di Alessandro Giuliani, La Tecnica della scuola, 21.3.2019
Retribuzioni modeste e lavoro scarsamente considerato a livello sociale: sono i motivi principali che hanno spinto 16.800 lavoratori della scuola a lasciare il servizio, approfittando dei nuovi requisiti della cosiddetta “quota 100” (almeno 38 anni di contributi e 62 di età).
Le motivazioni sono state raccolte dalla Cisl Scuola, sino al 28 febbraio scorso, giorno di scadenza per la presentazione delle domande: attraverso un questionario, proposto durante i servizi di consulenza previdenziale nella fase di riapertura dei termini per le domande di pensione, il sindacato ha intervistato un campione rappresentativo delle diverse realtà territoriali e professionali.
Sono quattro, riferisce l’organizzazione guidata dal Lena Gissi, le domande poste agli intervistati, molto semplici e dirette.
La prima, non poteva che essere rivolta a cogliere le motivazioni della scelta compiuta, e più della metà degli intervistati ha denunciato o un’esplicita condizione di stanchezza(22,6%), o comunque la convinzione di avere già lavorato abbastanza (29,5%).
Tra quanti si dicono stanchi dell’attività svolta, troviamo in primo luogo chi insegna nella scuola primaria (28,9%), seguito dal 23,1% della scuola dell’infanzia.
Con percentuali decrescenti i docenti del II grado, del I grado e il personale ATA.
Il timore di doversi misurare in seguito con criteri di accesso alla pensione più restrittivi ha inciso per il 16,4%, quasi un punto percentuale in meno rispetto al 17,3% che dichiara di aver approfittato delle nuove opportunità di uscita perché spinto da esigenze di carattere familiare.
Solo il 14,2% afferma di voler andare in pensione per coltivare interessi diversi.
La seconda domanda, spiega ancora la Cisl Scuola, puntava a individuare le cause che appesantiscono le condizioni di lavoro, inducendo a cogliere l’opportunità di abbandonare la propria attività.
Tra queste, prevale nettamente una percezione di eccessiva complessità, denunciata nel 36,7% dei casi; mentre la difficoltà nei rapporti con le famiglie (23,2%) supera di qualche punto quella legata alla conduzione della classe (19%). Non sembrano invece incidere molto, come causa di stress, i rapporti con i colleghi (li indica come fattore di disagio l’8,4% degli intervistati), né quelli col dirigente scolastico (12,7%).
Analizzando le risposte di chi lamenta la complessità del lavoro, si scopre che il 19,7% di chi si pronuncia in tal senso appartiene all’area del personale Ata, che rispetto al totale degli intervistati rappresenta il 16%.
Ciò che dell’esperienza di lavoro mancherà di più è il rapporto con gli alunni, come dichiara il 53,6% degli intervistati.
Una nostalgia molto più forte di quella riservata ai colleghi (17,7%).
È significativa, invece, la percentuale di chi afferma che non rimpiangerà tutto sommato nulla (28,7%): un dato che la dice lunga sullo stato di esasperazione in cui versano molti lavoratori della scuola.
Alla richiesta di indicare quale avrebbe potuto essere un incentivo a rimanere in servizio, non prevale, come forse ci si poteva attendere, il desiderio di uno stipendio più alto (risposta scelta nel 30,9% dei casi), ma quello di un più significativo riconoscimento sociale del proprio lavoro, che è la risposta data dal 39,1% degli intervistati.
Si attesta al 16,7% la percentuale di chi avrebbe tenuto in considerazione l’offerta di maggiori opportunità di carriera, mentre la possibilità di lavorare più vicino a casaviene indicata come condizione che avrebbe potuto favorire una permanenza in servizio solo dal 13,3% del campione.
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