situazioni personali.

Richiamando precedenti sentenze, la Cassazione ha ricordato che il diritto all’istruzione non è
«svincolato dall’adempimento di corrispondenti doveri da parte dei genitori» e che i «principi della scuola aperta a tutti e della gratuità dell’istruzione elementare e media debbono essere adempiuti nel quadro degli obblighi dello Stato secondo una complessa disciplina legislativa e nell’osservanza dei limiti del bilancio».

A questo deve aggiungersi che l’assistenza scolastica viene prestata nei limiti delle risorse disponibili e può, di conseguenza, essere legittimamente correlata alla disponibilità di mezzi finanziari degli studenti, quali risultano dagli importi da essi corrisposti per le rette di fruizione dei servizi scolastici scelti.

E le merendine?

Secondo la Cassazione, non è pertinente il rilievo che agli alunni è invece consentito il
consumo di merende portate da casa durante il tempo della ricreazione, il quale non interferisce con il servizio pubblico della refezione scolastica.

Le conclusioni della Cassazione

La Supera Corte, a sostegno della propria decisione, ha anche evidenziato che «l’istituzione scolastica non è un luogo dove si esercitano liberamente i diritti individuali degli alunni, né il rapporto con l’utenza è connotato in termini meramente negozia li, ma piuttosto è un luogo dove lo sviluppo della personalità dei singoli alunni e la valorizzazione delle diversità individuali devono realizzarsi nei limiti di compatibilità con gli interessi degli altri alunni e della comunità, come interpretati dall’istituzione scolastica mediante regole di comportamento cogenti, tenendo conto dell’adempimento dei doveri cui gli alunni sono tenuti, di reciproco rispetto, di condivisione e tolleranza».

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Pasto da casa, perché la Cassazione ha detto no ultima modifica: 2019-07-31T04:02:08+02:00 da
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