Pensioni. La domanda di riscatto del dipendente pubblico non si prescrive

di Bernardo Diaz, PensioniOggi,  agosto 2019

– La problematica di molti lettori. L’Inps non ha non ha mai invocato l’operatività della decadenza in questione, che trova, invece, pacificamente applicazione unicamente nel settore privato.

Una delle problematiche cui spesso si trovano di fronte lavoratori e pensionati riguarda le conseguenze dell’omessa trattazione delle istanze di riscatto o di ricongiunzione dei periodi assicurativi presentate all’Inps. Si tratta di situazioni che si presentano sporadicamente ma che sono fonte di apprensione in quanto possono, nella peggiore delle ipotesi, pregiudicare o ritardare anche l’andata in pensione.

Si pensi al caso di Mario, un lavoratore del settore privato, che ha presentato domanda di riscatto di laurea nel 1995 senza aver mai ricevuto un formale provvedimento di accoglimento o di rigetto da parte dell’Inps. Nel corso degli anni sono intercorse solo comunicazioni informali con gli uffici dell’Istituto nel corso delle quali all’interessato gli è stato comunicato a voce che la domanda sarebbe stata trattata a breve e che non avrebbe avuto da preoccuparsi. A distanza di diversi anni l’ente previdenziale gli ha comunicato però che la domanda si è “prescritta” e che, pertanto, Mario avrebbe dovuto presentarne una nuova con rideterminazione dell’onere in misura chiaramente più sfavorevole rispetto al passato. Essendo ormai insostenibile la cifra economica per il riscatto Mario si è trovato costretto a ritardare l’andata in pensione.

Dal punto di vista legislativo occorre, infatti, ricordare che anche per le domande di riscatto o di ricongiunzione vige il principio del silenzio-rifiuto in base al quale in difetto di comunicazione da parte dell’ente previdenziale la domanda si intende respinta con conseguente applicabilità dell’ipotesi di decadenza prevista dall’art. 47, d.p.r. n. 639/1970. Questo principio è stato avvalorato anche dalla Corte di Cassazione (si veda ex multis la sentenza 20924/2018). In sostanza se entro tre anni (erano 10 per le domande presentate sino al 6.7.2011) decorrenti dalla data prevista per l’esaurimento del procedimento amministrativo (cioè dal 300° giorno successivo alla data di presentazione della domanda) non viene presentato ricorso giudiziario l’assicurato decade definitivamente dalla possibilità di far accertare il diritto al riscatto o alla ricongiunzione presso un Tribunale. Con perdita definitiva, pertanto, della possibilità di ottenere la trattazione dell’istanza con i coefficienti e le retribuzioni in possesso al momento della domanda originaria. L’inerzia dell’assicurato può portare, pertanto, al sostanziale rigetto della domanda di riscatto o di ricongiunzione e all’obbligo di ripresentazione della stessa ad una data successiva con oneri ampiamente superiori quanto maggiore è il tempo trascorso rispetto alla data originaria.

Questo principio è importante e vale a mettere in guardia molti lavoratori dai rischi di una prolungata inazione ma si può anticipare, per evitare inutili allarmismi, che quanto detto non vale per le gestioni del pubblico impiego. In ambito pubblicistico, infatti, l’Inpdap (ed ora Inps) non ha mai invocato l’operatività della decadenza in questione, che trova, invece, pacificamente applicazione unicamente nel settore privato. Nell’ambito pubblico la regola è stata sempre nel senso di trattare le domande di riscatto o di ricongiunzione con ampio ritardo rispetto alla data della loro presentazione. Ancora oggi migliaia di domande risalenti ai primi anni ’90 attendono di essere trattate dall’ente previdenziale, impensabile quindi che siano dichiarate “prescritte”.

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Pensioni. La domanda di riscatto del dipendente pubblico non si prescrive ultima modifica: 2019-09-04T13:54:01+02:00 da
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