Pensioni, l’anticipo diventerà “su misura”. E il governo punta ad alzare le minime

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di  Valentina Conte e Roberto Mania, la Repubblica Economia & Finanza, 4.9.2016

– Martedì vertice con i sindacati, in ballo 2 miliardi. Si potrà scegliere quanta parte dell’Ape ritirare

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ROMA. L’anticipo pensionistico diventa flessibile, un anticipo “á la carte”. La possibilità di andare in pensione a 63 anni – e dunque fino a tre anni e sette mesi prima dei requisiti attuali – sarà modulabile a richiesta. Una sorta di flessibilità nella flessibilità. Ciascuno potrà farsi anticipare ciò che vorrà del proprio assegno pensionistico: il 100 per cento, la metà, un terzo, a seconda delle esigenze personali. Ma il governo vuole anche provare ad aumentare le pensioni minime. Un progetto su cui scommette in particolare il premier Matteo Renzi ma che ha costi importanti, nell’ordine di qualche miliardo.
Sono queste le principali novità del piano-pensioni che il governo sta ormai ultimando con tutte le simulazioni necessarie. Martedì riparte il confronto con i sindacati, preceduto da un vertice tecnico del governo per capire gli effettivi margini di manovra. A Palazzo Chigi, questa volta, un accordo con Cgil, Cisl e Uil non dispiacerebbe, senza rispolverare la vecchia concertazione. Le pensioni sono materia socialmente incandescente, affidarla anche alle parti sociali significa ridurne le potenzialità di scontro.
È un pacchetto da due miliardi (esclusi eventuali interventi sui trattamenti minimi) quello del governo, con dentro sette misure: l’Ape, l’acronimo dell’anticipo pensionistico, l’estensione o il rafforzamento della quattordicesima per i pensionati; gli interventi per consentire l’uscita anticipata dal lavoro ai cosiddetti lavoratori precoci e a coloro che sono impegnati in attività usuranti; la cancellazione delle penalizzazioni a carico di chi prima dei 62 anni può già ora, con più di 40 anni di versamenti, lasciare l’attività; la no tax area per i pensionati; la ricongiunzione gratuita, infine, dei contributi versati in fondi distinti.

APE SU RICHIESTA. L’anticipo pensionistico, l’Ape , che il governo si appresta a varare, forse con un decreto prima ancora della legge di bilancio, conterrà il massimo grado di elasticità. Il pensionando potrà cioè chiedere una sorta di preventivo all’Inps per calcolare nelle varie ipotesi quanto sarà la rata futura da restituire e soppesare così la convenienza al prestito previdenziale. Potrà ad esempio simulare un 50% di Ape e aggiungere un 20% di Rita (la previdenza integrativa, anch’essa anticipabile per chi ce l’ha). E poi magari decidere di prenotare più dell’una e meno dell’altra. In altri termini, chi ha bisogno di andare prima in pensione non per forza deve anticipare il 100% dell’assegno futuro. Ma può anche prenderne un pezzetto, in previsione magari di piccoli lavoretti da fare per integrare le entrate. Un modello così elastico, questo dell’Ape versione 2.0, che consente anche allo Stato un finanziamento più leggero del previsto. Palazzo Chigi conta di coprire la misura con una cifra al di sotto dei 500 milioni, inferiore ai 600-700 sin qui circolati, per una platea di interessati pari a 350 mila il primo anno, poi 150 mila l’anno.

RATE E DETRAZIONI. Proprio per rendere il meccanismo più appetibile, il governo pensa dunque a disegnarlo su misura rispetto alle esigenze personali. E poiché si tratta di un prestito concesso dalle banche tramite Inps – e coperto da assicurazione – tutta l’attenzione del lavoratore si concentra sulla rata futura che per vent’anni, dai 66 anni e sette mesi di età in poi, decurta la pensione. Un taglio troppo profondo rischia di trasformare l’operazione in un flop. Di qui l’idea dell’Ape su richiesta. In ogni caso, il governo pensa a detrazioni in misura fissa in grado di azzerare la rata alle categorie più deboli e con redditi bassi. Chi insomma guadagna bene e non è né esodato (l’Ape la paga lo Stato) né esubero (l’Ape la paga l’azienda) sarà penalizzato maggiormente. Ma secondo le stime del governo non perderà oltre il 5% della pensione lorda, non più del 6-7% di quella netta. “Alcuni pagano meno, altri di più. Alcuni pagano da soli, altri no”, è la filosofia di chi lavora al dossier.

PROBLEMI CON L’UE. L’Ape è però sub iudice. L’Unione europea, interpellata sulla misura, potrebbe mettere dei paletti. Se i pensionandi agevolati dallo Stato fossero al di sopra di una certa percentuale, tutta da definire, la spesa per le detrazioni configurerebbe maggiore debito pubblico (il debito previdenziale non è considerato a parte), una posta da non far lievitare, specie di questi tempi. È altrettanto chiaro al governo che la misura per funzionare davvero deve consentire agevolazioni ad almeno il 40-50% dei richiedenti. La trattativa con Bruxelles è in corso.

PACCHETTO DA DUE MILIARDI. Il pacchetto previdenza, che il governo conta di inserire nella prossima legge di bilancio, vale in tutto due miliardi: un miliardo per i pensionandi e un miliardo per i pensionati (non lontano dalle richieste dei sindacati pari a due miliardi e mezzo). Nella prima categoria – quella per i pensionandi – ritroviamo non solo il reddito ponte fornito dall’Ape, ma tutte le misure che possono agevolare l’uscita anticipata dal lavoro a quanti sono rimasti bloccati dalla legge Fornero. E dunque le ricongiunzioni da rendere gratuite, per cumulare i contributi versati in gestioni diverse, incluso quelli del periodo di laurea (ma il riscatto continuerà a costare). Poi gli aiuti ai lavoratori precoci, che hanno iniziato a 14 anni, e a quanti svolgono attività usuranti. Infine l’azzeramento delle penalizzazioni per chi ha meno di 62 anni, ma già 40 di contributi.

NODO QUATTORDICESIMA. Nella seconda lista compaiono invece le due ipotesi, non necessariamente alternative, per irrobustire i redditi dei pensionati, vista l’esclusione della categoria dalla distribuzione degli 80 euro: quattordicesime e no tax area. Difficile un ritocco all’insù tout court delle pensioni minime perché costerebbe intorno ai 4 miliardi. Ma il governo studia comunque come modulare l’intervento, riducendo la platea sulla base degli assegni.
Aumentare la quattordicesima (idea favorita dal governo) o estenderne la platea (alternativa gradita ai sindacati) costa comunque non poco: almeno 800 milioni all’anno per innalzare a 1000 euro l’assegno a quasi un milione e mezzo di pensionati in più, arrivando così a un totale di 4 milioni, con redditi pari a 13 mila euro annui (dagli attuali 10 mila). Portare l’area di esenzione dall’Irpef a 8.140 euro costerebbe invece 260 milioni.

TUTTO NON SI PUO’. Solo Ape e quattordicesima valgono 1 miliardo e 300 milioni. I 700 milioni residui, sui due miliardi che il governo è disposto a stanziare, sono davvero pochi per fare tutto il resto. “A meno di porzioni dietetiche”, commentano a Palazzo Chigi. Ci sono due liste da cui scegliere. Nella prima, considerata intoccabile ai fini delle risorse (“O le fai in pieno o non le fai”, è la tesi), ci sono ricongiunzione gratuita, no tax area, usuranti, penalizzazioni per i pre-62. Nella seconda, quella delle proposte rimodulabili o “dimagribili”, compaiono Ape, quattordicesima e precoci. Sette scelte per due miliardi, senza contare possibili aumenti delle pensioni minime che costringerebbero a rifare i conti.

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